Oggi, per ricordare il 75° anniversario della
morte di Gramsci, segnaliamo un breve
articolo di Massimo Ragnedda che, in modo semplice, spiega il senso della
critica gramsciana all’indifferenza. Ci
piace concludere il pezzo con la citazione di due appunti scritti in carcere dal grande sardo che confermano l’originalità di un pensiero libero da schemi ideologici precostituiti.
Era il 27
Aprile 1937 e si spegneva a Roma una delle più grandi figure dell’Italia
contemporanea, apprezzata e stimata ovunque nel mondo. I suoi scritti e le sue
opere sono tradotti in decine di lingue e non c’è al mondo biblioteca
universitaria che si rispetti che non ha copia delle sue opere. La sua pagina
Wikipedia è tradotta in più di 50 lingue diverse. Il 27 aprile di 75 anni fa
moriva Antonio Gramsci, dopo aver trascorso quasi 10 anni nelle prigioni
fasciste e gli ultimi tre anni della sua vita tra cliniche e regime di
semilibertà. Gramsci è stato un filosofo, un giornalista, un critico
letterario, ma prima di tutto un uomo che ha lottato con forza e dignità ed ha
pagato, sino in fondo, per le sue idee.
Ed è del
Gramsci come uomo che voglio parlare, del suo impegno civile e del suo senso
dello Stato. Il suo è stato un insegnamento di vita che ancora oggi dovremmo
tener presente.
Il suo odio verso gli indifferenti è un monito, oggi più che mai,
vitale. “Odio gli
indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive
veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è
parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”. Gramsci ha
perfettamente ragione e noi tutti dovremmo ricordare questo semplice
insegnamento. Perché l’indifferenza agisce potentemente nella storia, opera
passivamente, ma agisce. Le cose non accadono per opera di una ristretta
minoranza, ma perché l’indifferenza della stragrande maggioranza lascia che
accadano. Ciò che succede avviene perché la massa abdica alla propria volontà,
lascia promulgare leggi che la penalizzano, lascia salire al potere persone che
non sono degne di governare o amministrare la cosa pubblica. È inutile il
piagnisteo di una parte dei cittadini dinanzi alla miseria dell’umanità. Perché
invece, come ci insegna Gramsci, non domandarsi: “se avessi fatto anch’io il
mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo
ciò che è successo?”
Apprezziamolo oggi questo insegnamento. Apprezziamolo oggi,
dinanzi al dilagante populismo, alla demagogia e all’antipolitica galoppante,
alla corruzione incessante e al debito pubblico, al razzismo che avanza e alla
miseria di certi comportamenti umani. Fermiamoci un attimo e riflettiamo: è
successo per caso? È successo come un fatto del destino o un evento naturale?
Se anche noi avessimo fatto il nostro dovere, non chiedendo favori ai politici
e aumentando, così, il sistema clientelare, se avessimo sempre pagato le tasse,
se non avessimo fatto i furbi sugli autobus, se avessimo pagato il canone, se
avessimo chiesto la fattura e fatto il nostro dovere di onesti cittadini,
saremmo arrivati a tutto questo oggi? Se ad ogni torto subito avessimo
protestato, se ci fossimo sempre rifiutati di accettare favori per saltare una
fila nelle liste di attesa degli ospedali o di chiedere favori per un concorso,
forse oggi l’Italia non sarebbe quel mostro burocratico, corrotto e
antimeritocratico nel quale viviamo. Non si ha il diritto di protestare se non
si è fatto niente per cambiare il sistema, né tanto meno se si è parte
integrante del sistema.
Le decisioni che riguardano tutti noi e il nostro vivere
collettivo vengono prese da poche mani e da poche menti, tra il
disinteresse e l’assenteismo, tra l’indifferenza e la non curanza. E l’opinione
pubblica ignora tutto questo, perché in fondo non se ne preoccupa e lascia che
le cose accadano. Perché, come sottolinea Gramsci, non ci deve essere chi sta
“alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono
partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Non si può essere indifferenti dinanzi alle piccole o grandi
ingiustizie che ogni giorno ci circondano. È necessario prendere parte ed
essere partigiani, se non si vuole essere complici dell’ingiustizia. È
necessario essere cittadini per non essere corresponsabili dei mali che
critichiamo. Perché in definitiva, come ci ha insegnato Gramsci “chi vive
veramente non può non essere cittadino e partigiano”.
Dai Quaderni del carcere
"Tutti i più ridicoli
fantasticatori che nei loro nascondigli di geni incompresi fanno scoperte
strabilianti e definitive, si precipitano su ogni movimento nuovo persuasi di
poter spacciare le loro fanfaluche.
D'altronde ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare uomini sobri, pazienti, che non disperino dinnanzi ai peggiori errori e non si esaltino ad ogni sciocchezza".
D'altronde ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare uomini sobri, pazienti, che non disperino dinnanzi ai peggiori errori e non si esaltino ad ogni sciocchezza".
________
“
il pericolo di non vivacità morale è rappresentato dalla teoria fatalistica (…)
per cui tutto è giustificato dall’ambiente sociale. Ogni senso di
responsabilità individuale si viene così ad ottundere e ogni responsabilità
singola è annegata in una astratta e irreperibile responsabilità sociale . Se
questo concetto fosse vero, il mondo e la storia sarebbero sempre immobili. Se, infatti, l’individuo, per cambiare, ha
bisogno che tutta la società sia
cambiata prima di lui, meccanicamente, per chissà quale forza extraumana,
nessun cambiamento avverrebbe mai”.
Antonio
Gramsci
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