12 maggio 2013

A MIA MADRE




A mia madre stamattina voglio dedicare un’anonima benedizione irlandese e due poesie:


Benedizione irlandese

Possa la strada alzarsi
per venirti incontro.
Possa il vento soffiare
sempre alle tue spalle.
Possa il sole splendere
sempre sul tuo viso
e la pioggia cadere
soffice sul tuo giardino.
E fino a che non ci incontreremo di nuovo,
possa Dio tenerti
nel palmo della Sua mano.
                                                           
 
                                                                   

 
STAMATTINA MI MANCA UN SORRISO

Stamattina mi manca un sorriso,
un sorriso di ieri, non ancora svanito;
una mano che dava il suo tenue
calore, senza strette tenaci,
una bocca un po’ avara di baci,
per timore che non fosse gradito,
in quel tempo feroce, improvviso,
il suo labbro sbiadito; i suoi slanci
d’affetto, d’un tono pacato, sopito,
il suo abbraccio d’un corpo ferito,
in attesa di pace, forse ignaro
di quanto crescesse, velenoso,
quel fiore nascosto nel petto.
E il mio cuore, smarrito, sussulta,
come fossi un bimbetto, nel buio,
di paure segrete, di tristezze
inconsuete, per un giorno di festa.
Metto un fiore di campo in un vaso,
il più antico di casa, che un tempo
si riempiva di garofani e gigli,
a lei cari. E mi fermo, in silenzio,
a pensare alla voce lontana
dell’ultimo giorno, a un saluto
che indicava un futuro ritorno,
un incontro di rito, di nuovo fissato:
forse il suo primo impegno tradito,
senza il cenno d’un qualche preavviso,
d’un suo appuntamento mancato.


Francesco De Girolamo

                                                                    ***

LETTERA ALLA MADRE

«Mater dulcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d'amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo.» - Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore,
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
«Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance
alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell'ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso mi ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro,
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dulcissima mater.»

Salvatore Quasimodo
(da “La vita non è sogno” 1946 –1948, in Tutte le poesie, Arnoldo Mondadori Editore 1960)


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