“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
25 gennaio 2012
Vincenzo Consolo su Girolamo Li Causi
Il bel commento di Cartabaggiana al precedente post mi spinge a fare alcune precisazioni. Leonardo Sciascia amava dire: “ in Sicilia c'è la mafia, ma la Sicilia non è la mafia”. Confondere la Sicilia con la mafia è stupido. Ma far finta di non vederla è peggio.
La Sicilia non ha prodotto solo mafia. Gran parte della letteratura e dell’arte del 900 si deve ad autori siciliani. Riconoscere questa verità senza cadere nell’ideologia sicilianista è stato il grande merito di Sciascia e Consolo.
Oggi rileggiamo una pagina dello scrittore di S. Agata Militello che ricorda un uomo che ha rappresentato l’onore della nostra isola in tempi ancora più duri di quelli che viviamo oggi.
" Torino, Milano, Termini Imerese, Mirafiori, Arese, Sicilfiat: questa l'unione tra Nord e Sud, questa catena di solidarietà per la crisi della Fiat, per il baratro che a causa della crisi si è aperto davanti agli operai, questa unione, questa solidarietà che oggi con più forza si manifesta, non è certo nuova, ma ha una sua storia. Nel 1892, quando dai Circoli degli zolfatari e dalle prime Società operaie nacquero in Sicilia i Fasci socialisti dei lavoratori, e quando nel 1893 a Grotte, un paesino in provincia di Agrigento (paese di Francesco Ingrao, un valoroso garibaldino nonno di Pietro Ingrao), si tenne il primo congresso dei minatori organizzato dai Fasci arrivarono, in quello sperduto paese, operai di Torino e di Milano per dare sostegno, esprimere solidarietà ai lavoratori siciliani. Alla fine di quel 1893 e ai primi del '94, scoppiarono in vari paesi di contadini e di zolfatari tumulti che vennero atrocemente repressi: nelle stragi di Caltavaturo e di Marineo ci furono 92 morti tra i dimostranti e un solo morto tra le forze dell'ordine. La conseguenza fu quindi l'invio in Sicilia, da parte del governo, del Commissario straordinario Morra di Lavriano e la dichiarazione dello stato di assedio dell'isola, i frutti, gli arresti in massa e le condanne indiscriminate da parte dei tribunali militari. Così il presidente del Consiglio, Francesco Crispi, inaugurava la serie siciliana di uomini di governo e di poliziotti che si sono incaricati di portare militarmente «ordine» nell'isola e di dare tranquillità al potere. Ma gli eccidi succeduti ai tumulti e la sconfitta dei Fasci turbarono la coscienza di molti, indignarono i più consapevoli. I socialisti siciliani per primi: Garibaldi Bosco, De Felice Giuffrida, Napoleone Colajanni, Nicola Barbato, Ciaccio Montalto... E i «continentali»: Prampolini, Agnini, Badaloni, Berenini, Ferri... Indignarono soprattutto gli operai delle fabbriche del Nord. La maggior parte della popolazione rimaneva invece indifferente. Si svegliava, quella popolazione, quando cinque anni dopo, nel '99, il generale Bava Beccaris faceva sparare i suoi cannoni contro i dimostranti per le strade di Milano. Negli anni Venti, si stabilisce ancora un singolare legame tra alcuni operai del Nord e uno straordinario personaggio di Termini Imerese: Girolamo Li Causi. Il giovane Mommo, in occasione della Targa Florio, la corsa automobilistica che si svolgeva sulle Madonie, vi si recava, come tanti altri giovani, per assistervi. E là, nel paese di Cerda, parlava, conversava con gli operai specializzati che erano lì giunti dal Nord per mettere a punto le macchine da corsa. Attraverso quelle conversazioni avvenne la prima educazione politica di Girolamo Li Causi. Educazione che lo porterà poi alla militanza antifascista e per cui sconterà tredici anni di carcere a Ventotene. Dopo la Liberazione, Li Causi ritorna in Sicilia per riorganizzare il Partito Comunista e la campagna per le prime elezioni regionali del 1947. Durante quella campagna, osa sfidare, con un comizio a Villalba, il terribile capo mafia Calogero Vizzini. I cui picciotti sparano a Li Causi e ai suoi compagni ferendoli. Nell'imperversare nell'isola, quell'anno, dei Comitati civici di Gedda e dei vari «microfoni di Dio», come il celebre padre Lombardi e il meno celebre frate francescano Alessandrini, poteva comunque capitare di sentire la voce di Li Causi in qualche sperduto paese siciliano. Come nel mio. Giovinetto, ho ancora vivido il ricordo di questo strano oratore, privo di palco e di microfono, che una domenica mattina, da sopra il muricciolo di una piazzetta, parlava a un gruppetto di contadini. Passando per quella piazzetta, incuriosito, mi unii al gruppo di ascoltatori. E udii per la prima volta, dalla voce di quell'uomo, argomenti nuovi e giusti. Da quell'uomo sul muretto che si esprimeva in dialetto siciliano.
Vincenzo Consolo, L' unità 7 gennaio 2003
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