F.V.
Sono stata giovane anch’io.
Il muro degli adulti era duro da scalfire, in una dinamica di confronto e scontro, con tenacia, si faceva spazio l’esigenza di provare a trovare un posto, il mio posto. Una sfida che tutti abbiamo provato.
Avevo 14 o forse 15 anni quando la tv che la sera trasmetteva in prima serata, il mistero e il fascino dei film in bianco e nero di Bergman, si trasformava lentamente in un caos di colori, di siglette senza poesia, di rotondi e morbidi seni messi in bella vista e di pubblicità. Un mare di pubblicità, tutto d’uno tratto prese a straripare dagli schermi.
E’ così che è cominciata l’inondazione degli spazi familiari?
Quello era il tempo della nascita delle tv private. Veniva alla luce un nuovo mondo, o modo, della comunicazione televisiva.Ricordo un ossessionante e orribile gingol: Operazione Five: torna a casa in tutta fretta, c’è il biscione che ti aspetta.
Poi, più tardi, ho scoperto leggendo, ma anche sulla mia pelle, che oltre il motivetto che narrava dell’ operazione five, in quegli anni un’altra operazione, quella del piano Gelli, balzava alla cronaca.
Questo a conferma che, come dice Sciascia, nel video intervista pubblicato, il potere è altrove?
Forse da questo l’ insorgere del misterioso silenzio dei giovani? Anni di operazione five? Il risultato: la stratificazione dell’atrocità più bieca? Congelare la mente, inaridire gli stimoli, soffocare la voce?
Se oggi riguardo un film di Bergman, ricordo il calore della famiglia, le immagini scorrevano sullo schermo, erano lo sfondo al dispiegarsi delle nostre vite. Qualcuno urlava cambia canale! questo film non si capisce!
Ma i canali erano due. Bisognava alzarsi e premere il pulsante. La cena fumante ti inchiodava alla sedia e i racconti del cosa è successo oggi a scuola e cosa ci aspetterà domani erano accattivanti.Infine non occorreva cambiare canale. Il cielo, il mare e i volti di Bergman erano l’espressione di una Tv che aveva voglia di comunicare, davvero, qualcosa e che accompagnava le dinamiche familiari. Certo c’era Bergman e anche dell’altro, ma tutto era composto, aveva in sé il senso del limite.
Per noi giovani di allora, si, era difficile trovare il proprio spazio, ma quando ci provavi, trovavi qualcuno che ti ascoltava. Un padre, una nonna, un fratello.
I giovani oggi a chi parlano? Chi li ascolta?
Allora, non resta altro per loro che provare a cercare il loro spazio tramite gli SMS e/o mail e/o face book e/o altri strumenti che, in sé, sono la negazione della relazione e quindi della comunicazione. E’ così le loro voci si perdono nell’etere, in una realtà virtuale che non può essere contesto di crescita e di aspirazione all’ espressione?
Barbara Lottero
Nessun commento:
Posta un commento