Pensieri femministi sulla guerra
Floriana LippariniL’eroismo tornato di moda con la guerra in Europa è profondamente connesso all’impostazione patriarcale e nazionalista che vuole sempre disegnare muri utili agli interessi del potere di pochi. “Non sarà il tragico gioco delle guerre a cambiare le cose, ma una rivoluzione culturale che faccia finalmente uscire l’umanità dall’ideologia patriarcale intrisa di sfruttamento e violenza – scrive Floriana Lipparini – Diciamolo forte ancora una volta, riempiamo di nuovo le strade e le piazze, almeno per costruire quella memoria che un giorno sarà preziosa. Ecco perché occorre parlare anche quando sembra inutile…”
In un silenzio assordante, governo, politici e commentatori sembra ci vogliano trascinare in un’adesione alla guerra, che l’articolo 11 proibisce, violando la nostra Costituzione. Noi vecchie femministe potremmo? dovremmo? chiamare le femministe più giovani e tutte le donne che condividono il nostro rifiuto di guerre e violenze a unirsi in un momento pubblico comune per denunciare, a chiare lettere e con forza, il baratro verso il quale stiamo rischiando di precipitare grazie a un’arcaica, primitiva e rovinosa concezione geopolitica che il patriarcato ha da millenni imposto all’umanità: si vis pacem para bellum, dicevano i latini, per avere la pace fai la guerra. Il tempo è passato invano.
L’Europa ha tradito se stessa e i propri ipotetici valori esaltando il ricorso alle armi come unica soluzione, invece di impegnare la propria forza per costruire intelligente mediazione e accettabili accordi. Al contrario ha soffiato sul fuoco, normalizzando tacitamente l’idea che di fronte all’ingiusta violenza si possa rispondere solo con la guerra. Quante vite umane questo possa costare non è un elemento preso in considerazione dai “grandi” strateghi di cui il mondo oggi dispone.
Ci fa orrore l’aggressione armata di un popolo contro un altro popolo e contro i civili, ma all’orrore non si può rispondere con un sacrificio senza limiti di vite umane. Questo concetto di eroismo è profondamente connesso alla bellicosa impostazione patriarcale e nazionalista che vuole sempre disegnare muri e confini utili agli interessi del potere di pochi. Uno stretto accordo fra i Paesi non direttamente coinvolti per promuovere da subito interposizione e trattative era l’unica speranza per porre fine al massacro.
Chi vuole che la guerra finisca? E chi invece vuole proseguirla all’infinito? Se davvero fosse la sacra difesa dei diritti e delle libertà a giustificare la guerra, ci chiediamo come mai esistano situazioni in cui questo non vale, dalla Palestina all’Afghanistan e a tanti altri luoghi in cui il più forte opprime con la violenza il più debole.
L’aggressione all’Ucraina e l’incapacità o la non volontà di fermarla in modo non violento provano una volta di più quanto chi “sta in basso”, le popolazioni e i civili, siano massa sacrificabile per il potere capitalista che da sempre si nutre di guerre per affermare il proprio dominio. Sono i padri che mandano i figli a morire, come tanti studi antropologici ci hanno spiegato.
Padri che usurpano il futuro di intere generazioni progettando un mondo di guerre e recinti, le famose enclosure che si stanno ormai metaforicamente diffondendo a tutti gli ambiti dell’esistenza individuale e sociale: privatizzano l’aria, l’acqua, i semi, il suolo, estraggono profitti dai nostri pensieri, dai nostri desideri, dalle nostre necessità vitali.
Non sarà il tragico gioco delle guerre a cambiare le cose, ma una rivoluzione culturale che faccia finalmente uscire l’umanità dall’ideologia patriarcale intrisa di sfruttamento e violenza. Diciamolo forte ancora una volta, riempiamo di nuovo le strade e le piazze, almeno per costruire quella memoria che un giorno sarà preziosa. Ecco perché occorre parlare anche quando sembra inutile.
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