Giulio
Sapelli non è un pericoloso estremista ma un professore ordinario di Storia
economica all’università degli Studi di Milano. Ha insegnato e svolto attività
di ricerca in molte università e imprese italiane e straniere. È editorialista
del Corriere della sera. Tra le sue pubblicazioni recenti: Un
racconto apocalittico. Dall’economia all’antropologia (Milano, 2011) e
L’ inverno di Monti. Il bisogno della politica, Guerini e Associati, Milano,
2012.
L’Italia è sommersa dal cloroformio. Si sono
sprecate critiche a iosa contro Tremonti perché aveva nascosto all’inizio i
prodromi e poi via via l’emergere della crisi economica che dal mondo
raggiungeva il nostro Paese. Ora succede la stessa cosa, ma su proporzioni ben
più vaste e forse con effetti molto più pericolosi. Chiunque legga la stampa
internazionale che non a caso, soprattutto quella anglosassone, è in gran parte
posseduta da editori “puri”, ebbene chi legge questa stampa non può non essere
preoccupato, perché la crisi europea si aggrava giorno per giorno.
Le banche nella gran maggioranza dei casi, salvo
le banche cooperative, hanno chiuso i loro bilanci con gravissime perdite e
profondissime svalutazioni degli assets e gli osservatori, che pur esistono,
che sfuggono al mito deflazionista e neo liberista à la Merkel-Monti, sono
molto preoccupati per la stessa salvezza dell’euro. Da molte parti si parla
della necessità di un’uscita negoziata dall’euro, da altre ancora non si ipotizza
un ritorno alle antiche monete, ma si descrive una situazione di contagio
diffuso che sta venendo alla luce.
Qual è la malattia oggetto di tale contagio? È
molto semplice. Per individuarla bisogna capire il tessuto su cui i germi si
sviluppano. Tale tessuto è quell’ordito di interconnessioni e di interrelazioni
sistemiche (ossia allorché una modificazione delle parti modifica tutte le
parti del tessuto, fin nelle più intime particelle), queste interrelazioni
erano il vanto della globalizzazione che veniva vieppiù esaltata dalla presenza
di un’unica moneta. Non si diceva che con un’unica moneta si possono trasferire
soldi ovunque in Europa, vendere ovunque le stesse merci, ecc.? Ammettendo che
ciò sia stato vero, ora assieme alla moneta si trasmette il contagio.
Facciamo l’esempio delle banche italiane. Hanno
chiuso i bilanci con decine di migliaia di perdite e così facendo trascinano
con sé anche gli attivi di moltissime altre banche europee e mondiali, facendo
passare molti valori di libro dall’attivo, appunto, al passivo. Per questo
bisognava spegnere subito il focolaio della Grecia. Il fariseismo della massaia
tedesca, così ben descritto da Fontane, e che la Merkel interpreta anche
fisicamente con una plasticità stupenda, ha diffuso la malattia del passivo in
tutto il mondo, per timore di perdere i pochi spiccioli che una politica
anti-incendio immediata sarebbe costata.
Il guaio è che l’unica unità medica dinanzi al
contagio è rimasta una Bce che agisce di fatto contro il suo statuto: stampa
moneta a manetta, come si diceva una volta in gergo tipografico, euro, per
comprare titoli di stato sovrani e ricapitalizzare le banche. Ma questo è come
curare il morbillo senza il vaccino. Per carità, so che oggi esistono anche
gruppi di persone contrari al vaccino e mi ricordano proprio i gruppi dirigenti
europei, ma i vaccini servono, eccome! Ma per vaccinare l’economia europea,
ripetiamolo ancora, occorre sostenere la domanda e la domanda si sostiene
seguendo Kalecki e Keynes con una politica di investimenti. Se quelli privati
non ci sono ci devono essere quelli pubblici.
L’Europa sta crollando e sgretolandosi perché il
personale medico della Bce cura le banche e i ministri del tesoro e non le
famiglie e le imprese che da potenti iniezioni di denaro pubblico, che si trasformano
in iniziativa imprenditoriale, potrebbero riprendere la via della crescita. Ma
i distruttori, picconi alla mano, dicono: ma questo aumenterebbe i debiti
pubblici! Aiuto, aiuto! Ma siete mai stati in Giappone? Il debito pubblico è
del 280%, ma nessuno chiede aiuto, e se non ci fosse i giapponesi sarebbero già
ridotti alla fame e la Cina il Giappone l’avrebbe già occupato.
Guardate alla Spagna e al Portogallo. Le banche,
soprattutto quelle spagnole, sono in una crisi profondissima perché anche quelle
territoriali, non cooperative ma comunque locali, sono state colpite da una
vertigine da successo. Un successo da bolla immobiliare che ora pagano
terribilmente.
