Abbiamo
chiesto ad un giovane studioso di economia e finanza, Daniele Bivona, di
provare a spiegare nel modo più chiaro e breve possibile le cause della crisi
finanziaria che ha investito l’Italia insieme a gran parte dell’Europa.
Daniele
non ha deluso le nostre aspettative. In poche righe è riuscito a spiegare la
crisi e a prospettare una via d’uscita dalla stessa.
Naturalmente
la sua analisi si muove all’interno del sistema che ha prodotto la crisi e risente degli orientamenti prevalenti nel
pensiero economico e politico odierno secondo i quali è impensabile un mondo
diverso.
La crisi che sta
attanagliando i paesi periferici dell’Eurozona (Piigs), a differenza della
precedente nata dai c.d. sub prime, nasce sostanzialmente dai problemi
derivanti dalla gestione e sostenibilità del debito sovrano degli stessi.
Il debito di uno Stato si forma nel
momento in cui le spese da sostenere risultano superiori alle entrate, quindi
per finanziare la differenza lo Stato emette titoli (BTp, BoT, Cct ...) che
vengono acquistati sia da grandi investitori istituzionali sia da investitori
privati. A questi titoli viene assegnato un rating, ovvero un giudizio sulla capacità dell’emittente di
ripagare ai sottoscrittori capitale più interessi, che nel caso di uno Stato
deriva essenzialmente dall’andamento e dall’entità delle entrate fiscali. Ora
il problema di fondo è che ormai da diversi anni la crescita del prodotto
italiano è prossima allo zero e senza prospettive di crescita le imprese si
trovano in difficoltà: diminuiscono gli investimenti produttivi, aumenta il
tasso di disoccupazione, le famiglie non consumano, e si instaura così un
circuito vizioso che porta inevitabilmente alla riduzione delle entrate dello
Stato, anche per effetto dell’evasione ed elusione fiscale.
Nell’estate del
2011, date le indubbie difficoltà di gestione del debito pubblico italiano,
mentre la crisi del debito ellenico stava per raggiungere il punto di non
ritorno, alcuni investitori istituzionali (il principale imputato risulterebbe
la Deutsche Bank), quando ancora i
valori di mercato dei titoli italiani erano sostanzialmente in linea a quelli
dei partners europei più virtuosi, hanno iniziato a shortare titoli
italiani, cioè hanno avviato operazioni speculative ribassiste sui BTp.
Il problema è che un grande investitore
istituzionale come Deutsche Bank (DB) riesce a “muovere il mercato”, così
di fatto è la stessa banca a causare il crollo dei titoli, permettendo così
all’istituto di generare ingenti profitti, che sono stati incrementati anche
dalla presunta contemporanea apertura di posizione lunghe in CDS (
Credit default Swaps), strumenti derivati il cui valore è
correlato negativamente col rischio di default
(fallimento) dell’emittente.
Di conseguenza si inizia ad allargare il c.d. spread, ovvero il differenziale di rendimento tra i titoli
italiani e tedeschi a dieci anni, che funge da indicatore della rischiosità di
un paese, cosa che ha portato diversi operatori ad assumere posizioni analoghe
alle precedenti, esercitando così ulteriori effetti depressivi sui prezzi dei
titoli di Stato italiani.
Un’altro
problema è che la quasi totalità delle banche italiane, anche per motivi di
regolamentazione, ha in portafoglio ingenti quantitativi di titoli italiani, e
se i prezzi degli stessi si deprimono le banche in questione perdono valore, ed
è proprio in quest’ottica che vanno interpretati i crolli di borsa di
quest’estate: dato che l’indice della
borsa di Milano (FTSE-MIB) non è
altro che una media ponderata del valore dei titoli pesati per la rispettiva
capitalizzazione, e dato che le banche hanno un peso considerevole in questa
media, non appena i BTp hanno iniziato a crollare, le banche italiane sono
stato oggetto di operazioni speculative ribassiste, trascinando in questo modo
tutto il FTSE-MIB. Iniziava così a manifestarsi una profonda sfiducia sul
sistema italiano, alimentata anche dai dati macroeconomici peggiori delle
attese, che si è tradotta in una ricomposizione dei portafogli degli
investitori verso assets ritenuti meno rischiosi e che ha favorito sia
l’impennata dello spread sia il trend decrescente seguito da
Piazza affari, alimentato anche dalle vendite allo scoperto sui futures sul
FTSE-MIB, che hanno travolto in maniera indiscriminata tutti i settori, a prescindere
anche dai fondamentali delle società. Lo spread ha continuato ad
allargarsi anche a causa della maggiore domanda di CDSs, derivante sia dalle
banche italiane a scopo di copertura (hedging), sia dalle solite
operazioni speculative tramite i c.d. CDSs naked, dato che chi ha
posizioni lunghe in CDSs ha tutto l’interesse affinché la situazione dell’ Italia
peggiori, in modo tale da trarre vantaggio dall’incremento di valori degli
stessi.
Quindi l’aumento dei CDSs, il crollo dei titoli italiani e l’impennata
dello spread, si autoalimentano a vicenda e il tutto è stato peggiorato
anche dai downgrade delle agenzie di rating, che si trovano in
sostanziale conflitto di interessi, dato che i propri azionisti sono
essenzialmente fondi d’investimento che in seguito alle variazioni di rating
possono porre in essere operazioni con risultati positivi quasi certi a
bassissimo rischio.
