26 maggio 2013

Per Nazim Hikmet poeta d'amore e di lotta





Maurizio Cucchi,  su "La Stampa - TuttoLibri" di ieri, nel prendere spunto da un libro pubblicato recentemente in memoria del grande poeta turco, ha scritto quanto segue:







Nâzim Hikmet è uno dei poeti più letti e amati del Novecento, e le ragioni di questa diffusa passione per la sua opera vanno sicuramente oltre le sue drammatiche vicende personali. Quello che infatti da subito attrae un pubblico molto vasto e vario è la straordinaria vitalità che Hikmet sa esprimere anche dall’interno delle circostanze più dolorose in cui si trovò compresso. Si può infatti dire che la sua è una poesia d’amore totale, in cui il respiro epico e lirico si alternano o si fondono con naturalezza, partendo dall’esperienza reale, dalla realtà direttamente vissuta, per comporre una sorta di aperta autobiografia in versi capace di stacchi verticali e di ampi movimenti narrativi.
Lo possiamo ben vedere in questo nuovo volume, ricco di inediti in italiano, nel quale abbiamo la possibilità di ripercorrere un intero cammino poetico e biografico, arrivando a conoscere persino i versi scritti da un Hikmet ancora bambino o adolescente. Come spiega il curatore, Giampiero Bellingeri, al quale si deve anche il sostanzioso saggio introduttivo, in Poesie d’amore e di lotta viene presentata una scelta di testi tratti dalle maggiori raccolte pubblicate da Hikmet e da tre raccolte postume. Con una importante e vasta sezione di Poesie sparse, disposte in ordine cronologico. In appendice, appunto, sono collocate le Prime poesie. Ma il dato più rilevante è che tutti i versi di Hikmet sono stati direttamente tradotti dalla lingua originale, dallo stesso Bellingeri e da Fabrizio Beltrami e Francesco Boraldo, diversamente da quanto accaduto in versioni già note, fatte soprattutto dal francese, come quelle sicuramente meritorie di Joyce Lussu. Si avverte, nelle nuove traduzioni, la particolare cura dell’aspetto metrico e ritmico, che rende bene la natura vivace e incalzante dei versi del poeta turco.
La vita di Hikmet non fu lunga. Nato nel 1902 a Salonicco da una famiglia dell’aristocrazia turca, era vissuto da bambino in un ambiente in cui la poesia era di casa. Il nonno paterno, Nâzim Pascià, era stato governatore di varie province, ma anche scrittore e poeta in lingua ottomana, una lingua, come scrive lo stesso Hikmet, in cui la maggior parte delle parole erano arabe o persiane. Il nonno materno, figlio di un nobile polacco, militare di carriera, era anche filologo e storico. Il padre era un diplomatico, la madre aveva studiato a Parigi, amava la poesia francese, leggeva al figlio Lamartine e Baudelaire, ed era pittrice.
A diciott’anni, Hikmet passa in Anatolia e partecipa alla guerra di liberazione condotta da Mustafà Kemal (Atatürk). Nel ’21 aderisce al movimento rivoluzionario russo e va a Mosca dove conosce Lenin, Esenin e Majakovskji. Torna poi in Turchia e viene arrestato una prima volta. Nel ’38 viene condannato a 28 anni e 4 mesi di carcere: ne sconterà ben 12 in Anatolia, scrivendo moltissi­mo. In seguito, una volta liberato, si trasfe­rirà in Unione Sovietica, vivendo nei pressi di Mosca, in quella che sarà per lui la «ma­dre Russia», mentre i suoi libri cominciava­ no a essere noti in tutto il mondo. Innume­revoli i suoi viaggi, anche in Italia. Fino alla morte, sopraggiunta per infarto cinquan­ t’anni fa esatti: il 3 giugno del 1963. Aveva dunque 61 anni, 17 dei quali trascorsi in pri­gione.
La lotta, il carcere, l’amore sono le mag­giori etichette sotto le quali i suoi versi ven­gono in genere catalogati. Ma si tratta, co­munque, di elementi che molto spesso in­trecciano e coesitono, pur nel passaggio da inizi sperimentali ­ presente anche l’esempio di Majakovskji ­ a un canto più disteso e linea­re o all’efficace alternarsi narrativo di versi e prosa come in Perché Benerci si è ucciso?
Tornando a Hikmet con questo bel volu­me, non possiamo ancora una volta non re­stare sorpresi e catturati dalla impressionan­te ricchezza di immagini e situazioni, di figu­re e personaggi che il poeta riesce a produr­re. Un’apertura all’esistere e alla speranza, in lui, davvero irrinunciabile: «Ho perso la mia libertà, ho perso il mio pane, oltre a te, /ma tra fame, tenebre e grida /mai ho perso la fiducia nei giorni che verranno /che alla nostra porta busseranno con le loro mani di sole… //sono felice di esser venuto a questo mondo, /adoro la sua terra, la sua luce […] //vorrei vagare per il mondo, /vedere pesci, frutti, astri mai visti». Ecco uno dei tantissimi esempi dell’energia limpida di un poeta capace continuamente di rinnovare la sua adesione alla vita, passando attraverso i più vari luoghi del mondo, cantando Istanbul, Mosca, Parigi, Tallinn, Varsavia, Praga, Buca­ rest, Baku, L’Avana con una libertà interiore fortissima e incrollabile, da grande poeta e grande personaggio come Hikmet ha sapu­to essere sempre.

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