Antonio Corrado, con il suo spiccato senso dell’umorismo, mi ha inviato un articolo di Federico Campagna, intitolato Manifesto per i sessantenni, pubblicato su ALFABETA on line lo scorso 22 agosto. L’articolo è assai urticante; dà fastidio, soprattutto, l’eccessivo narcisismo che mostra il suo autore; comunque mi pare che offra diversi spunti di riflessione per il nostro dibattito. Riproponiamo di seguito solo la prima parte dell’articolo. La versione integrale è reperibile nel sito www.alfabeta2.it
F.V.
Noi siamo gli ultimi. Lo siamo sempre stati, e nemmeno lo sapevamo. Eravamo gli ultimi nel ’68, quando ragazzi ci gettavamo all’assalto di tutto, anche solo nei nostri paesini, anche solo nel pensiero. Gli ultimi nel ’77, quando il futuro ci collasso’ addosso. Gli ultimi negli ’80, chiusi dentro, gli ultimi, nei novanta, nei duemila…
Dopo di noi, il lavoro sarà tutta un’altra cosa. Dopo di noi, non ci sarà più pensione. Dopo di noi il nulla. Di tutte le cose che siamo stati, il punk e’ l’unica che ci e’ davvero rimasta addosso, che lo vogliamo o no. Noi siamo i sessantenni, e non siamo ancora finiti.
Ragioniamo. Quando eravamo giovani, i ribelli eravamo noi. Perché? Perché eravamo studenti, c’era il boom e il tempo e i soldi non mancavano. E se mancavano gli ultimi, il primo sopperiva ai bisogni. Divoravamo libri, riviste, discussioni. Anche senza internet, sapevamo tutto. E poi, dopo di noi, il mondo ci è crollato dietro, come nei film i ponti in fiamme dietro i fuggiaschi. E così i giovani, adesso, la ribellione hanno dovuto ingoiarsela. Fanno manifestazioni, scrivono slogan eccetera. Ma non vogliono cambiare la vita. Vogliono salvarsi il culo. I giovani, da sempre la parte ribelle e innovatrice della società, oggi non ne sono che l’ombra cupa e depressa, l’anima ansiosa e in panico. Se contiamo su di loro soltanto, sulla loro energia che ogni giorno sempre più è divorata dalle pressioni del lavoro e dai gorghi del futuro, possiamo stare certi che ogni Cassandra avrà la sua parte di gloria.
E allora chi resta? Se i giovani sono scimmie al guinzaglio, chi resta? Restano gli ultimi.Restiamo noi.
Guardiamoci in faccia. Come allora, più di allora, abbiamo tempo e soldi. Di tempo ce n’è a dismisura. Lo chiamano pensione. Di soldi ce ne sono pochi, ma pur sempre abbastanza. Lo chiamano pensione. Dicono che noi siamo gli ultimi a godercela. Bene, e allora noi questa pensione ce la prendiamo, ma la terremo in mano come un martello. Abbiamo venti, trent’anni di vita davanti. Abbiamo il cervello buono, ricco. Abbiamo ancora le mani per costruire e i pugni per distruggere.
Guardiamoci l’un l’altro. Hai sessant’anni, hai passato la vita a fare l’insegnante, hai pagato un mutuo e hai una casetta di proprietà? Bene, tuo figlio, non avrà niente di tutto questo. Il mutuo gli mangerà i reni. La pensione la passerà in ospizio con cervello bollito. Ma non angosciarti pensando a tuo figlio. Guarda più in là. Pensa a cosa potresti fare con quella tua casetta, coi soldi della liquidazione, con la tua pensione. Ma soprattutto col tuo cervello, ancora agile, con quello che hai imparato, le persone che hai conosciuto, i sogni che hai coltivato. Con il tuo tempo. L’ultimo rimasto. Hai capito bene. Adesso puoi fare tutto quello che quando avevi vent’anni non sei riuscito a fare. A quei tempi ti avevano detto che avevi perso, che avevi messo la testa a posto perché avevi troppo da perdere, perché non avevi i mezzi, perché eri preso per la gola. Ma adesso non è più così. Da perdere hai soltanto la noia, da bruciare hai tutta la vecchiaia. Di paura ne è rimasta poca, e se un tempo dicevamo che era meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine, adesso non ci è rimasta che la fine spaventosa. Tanto vale andare a incontrarla tra le fiamme!
Cosa farai dei tuoi pomeriggi da pensionato? Tu, l’ultimo privilegiato, che ti liberi dal lavoro quando sei ancora abile, che ti ritrovi con la tua vita di nuovo in mano e un assegno mensile che ti copre. Lascerai che la tua seconda vita sia la più insopportabile? Ci sono legioni di morti che non sanno di esserlo. Non diventare uno di loro.
Federico Campagna
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