Per cercare di
arginare l’impennata degli spreads è intervenuta la BCE, tramite
operazioni dirette sul mercato secondario ma evidentemente non è stata una cura
definitiva, e gli attacchi speculativi sono continuati e anche dopo
l’instaurazione del governo tecnico.
Da più parti il
crollo dei titoli italiani viene visto come un ricatto delle banche
d’investimento
al governo italiano, che affosserebbero i titoli italiani per costringere il
governo a pagare maggiori rendimenti in modo da finanziare lo stesso a tassi
più elevati, recuperando di fatto le ingenti perdite subite col default
ellenico, ma è chiaro che maggiori rendimenti peggiorano la capacità del
governo italiano di sostenere il futuro livello del debito sovrano. Si
tratterebbe quindi di una partita tra speculatori e autorità politiche, che
fin’ora ha visto i primi prendere il sopravvento.
Come si esce
dalla crisi? Se da un lato è necessario il miglioramento dei conti pubblici,
d’altro canto è imprescindibile il perseguimento di una crescita positiva del
prodotto, e su quest’ultimo fronte le previsioni dei principali centri di
ricerca congiunturale sono tutt’altro che rassicuranti (si prevede un calo
dello 0.2% del Pil nel 2012). Solo un serio e coraggioso programma di riforme
strutturali sarà in grado di mitigare gli effetti recessivi derivanti dal
risanamento fiscale e di scatenare il potenziale di crescita dell’economia italiana,
aumentando la fiducia degli investitori e stimolando gli investimenti privati. Le riforme strutturali dovrebbero quindi agire
sugli anelli deboli della catena di sviluppo italiana, sulle cause storiche
delle basse performances di crescita, tra cui le disparità regionali, un
carico fiscale pesante e distorsivo, le inefficienze del servizio pubblico, la
regolamentazione “economica” con particolare riguardo alle norme in materia di
concorrenza, il nanismo del sistema imprenditoriale, la dualità del mercato del
lavoro e il basso livello di istruzione.
Daniele Bivona, MSc
Finanza, Università di Pavia
Chiarissima sintesi, complimenti. fab
RispondiEliminaGrazie fab
RispondiEliminaComplimenti! Giusi Sp.
RispondiEliminaL'analisi è molto lucida e, nella sua sintesi, esaustiva. Le cure che tu proponi, però, sono quelle dell'economia classica che di fatto usa gli stessi ingredienti di sempre per cucinare un minestrone che, come abbiamo visto, spesso si scuoce e diventa brodaglia. io ritengo che occorre rifondare il sistema finanziario planetario ed impedire che, per semplice gusto di speculazione, banche di affari e gestori di fondi (hedge in prevalenza) possano per alzare il loro profitto mandare all'aria l'economia di interi paesi creando disordini sociali, licenziamenti, povertà e sovente anche violenze con cadaveri che rimangono per strada (vedi Grecia dove una filiale di una Banca è stata data alle fiamme causando la morte di chi ci lavorava).
RispondiEliminaDa lavoratore nel mondo bancario penso che sia arrivato il momento che le banche tornino a fare il loro mestiere finanziando appunto l'economia reale e non la finanza speculativa e siccome difficilmente lo faranno da sole ci vuole uno stato che impugni la propria autorità e riordini il settore. Mi rendo conto la mia è una visione Keynesiana e può sembrare attempata ma credetemi se non si ritorna con i piedi per terra e si incomincia a considerare il profitto come un valore legittimo ma commisurato anche al salario dubito che il nostro sistema economico avrà futuro.
nino di sclafani
Ringrazio Nino per suo bel commento e sottopongo all'attenzione di tutti la vecchia ma sempre valida critica marxiana ai principi dell'economia politica classica:
RispondiElimina"Gli economisti hanno uno strano modo di procedere. Per essi ci sono soltanto due specie di istituzioni,quelle artificiali e quelle naturali. Le istituzioni feudali sono artificiali, quelle borghesi sono naturali. In questo assomigliano ai teologi, che anch’essi pongono due specie di religione. Tutte le religioni che non sono la loro, sono invenzioni degli uomini, mentre la propria religione emana da Dio. Cosi di storia ce n’è stata, ma non ce n’è piu”
Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all'infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista. (K.E. Boulding 1966)Continuare ad adattare modelli matematici ad una economia che si muove seguendo milioni di variabili incontrollate porterà a un collasso del sistema economico attuale o, forse, ad un suo superamento.
RispondiEliminaNino Di Sclafani
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RispondiEliminaCiao Nino, grazie per il commento. La extit strategy proposta, pensata a dire la verità in tempi non sospetti (pre impennata dello spread), quando ho avuto modo di sviluppare un analisi congiunturale e previsiva del GDP italiano, ad oggi mi sembra l'unica soluzione REALE e fattibile, anche se naturalmente ne esistono diverse. Indubitabilmente l'attuale sistema finanziario e sociale dovrebbe essere ridimensionato sotto molti aspetti, prima di tutto nel campo della giustizia sociale, ma su un cambiamento radicale in tal senso nel breve/ medio termine avanzo non poche perplessità.
RispondiEliminaDaniele