20 aprile 2012

Le critiche di Giulio Sapelli al Governo Monti


Giulio Sapelli non è un pericoloso estremista ma un professore ordinario di Storia economica all’università degli Studi di Milano. Ha insegnato e svolto attività di ricerca in molte università e imprese italiane e straniere. È editorialista del Corriere della sera. Tra le sue pubblicazioni recenti: Un racconto apocalittico. Dall’economia all’antropologia (Milano, 2011) e   L’ inverno di Monti. Il bisogno della politica, Guerini e Associati, Milano, 2012. 

Dal sito http://www.ilsussidiario.net prendo un suo articolo del 5 aprile 2012 :

L’Italia è sommersa dal cloroformio. Si sono sprecate critiche a iosa contro Tremonti perché aveva nascosto all’inizio i prodromi e poi via via l’emergere della crisi economica che dal mondo raggiungeva il nostro Paese. Ora succede la stessa cosa, ma su proporzioni ben più vaste e forse con effetti molto più pericolosi. Chiunque legga la stampa internazionale che non a caso, soprattutto quella anglosassone, è in gran parte posseduta da editori “puri”, ebbene chi legge questa stampa non può non essere preoccupato, perché la crisi europea si aggrava giorno per giorno.
Le banche nella gran maggioranza dei casi, salvo le banche cooperative, hanno chiuso i loro bilanci con gravissime perdite e profondissime svalutazioni degli assets e gli osservatori, che pur esistono, che sfuggono al mito deflazionista e neo liberista à la Merkel-Monti, sono molto preoccupati per la stessa salvezza dell’euro. Da molte parti si parla della necessità di un’uscita negoziata dall’euro, da altre ancora non si ipotizza un ritorno alle antiche monete, ma si descrive una situazione di contagio diffuso che sta venendo alla luce.
Qual è la malattia oggetto di tale contagio? È molto semplice. Per individuarla bisogna capire il tessuto su cui i germi si sviluppano. Tale tessuto è quell’ordito di interconnessioni e di interrelazioni sistemiche (ossia allorché una modificazione delle parti modifica tutte le parti del tessuto, fin nelle più intime particelle), queste interrelazioni erano il vanto della globalizzazione che veniva vieppiù esaltata dalla presenza di un’unica moneta. Non si diceva che con un’unica moneta si possono trasferire soldi ovunque in Europa, vendere ovunque le stesse merci, ecc.? Ammettendo che ciò sia stato vero, ora assieme alla moneta si trasmette il contagio.
Facciamo l’esempio delle banche italiane. Hanno chiuso i bilanci con decine di migliaia di perdite e così facendo trascinano con sé anche gli attivi di moltissime altre banche europee e mondiali, facendo passare molti valori di libro dall’attivo, appunto, al passivo. Per questo bisognava spegnere subito il focolaio della Grecia. Il fariseismo della massaia tedesca, così ben descritto da Fontane, e che la Merkel interpreta anche fisicamente con una plasticità stupenda, ha diffuso la malattia del passivo in tutto il mondo, per timore di perdere i pochi spiccioli che una politica anti-incendio immediata sarebbe costata.
Il guaio è che l’unica unità medica dinanzi al contagio è rimasta una Bce che agisce di fatto contro il suo statuto: stampa moneta a manetta, come si diceva una volta in gergo tipografico, euro, per comprare titoli di stato sovrani e ricapitalizzare le banche. Ma questo è come curare il morbillo senza il vaccino. Per carità, so che oggi esistono anche gruppi di persone contrari al vaccino e mi ricordano proprio i gruppi dirigenti europei, ma i vaccini servono, eccome! Ma per vaccinare l’economia europea, ripetiamolo ancora, occorre sostenere la domanda e la domanda si sostiene seguendo Kalecki e Keynes con una politica di investimenti. Se quelli privati non ci sono ci devono essere quelli pubblici.
L’Europa sta crollando e sgretolandosi perché il personale medico della Bce cura le banche e i ministri del tesoro e non le famiglie e le imprese che da potenti iniezioni di denaro pubblico, che si trasformano in iniziativa imprenditoriale, potrebbero riprendere la via della crescita. Ma i distruttori, picconi alla mano, dicono: ma questo aumenterebbe i debiti pubblici! Aiuto, aiuto! Ma siete mai stati in Giappone? Il debito pubblico è del 280%, ma nessuno chiede aiuto, e se non ci fosse i giapponesi sarebbero già ridotti alla fame e la Cina il Giappone l’avrebbe già occupato.
Guardate alla Spagna e al Portogallo. Le banche, soprattutto quelle spagnole, sono in una crisi profondissima perché anche quelle territoriali, non cooperative ma comunque locali, sono state colpite da una vertigine da successo. Un successo da bolla immobiliare che ora pagano terribilmente.
Qual è la soluzione? Non operano come dovrebbero fare razionalmente secondo il modello delle crisi bancarie pre-globalizzazione, ossia creare una bad bank, infilarci dentro gli assets tossici e con garanzia pubblica cercare nel tempo di venderli. Ricordo che in questo modo si salvarono gli Stati Uniti dalla grande crisi delle casse di risparmio degli anni Ottanta del Novecento. Invece, che cosa fa la Banca centrale spagnola? Procede a delle gigantesche fusioni tra le casse, tanto che oggi la prima banca spagnola per attivi è appunto una cassa nata da tali fusioni. Insomma, anche lì fusioni su fusioni, ricapitalizzazioni su ricapitalizzazioni delle banche, ma nessuna crescita dell’economia reale: il Paese sprofonda in una disoccupazione endemica e terribile.
Insomma, la politica deflazionistica sta distruggendo l’Europa del sud e ponendo le basi per la diffusione della crisi in Germania. Infatti, il commercio mondiale non è in buona salute e le esportazioni non sono più la panacea. E il mercato interno tedesco, che è ancora uno dei più floridi al mondo, è sempre più insufficiente a svolgere almeno in parte quel ruolo che il mercato interno nordamericano ha svolto rispetto all’economia mondiale: ossia importare merci europee per dare un po’ di ossigeno all’economia delle altre nazioni dell’euro. Si è fatto di peggio, si è creato un dualismo salariale tra gli operai tedeschi che non potrà non avere effetti devastanti sullo stesso mercato interno tedesco.
L’unica nota positiva è che la grandezza del movimento sindacale tedesco è emersa in tutta la sua luce. I suoi dirigenti hanno capito che la forza di un sindacato è la contrattazione salariale. E hanno chiesto un aumento dei salari. Speriamo che questi aumenti portino anche un po’ di inflazione. Che farebbe bene non solo alla Germania, ma a tutta l’Europa.
Sento già i muggiti e i belati degli economisti neoclassici che pascolano le banalità deflazioniste e credono nella favola del debito pubblico e alla sua cura grazie all’aumento delle tasse. Ma davanti a questi bovini e ovini ancora una volta, come dice l’incipit del Capitale del grande Marx, l’operaio Weitling ha calzato gli stivali delle sette leghe e cammina ben più veloce di tutti i professorini e professoroni governativi e non.
Infatti, solo la lotta salariale, l’aumento del mercato interno, la ripresa di una spesa pubblica industriale e non parassitaria, potranno salvare l’Italia e l’Europa. Grazie operaio Weitling! Sei lo stesso che dinanzi alla crisi fonda le cooperative, riforma le banche, crede nella comunità e nella sussidiarietà, quale che sia il colore della tua camicia. Ciò che conta sono i tuoi stivali delle sette leghe.

