11 aprile 2012

L'eredità di Antonio Gramsci







Merita di essere riproposto l’articolo di Angelo D’Orsi, pubblicato lo scorso mese di gennaio sulla rivista Micromega-on line:

L’eredità di Gramsci e l’identità italiana

Ieri era il giorno natale di Antonio Gramsci, l’autore contemporaneo italiano oggi, forse con Pasolini, più studiato e tradotto nel mondo.

Ha avuto alterne fortune la vicenda di Gramsci, prima ignorato, poi scoperto nel 1947, grazie alle Lettere dal carcere, seguite – in una geniale operazione politico-culturale pensata da Palmiro Togliatti, con la casa editrice di Giulio Einaudi – da una edizione dei Quaderni del carcere, accorpati per temi, in sei volumi, tra il ’48 e il ’51, e poi ancora dagli scritti precarcerari, ossia fino al 1926, quando Gramsci, deputato in carica del Partito comunista d’Italia, fu arrestato in spregio all’immunità, qualche giorno prima dell’entrata in vigore delle cosiddette “leggi speciali” pensate e volute da Alfredo Rocco, il giurista nazionalfascista, che oggi tanti inseriscono nella galleria nobili dei padri della Patria italiana.

Gramsci era nato nel 1891, appunto, il 22 gennaio, ad Ales, e morì a Roma, in clinica, il 27 aprile 1937. Poco più di 46 anni nei quali, a dispetto della malattia, gravissima, che colpì nell’infanzia, e ne minò il fisico; a dispetto della difficoltà di un’esistenza sempre misera; a dispetto delle difficoltà della situazione storico-politica; e, soprattutto, a dispetto della carcerazione, che andò assumendo nel corso degli anni un carattere persecutorio: a dispetto di tutto ciò, egli ha prodotto un doppio tesoro di valore universale: quello letterario e etico delle Lettere, e quello del pensiero che sono i 33 Quaderni, lo Zibaldone del XX secolo (ma concettualmente ben più importante di quello, straordinario, di Giacomo Leopardi del secolo precedente; curiosa coincidenza la morte a distanza di un secolo tra i due, essendo mancato il primo esattamente nel 1837).

Oggi la bibliografia di scritti su Gramsci ha superato i 20.000 titoli, in una quarantina di lingue (ma si tratta di calcolo incompleto, e dunque di dato provvisorio), esistono centri studi a livello internazionale che all’analisi del suo pensiero o alla ricostruzione della sua biografia si dedicano in modo continuativo, come dimostra la continua fioritura di convegni e seminari; è in corso l’Edizione Nazionale degli Scritti – grande impresa sotto l’egida della Fondazione Gramsci di Roma –, ogni mese escono più saggi, articoli e si tengono conferenze su questo eccezionale pensatore e uomo d’azione; e, dopo tante controversie, dopo abbandoni e rimozioni, dopo strumentalizzazioni e appropriazioni, dopo scoperte e riscoperte, finalmente si può affermare che Gramsci sia entrato in modo inamovibile nel Gotha dell’umanità. E una nuova generazione si affaccia da tempo, ormai, sull’universo gramsciano, scandagliandolo con uno sguardo nuovo, con mente sgombra da pregiudizi e da condizionamenti partitici o di clientele accademiche, o ancora di interessi editoriali.

Questa generazione, che personalmente sto accompagnando da anni, ha dato ancora una volta ottima prova della sua passione e della sua competenza, collaborando – in ben 32 autori, di età compresa, all’incirca, fra 27 e i 40 circa) – a un volume collettivo (Il nostro Gramsci. Antonio Gramsci a colloquio con i protagonisti della storia d’Italia, Viella editrice, Roma) che non ha deluso l’aspettativa. Ma al di là del libro vorrei ricordare la manifestazione, da me stesso ideata, con la collaborazione della Fondazione Istituto Piemontese Gramsci, tenutasi a Torino, la città decisiva per la formazione del pensiero e della personalità del Sardo, il giorno 20 gennaio (con lo stesso titolo del libro). In essa, ciascun autore ha raccontato, “recitando” come se fosse Gramsci stesso a parlare, il suo personaggio, scegliendo tra quelli proposti nel libro, da Dante a Petrarca, da Foscolo a Giuseppe Verdi, da Cavour a Giolitti, da D’Annunzio a Marinetti, da Mussolini a Malaparte. Una kermesse seria, ma leggera, a dimostrazione che si può essere rigorosi senza produrre noia, suscitare l’attenzione di chi ci legge o ascolta, senza prostrarne lo spirito.