Qual è la soluzione? Non operano come dovrebbero
fare razionalmente secondo il modello delle crisi bancarie pre-globalizzazione,
ossia creare una bad bank, infilarci dentro gli assets tossici e con garanzia
pubblica cercare nel tempo di venderli. Ricordo che in questo modo si salvarono
gli Stati Uniti dalla grande crisi delle casse di risparmio degli anni Ottanta
del Novecento. Invece, che cosa fa la Banca centrale spagnola? Procede a delle
gigantesche fusioni tra le casse, tanto che oggi la prima banca spagnola per
attivi è appunto una cassa nata da tali fusioni. Insomma, anche lì fusioni su fusioni,
ricapitalizzazioni su ricapitalizzazioni delle banche, ma nessuna crescita
dell’economia reale: il Paese sprofonda in una disoccupazione endemica e
terribile.
Insomma, la politica deflazionistica sta
distruggendo l’Europa del sud e ponendo le basi per la diffusione della crisi
in Germania. Infatti, il commercio mondiale non è in buona salute e le
esportazioni non sono più la panacea. E il mercato interno tedesco, che è
ancora uno dei più floridi al mondo, è sempre più insufficiente a svolgere
almeno in parte quel ruolo che il mercato interno nordamericano ha svolto
rispetto all’economia mondiale: ossia importare merci europee per dare un po’
di ossigeno all’economia delle altre nazioni dell’euro. Si è fatto di peggio,
si è creato un dualismo salariale tra gli operai tedeschi che non potrà non
avere effetti devastanti sullo stesso mercato interno tedesco.
L’unica nota positiva è che la grandezza del
movimento sindacale tedesco è emersa in tutta la sua luce. I suoi dirigenti
hanno capito che la forza di un sindacato è la contrattazione salariale. E
hanno chiesto un aumento dei salari. Speriamo che questi aumenti portino anche
un po’ di inflazione. Che farebbe bene non solo alla Germania, ma a tutta
l’Europa.
Sento già i muggiti e i belati degli economisti
neoclassici che pascolano le banalità deflazioniste e credono nella favola del
debito pubblico e alla sua cura grazie all’aumento delle tasse. Ma davanti a
questi bovini e ovini ancora una volta, come dice l’incipit del Capitale del
grande Marx, l’operaio Weitling ha calzato gli stivali delle sette leghe e
cammina ben più veloce di tutti i professorini e professoroni governativi e
non.
Infatti, solo la lotta salariale, l’aumento del
mercato interno, la ripresa di una spesa pubblica industriale e non parassitaria,
potranno salvare l’Italia e l’Europa. Grazie operaio Weitling! Sei lo stesso
che dinanzi alla crisi fonda le cooperative, riforma le banche, crede nella
comunità e nella sussidiarietà, quale che sia il colore della tua camicia. Ciò
che conta sono i tuoi stivali delle sette leghe.
Giulio Sapelli
Caro Franco,
RispondiEliminasento un bisogno estremo di calda saggezza, ma quel che percepisco, al contrario, sono ondate di fredda stoltezza.
Che qualcuno ci illumini.
fab
Caro Fab,
RispondiEliminaforse non ho ben capito il senso del tuo intervento.
A me pare che il punto di vista di Sapelli, freddo per quanto possa sembrare, non si discosti molto da quello di Stiglitz che hai recentemente ripreso nel tuo blog:
Stiglitz, qualche giorno fa, in un’intervista ripresa da Repubblica (12/04/2012) ci mostra quello che, con il nostro grezzo senso comune, già sapevamo. E lo sapevamo bene. Se un’economia è in recessione, ovvero subisce una contrazione della domanda, ossia dei consumi (sia del mercato interno che, ovviamente, dell’export) ne risente il gettito fiscale (meno scambi, meno compravendite, meno guadagni e quindi meno tasse che si pagano e, quindi, meno introiti per le casse dello Stato). Ecco che gli obiettivi di risparmio vengono mancati nella misura e nei traguardi che ci si era proposti. Non solo: il calo delle commesse è logicamente accompagnato da drastiche diminuzioni della produzione e, conseguentemente, da altrettanto drastici tagli occupazionali. Ciò che ne dovrebbe naturalmente conseguire è un aumento esponenziale della spesa sociale, che sostenga i consumi e che consenta un riequilibrio degli standard minimi della sostenibilità esistenziale. Al contrario, il metodo imposto dalla BCE e dalle altre istituzioni finanziarie internazionali prevede che nuovi tagli vengano applicati a pensioni, salari, servizi sociali. Stiglitz: “…i governi non dovrebbero contrarre la spesa ma aumentarla…”. Le risorse, poi, non dovrebbero certo provenire da una spremitura generalizzata ma, ad esempio, da quella tassa sulle transazioni finanziarie di cui si parla, e si è parlato sin dall’inizio degli anni 2000 (Tobin Tax), e che è ritornata alla ribalta sino a qualche mese fa, registrando la decisa opposizione del Regno Unito, ma che ora sembra del tutto accantonata.
Ancora Siglitz: “Una overdose di risparmio non può che peggiorare la situazione. Tutto ciò ricorda il Medioevo quando il paziente moriva si diceva che il medico aveva interrotto troppo presto il salasso (…). Con questa cura sono stati trattati per decenni molti paesi emergenti iperindebitati, e spesso la cura è stata letale.”
Stiglitz, nel 2001, ha ottenuto il Nobel per l’economia, non per questo viene ascoltato. Serve solo ciò che conviene.