Giulio Sapelli

2 commenti:

  1. Caro Franco,
    sento un bisogno estremo di calda saggezza, ma quel che percepisco, al contrario, sono ondate di fredda stoltezza.
    Che qualcuno ci illumini.
    fab

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  2. Caro Fab,
    forse non ho ben capito il senso del tuo intervento.
    A me pare che il punto di vista di Sapelli, freddo per quanto possa sembrare, non si discosti molto da quello di Stiglitz che hai recentemente ripreso nel tuo blog:
    Stiglitz, qualche giorno fa, in un’intervista ripresa da Repubblica (12/04/2012) ci mostra quello che, con il nostro grezzo senso comune, già sapevamo. E lo sapevamo bene. Se un’economia è in recessione, ovvero subisce una contrazione della domanda, ossia dei consumi (sia del mercato interno che, ovviamente, dell’export) ne risente il gettito fiscale (meno scambi, meno compravendite, meno guadagni e quindi meno tasse che si pagano e, quindi, meno introiti per le casse dello Stato). Ecco che gli obiettivi di risparmio vengono mancati nella misura e nei traguardi che ci si era proposti. Non solo: il calo delle commesse è logicamente accompagnato da drastiche diminuzioni della produzione e, conseguentemente, da altrettanto drastici tagli occupazionali. Ciò che ne dovrebbe naturalmente conseguire è un aumento esponenziale della spesa sociale, che sostenga i consumi e che consenta un riequilibrio degli standard minimi della sostenibilità esistenziale. Al contrario, il metodo imposto dalla BCE e dalle altre istituzioni finanziarie internazionali prevede che nuovi tagli vengano applicati a pensioni, salari, servizi sociali. Stiglitz: “…i governi non dovrebbero contrarre la spesa ma aumentarla…”. Le risorse, poi, non dovrebbero certo provenire da una spremitura generalizzata ma, ad esempio, da quella tassa sulle transazioni finanziarie di cui si parla, e si è parlato sin dall’inizio degli anni 2000 (Tobin Tax), e che è ritornata alla ribalta sino a qualche mese fa, registrando la decisa opposizione del Regno Unito, ma che ora sembra del tutto accantonata.

    Ancora Siglitz: “Una overdose di risparmio non può che peggiorare la situazione. Tutto ciò ricorda il Medioevo quando il paziente moriva si diceva che il medico aveva interrotto troppo presto il salasso (…). Con questa cura sono stati trattati per decenni molti paesi emergenti iperindebitati, e spesso la cura è stata letale.”

    Stiglitz, nel 2001, ha ottenuto il Nobel per l’economia, non per questo viene ascoltato. Serve solo ciò che conviene.

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