Che cosa emerge dal libro, o se si vuole dalle ricerche che questi nuovi gramsciologi (tutti variamente anche “gramsciani”) hanno messo in campo negli scorsi anni e di cui il volume è testimonianza originale? Ne viene confermata la dimensione storica del pensiero di Gramsci, ma, soprattutto, la sua continua, costante, fervida attenzione all’Italia, all’Italia una e plurima, alle sue diversità territoriali e al suo spirito nazionale; e il punto di partenza gramsciano è sempre nazionale (talora anche locale), ma il suo orizzonte è sempre sovranazionale: non c’è concretezza nell’analisi politica – dunque nelle scelte operative per trasformarla in azione concreta – se non si adotta quel punto di partenza, il quale, nondimeno, va sempre traguardato, superato, perché siamo parte di un sistema-mondo che non può essere messo tra parentesi.

Pensatore nazionale, dunque, Gramsci, che riflette, da marxista critico (ma si ricordi che il pensiero gramsciano non può essere tutto ristretto nell’alveo marxista, pur nella sua immensa portata), da rivoluzionario, da comunista umanista, sulla storia d’Italia, cercandone i fili conduttori, in un tentativo indefesso di coglierne le varianti e le continuità, elaborando, a partire dall’esame di concrete situazioni, concetti generali (giacobinismo, cesarismo, bonapartismo, egemonia, dominio, consenso, guerra di posizione e di movimento, direzione politica, intellettuali organici, classi subalterne, rivoluzione passiva…), i quali gli servono poi per gettare lo scandaglio in altre situazioni, anche assai diverse e lontane. Così Gramsci ci fornisce un duplice insegnamento, il primo storico, aiutandoci a comprendere la trama della nostra vicenda millenaria, e il secondo teorico, dandoci la chiave per aprire tanti armadi relativi ai meccanismi del potere, della cultura, della società.

Ma infine, percorrendo tutta l’opera di Gramsci, come hanno fatto i collaboratori di questo libro, emerge che le chiacchiere che nel corso del Centocinquantenario abbiamo sentito o letto, di un Gramsci “nemico del Risorgimento” appartengono appunto al regno del chiacchiericcio, dove non penetra mai, ahinoi, la luce del sapere storico, e neppure, sovente, quella dell’intelligenza critica, ma dove, invece, si costruiscono menzogne, si distribuiscono scempiaggini, si consumano luoghi comuni non verificati perché inverificabili.

Gramsci, dunque, italiano, ma aperto alla comprensione e al più fecondo dei dialoghi con quel mondo “grande e terribile”, come ebbe a chiamarlo più volte, ma del quale si professava convintamente cittadino, pur sentendosi sardo, uomo del Mezzogiorno, e, soprattutto, italiano. E le critiche che egli muove al processo unitario, forti, serrate, talora assai aspre – critiche che denunciano gli aspetti deteriori, le politiche sbagliate, l’impostazione addirittura spesso razzista del Nord verso il Sud, sacrificato sull’altare dello sviluppo industriale settentrionale, e così via – non hanno mai inteso mettere in forse quel processo, o cancellarne il valore storico e il significato progressivo.

Ricordiamocene, ora che ci tocca, pur essendo concluse le celebrazioni unitarie, continuare a sentire ogni giorno le bestialità dei goffi paladini della cosiddetta Padania, sia su pretesi caratteri autoctoni “positivi” dei lombardi, veneti, piemontesi (ecc.), contro gli asseriti caratteri negativi dei meridionali, sia sul Sud parassitario “palla al piede” del Nord virtuoso, e così via. Gramsci ci dà una lezione di storia, e ci richiama a un significato complesso e articolato della famosa “identità italiana”, lontano da qualsiasi malinteso orgoglio, estraneo ad ogni nazionalismo, particolarismo ed esclusivismo. Una lezione preziosa anche se guardiamo verso quella popolazione, ormai numerosissima, di subalterni immigrati, che vogliono diventare italiani, e ai quali noi opponiamo rifiuti sbagliati sul piano economico, inaccettabili sul piano politico, repellenti su quello morale.
Grazie, Gramsci!

ANGELO D’ORSI , 23 gennaio 2012

2 commenti:

  1. caro Franco,
    Ci associamo al ringraziamento all'uomo di azione e di pensiero quale fu Gramsci. Già, anche all'uomo di azione. Nel senso che il suo impegno intellettuale fu costantemente orientato all'organizzazione e alla prospettiva della trasformazione sociale. Logos come azione rigeneratrice. Quanto vorrei trovare (dentro di me ma anche fuori di me)la strada che ci riporti alla riscoperta dei nessi unificanti che possano fare germogliare, dal ceppo del pensiero gramsciano, un'idea di sinistra che appassioni le coscienze e che ci spinga, vecchi e giovani, ancora una volta, a spiegare le vele e a intraprendere il cammino. Cercando una luce, fuori dalle "tenebre secolari", come recitava un'antico canto anarchico.
    Un abbraccio.
    Fabrizio

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  2. Caro Fab,
    grazie per il bel commento.
    Saluti

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