Stefano Vilardo tra S. Lombino e F. Virga ad Alpe Cucco (2005)
Stefano Vilardo sta per pubblicare il libro: A scuola con Leonardo, a cura di Antonio Motta, Editore Sellerio. Nell’occasione Tano Gullo ha intervistato il maestro di Delia (CL) che, a 90 anni, conserva intatta la sua lucidità e la sua passione per la letteratura e la vita.
Riproponiamo
di seguito la bellissima intervista apparsa ieri sull’edizione palermitana di
Repubblica:
IL MIO COMPAGNO SCIASCIA
Non finirà
mai di benedire quella bocciatura al primo anno nel magistrale di Caltanissetta
che gli fa rallentare la corsa consentendogli di agganciare la classe
successiva, quella in cui è iscritto Leonardo Sciascia. Così Stefano Vilardo,
oggi 90 anni e tanta voglia ancora di indignarsi- per i politici corrotti e
incapaci, per la gente che li vota, per la viltà degli intellettuali che si
girano dall' altra parte - in quel lontano 1935 trova il compagno di banco e l'
amico di una vita. Ora, tanto tempo dopo troppe cose (gli anni degli studi, la
morte di Sciascia, la fine delle illusioni), Vilardo pubblica "A scuola
con Leonardo", un libro intervista curato da Antonio Motta che la Sellerio
manderà negli scaffali ai primi di maggio. Che
compagno di classe era Sciascia? «Timido e introverso. Per strappargli qualche
parola bisognava usare le tenaglie. Ma di ragionamento lucido. Anche da
giovanissimo le sue parole erano affilate. Rasoiate. Taciturno ma con un lato
segreto, una sorta di doppio, che lo spingeva a ordire scherzi formidabili.E
nessuno sospettava che a idearli fosse il compagno mutigno». Può tirare
fuori dalla cassapanca dei ricordi qualcuno di questi tiri mancini? «Come no?
Una volta per caso venne in possesso della carta intestata di una casa editrice
catanese e la utilizzò per scrivere una lettera al vanitoso professore di
filosofia, autore di una ignobile commedia, in cui gli si prospettava la
pubblicazione dell' opera. Potete immaginare le risate nell' assistere al
pavoneggiamento del docente che già si sentiva come minimo Alfieri. E potete
intuire le ali cadute del "commediografo" quando contattata la casa
editrice si sentì dire che vaneggiava». Eravate bravi a scuola? «Per niente.
Diciamo che galleggiavamo nella sufficienza». Come, anche Sciascia? «Anche.
Ricordo le sue interrogazioni, un lungo silenzio intercalato da sì e no. Ma in
italiano era strepitoso. Soprattutto nei temi. Aiutava tutti, negli attacchi
soprattutto. E tutti lo adoravamo». Ricorda qualche episodio curioso accaduto
tra i banchi? «Il nostro docente di italiano era Giugiù Granata, uomo
coltissimo, e al primo tema, ricordo vagamente che era sulla politica
internazionale, Leonardo lo scrisse in modo talmente documentato e scorrevole
che il docente non volle credere che fosse farina del suo sacco. Leonardo fu accusato
di avere copiato e venne trascinato dal preside Luigi Monaco. Poi per giorni e
giorni Granata cercò di individuare la fonte della copiatura. Invano.
Naturalmente al secondo, terzo, quarto tema, cominciòa ricredersi.E Leonardo
divenne il suo pupillo». Qual era la vita a Caltanissetta in quegli anni di
miseria e guerra? «Straordinaria. Eravamo
poveri e felici della nostra gioventù. La città era ricca di
sollecitazioni: lo scrittore Vitaliano Brancati, il partigiano Pompeo
Colajanni, il comunista Gino Cortese, che ci onorava della sua amicizia. E poi,
coetanei come Emanuele Macaluso, destinato a una grande carriera politica. Non
avevamo una lira, ma traboccavamo di curiosità. Rinunciavamo al panino nella
ricreazione per comprarci i primi romanzi americani. Fu il professor Granata a
darci i soldi per comprare "Un mucchio di quattrini" di Dos Passos».
