Yogi Berra, il grande giocatore di baseball, che divenne famoso anche per i suoi aforismi surreali, disse una volta che fare previsioni è sempre difficile, soprattutto sul futuro. Rispetto al baseball, il gioco della palla dei Maya era sicuramente uno sport meno sofisticato e più grossolano: lo dimostra il supposto colpo di testa sulla fine del mondo, che qualcuno dei suoi giocatori avrebbe fatto. Sicuramente, infatti, non può essere stato uno scienziato maya a prevedere che il Big Crunch dovrebbe avvenire il 20 dicembre 2012. Anzitutto, perché i Maya non usavano i nostri sistemi numerico e astronomico, mentre una data come il 20.12.2012 puzza troppo apertamente di fumo numerologico occidentale. Ma, soprattutto, perché gli ottimi astronomi maya, che sapevano benissimo prevedere per davvero una varietà di fenomeni celesti, non avrebbero certo abboccato a gossip parascientifici da strapazzo. Questi gossip sono stati doverosamente riportati dai media. E non nello Yucatan indio, loro supposto luogo d’origine, ma nell’Europa bianca, che invece dovrebbe essere rossa di vergogna!
La faccenda, infatti, rivela la confusione mentale che alberga nelle teste di coloro che vivono in un mondo dominato dalla tecnologia e dalla scienza, ma rimangono in balìa dell’ignoranza più tribale. In fondo, sfoggiare una televisione, un computer o un telefono cellulare per sentirvi o leggervi quel genere di notizie, non è molto diverso dall’appendersi orgogliosi una sveglia al collo, come i “selvaggi” di una volta. Qualcuno potrebbe pensare che il voler prevedere tutto, compresa la fine del mondo, sia in fondo il sottoprodotto di un atteggiamento scientifico. La colpa sarebbe della scienza, cioè, perché ci avrebbe abituati a pensare che il futuro ormai non abbia più segreti, e che il domani e il dopodomani siano conoscibili già oggi. Ma le cose non stanno affatto così, perché già nell’antichità prescientifica la gente si divideva in due categorie. Da un lato, coloro che pensavano con la testa per capire il mondo. E dall’altro lato, per rimanere in ambito calcistico, coloro che scalciavano con i piedi.
La nascita della tragedia di Nietzsche ci ha fatto notare che lo spirito apollineo della ragione, e quello dionisiaco degli istinti, convivevano contrapposti già nella Grecia classica. E basta leggere I Greci e l’irrazionale di Eric Dodds per venire a conoscere questa faccia dionisiaca, sovraffollata non solo di dèi e demoni, ma anche di sacerdoti, oracoli, sibille e vati. Tutta gente un po’ fuori di testa, che di maldestre profezie e divinazioni faceva già allora un bel business.Al poeta Coleridge è bastata una frase, invece di un libro, per descrivere concisamente la stessa cosa: cioè, che gli uomini nascono platonici o aristotelici. Ovviamente, i secondi se la ridevano già allora dei miti ai quali abboccavano i primi, a partire dal daimon socratico. E, naturalmente, continuano a ridersela anche oggi, incapaci di capire come qualcuno possa credere alle pulp fiction divinatorie, antiche e moderne. Sarebbe però ingiusto addossare tutte le colpe solo all’anima nera, dionisiaca o platonica, della Grecia. La tradizione religiosa giudaico-cristiana ha infatti contribuito anche più pesantemente a creare una mentalità irrazionale e antiscientifica- E ha popolato densamente la propria mitologia di profeti, predicatori e veggenti, tutti indaffarati a scrutare negli abissi della propria mente il futuro prossimo e remoto della vita, per non parlare di quello post mortem.
E’ a questa doppia tradizione che bisogna rifarsi per spiegare, senza giustificare, la galassia di previsioni fasulle, sacre e profane, che continuano ad affollare la società tecnologica. Una galassia a cui i media attingono, riportando “seriamente” le sedicenti profezie di santi, visionari, cartomanti, astrologi, maghi e guaritori. E una galassia che il pubblico frequenta, oltre a giocare “seriamente” con trappole divinatorie mungi-soldi quali i Casinò, il Totocalcio, il Lotto, le lotterie o i gratta-e-vinci. Niente di tutto questo ha a che fare con l’indagine scientifica del futuro, la cui vera natura è il secondo motivo per cui la scienza non è responsabile, nemmeno indirettamente, delle pratiche che abbiamo appena enumerato. Le previsioni scientifiche riguardano infatti eventi precisi, e sono verificabili e riproducibili. L’esempio archetipico sono ovviamente le eclissi di Sole o di Luna, le cui regolarità erano già state scoperte dagli apollinei o aristotelici dell’antichità, che tanto vale chiamare col loro vero nome di protoscienziati.
Per poter effettuare previsioni scientifiche, sono necessari due ingredienti. Anzitutto, una legge deterministica che regola un fenomeno astratto: ad esempio, la gravitazione universale, scoperta da Newton. E poi, le condizioni al contorno che specificano un fenomeno concreto: ad esempio, la posizione e la velocità di un corpo celeste in un determinato istante. E’ stato usando questi due ingredienti in maniera accurata e sofisticata, che la fisica newtoniana ha potuto ottenere risultati spettacolari. Ad esempio, accorgersi nel 1705 che le tre comete apparse nel 1531, 1607 e 1682 erano in realtà la stessa, oggi chiamata di Halley, che sarebbe tornata nel 1759, come puntualmente fece. O prevedere nel 1843 che doveva esistere un nuovo pianeta, oggi chiamato Nettuno, che fu poi puntualmente osservato tre anni dopo, esattamente dove doveva essere.
Nessuna profezia, nemmeno (anzi, soprattutto) quelle delle Madonne di Lourdes o Fatima, ha mai potuto anche solo lontanamente esibire una simile conoscenza del futuro. Non stupisce, dunque, che Laplace abbia potuto dichiarare, nel Saggio filosofico sulle probabilità, che se si fossero conosciute la posizione e la velocità di ogni particella, in linea di principio si sarebbe potuto conoscere esattamente non solo l’intero futuro, ma anche l’intero passato dell’universo. La scienza ottocentesca visse dunque questo sogno, che si estese rapidamente anche a campi diversi della fisica. La biologia, ad esempio, dove nel 1862 Darwin potè mettere a frutto la scoperta della legge della selezione naturale, per prevedere l’esistenza di un impollinatore per l’orchidea chiamata Stella del Madagascar: una falena notturna, che avrebbe dovuto avere un’inusitata proboscide lunga trenta centimetri. Essa fu scoperta solo nel 1903, ventun anni dopo la sua morte, e venne appunto battezzata col nome di praedicta. Quando si parla di previsioni scientifiche, alla gente comune vengono quasi automaticamente in mente quelle del tempo, che sono però diverse dalle precedenti, in un modo interessante. Hanno a che fare, infatti, con un fenomeno scoperto nello scorso secolo, noto come caos deterministico. Cioè, con l’impossibilità pratica di prevedere ciò che sarebbe prevedibile in teoria, non per la mancanza di una legge deterministica, ma per la sua estrema sensibilità alle condizioni iniziali: piccoli cambiamenti nelle cause possono infatti portare a grandi cambiamenti negli effetti, come nel famoso “effetto farfalla”. Questo fa sì che il tempo si possa prevedere bene alla breve, ma che diventi imprevedibile alla lunga: cioè, a distanza di quattro o cinque giorni. Nel Novecento si è però anche scoperto che molti fenomeni sono in realtà imprevedibili non solo in pratica, ma anche in teoria! In particolare, lo sono tutti quelli che dipendono direttamente dalla meccanica quantistica, le cui equazioni regolano il comportamento delle particelle atomiche e subatomiche soltanto in maniera probabilistica. In questo caso, le uniche previsioni possibili sono di tipo statistico.Il che non significa che non si possano mettere a frutto, ma fa sì che solo coloro che non sanno di cosa parlano possano guardare (a seconda dei casi, con speranza o con timore) alla scienza come a un’onnisciente fabbrica di previsioni sul futuro. Non lo è, e poiché non può esserlo, non lo sarà mai. Dunque, non chiediamole l’impossibile, e accontentiamoci di ciò che può fare, che è già molto, e molto più di quanto ci meritiamo. Ma, soprattutto, domandiamoci se veramente vorremmo sapere tutto del futuro, compreso addirittura il momento della nostra fine, individuale o collettiva. Jim Watson, che è la seconda persona al mondo ad essersi fatto sequenziare il genoma, non ha voluto sapere nulla a proposito dei geni collegati alle malattie senili come l’Alzheimer, per non rovinarsi la vita negli ultimi anni. In fondo, si è rivelato più saggio di quegli allocchi che vorrebbero sapere dai Maya quando finirà il mondo. C’è molto da fare per vincere la battaglia contro la superstizione irrazionale e contro l’ignoranza scientifica, e si dovrà combatterla a lungo. Sicuramente, molto dopo il 2012, quando la supposta profezia dei Maya sarà stata smentita, e coloro che avevano difeso una causa che si poteva solo perdere, sprecheranno tranquillamente il loro tempo su altre cause altrettanto perse, senza nessun problema. Perché, come cantavano i Beatles, “è facile vivere a occhi chiusi, fraintendendo tutto ciò che si vede”. Molto più difficile, e ovviamente per molti impossibile, tenere gli occhi ben aperti e cercare di capire ciò che si può.
P. Odifreddi sul Blog del giornale La Repubblica del 1 gennaio 2012
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