Nel tempo libero cosa facevate? «Quando avevamo i soldi andavamo al cinema, a
teatro. E leggevamo tantissimo. Amavamo girovagare per le campagne. Ci portavamoi
libri dietro e all' ombra di un albero declamavamo, ci confrontavamo. Ore e ore
a leggere versi e a discutere di poesia. I nostri preferiti erano Montale e
Ungaretti. Ci siamo scervellati su "M' illumino d' immenso" e su
"Ossi di seppia"». Oltre a Sciascia chi era della compagnia? «Eravamo
un trio inseparabile, ci chiamavano i tre dell' Avemaria. Io, detto Steste,
Leonardo, Nanà, e Calogero Bernardo, Lilly. Nei nostri sogni io dovevo fare l'
attore, Nanà il regista e l' altro lo scrittore. Ma la realtà ha scompigliato
le illusioni. La guerra ha forse cambiato i nostri destini; infatti, mentre
meditavamo di andarci a iscrivere alla scuola di cinema di Firenze, l' Italia
venne segata in due dall' avanzata degli americani. Così restammo qui».
Sciascia era vicino alle posizioni comuniste, e collaborò anche alle attività
clandestine? E lei? «Io, per educazione
familiare, ero rigidamente cattolico, quindi democristiano sfegatato,
addirittura segretario della sezione della Dc del mio paese, Delia. Leonardo mi
diceva che sarebbe stata inevitabile la mia fuoriuscita, come quella di tutte
le persone oneste. E così è stato». Lei credente e lui laico. Grandi
dispute? «Nottate intere e interrogarci su Dio, dogmi e anima. Alla fine lui
chiosava: "Senti Steste, parliamo parliamo, ma non arriviamo a niente. E
allora visto che non è possibile rivelare il mistero, leviamoci mano. Parliamo
di cose terra terra». Lei è ancora
credente? «Non più. La terra è un granellino nell' immensità dell' universo e
noi uomini siamo nemmeno punte di spillo. Perché un dio avrebbe dovuto ordire
tutto ciò? E perché dovrebbe consentire queste sofferenze a creature da lui
create? No, è assurdo. Diciamo che anche in questo mi sono avvicinato alle
posizioni sciasciane». Cioè? «Quando Leonardo era molto malato, il suo
medico, nostro amico d' antica data, Totò Bellomo, comunista e ateo, gli disse
che se avesse stretto i denti e collaborato alle cure avrebbe potuto convivere
con il suo male per anni. E aggiunse che valeva la pena di allungarsi la vita su
questa terra perché dopo nulla c' è. Leonardo mi riferì la conversazione e
commentò: "A lui chi glielo disse
che non c' è nulla? Può essere sì e può essere no. Ma chi lo sa?" Da
tempo anche io sono agnostico. Uomo del dubbio come il mio vecchio compagno di
banco». Con un gran balzo nel tempo, eccoci a oggi. Silvano Nigro da noi
intervistato ha detto che oggi la letteratura siciliana è povera cosa. È così?
«Sono totalmente d' accordo con lui. Morto
Consolo non rimane nulla. Solo il grande vecchio Camilleri, uomo generoso e di
forte impegno civile, continua a tenere scena, anche se il suo dialetto
inventato ha perso vigore, comincia a stancare. La lingua di Consolo è più
vigorosa. Diciamo che lui soffriva nella scrittura, Camilleri si diverte.
Quest' ultimo peròè autore di tre romanzi di spessore: "Un filo di
fumo", "La concessione del telefono" e "Il birraio di
Preston". Altra cosa è Montalbano e peggio ancora, la scia di giallie noir
che hanno alimentato». Con Leonardo andavate a scovare giovani pittori. anche
nell' arte oggi c' è decadenza? «Diciamo che va meglio. Ci sono degli anziani
di talento, Piero Guccione e Giuseppe Tuccio, poi quelli un po' più giovani
come Nicolò D' Alessandro e Maurilio Catalano, Totò Caputo. E tanti
trenta-quarantenni di sicuro avvenire: Franco Mulaf, i fratelli Lanfranco e
Vanni Quadrio, Enzo Nucci. Il più bravo di tutti però è Vincenzo Piazza». Come vive la politica? «Malissimo. È uno
scempio. Ci sono due derive, la politica con tutti questi gnomi che la
praticano, e l' antipolitica. Ma più che con i partiti corrotti, ce l' ho con
gli italiani che li votano. Come abbiamo potuto sopportare per vent' anni un
ometto mediocre e vanesio come Berlusconi?».
TANO GULLO su La
Repubblica del 28.04.2012 ed. Palermo.
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