09 maggio 2013

IL MIELE DI GIOVANNI LO DICO









Domani 11 maggio, alle ore 18, nei locali del castello di Marineo, il Centro Studi e Iniziative, in collaborazione con la rivista NUOVA BUSAMBRA e l’editore ADARTE,  presentano il volume di Giovanni Lo Dico Finalmente le api mangiarono il miele. Autobiografia di un siciliano che non si rassegna.
Il titolo si riferisce alla conquista, ottenuta dopo aspre battaglie, dei lavoratori agricoli che avevano i terreni a metaterìa presso grossi proprietari terrieri. Negli anni ’50, grazie ad un decreto del ministro Gullo, il prodotto del raccolto agricolo venne finalmente diviso dando il 60% al colono e il 40% al proprietario del fondo. Il libro racconta l’infanzia rubata dell’autore-narratore, costretto a sei anni a lavorare nei campi come raccoglitore di olive con altri bambini che frequentano ad intermittenza le scuole elementari. Ancora ragazzo perde prematuramente il padre: la madre si impiega in lavori domestici a Palermo lasciando Giovanni e la sorella a vivere con i nonni. Lo Dico diventa a tredici anni bracciante agricolo, sarà poi mezzadro, mietitore stagionale a Corleone e Prizzi, coltivatore diretto. Dopo la seconda guerra mondiale diventa attivista politico, partecipando alle lotte per la riforma agraria e sarà impegnato nel movimento sindacale e cooperativo.

Il libro sarà presentato dall’autore insieme ai curatori Nicola Grato e Santo Lombino. Interverranno inoltre l’avv. Giovanni Chinnici, figlio del Giudice Chinnici, Carmelo Fascella e Franco Virga.





Di seguito potete leggere alcuni brani tratti dal libro:


LA RIFFA  (1945)


Tutti desideravamo avere dei giocattoli: mi ricordo una
volta, due giorni prima della vigilia dei morti, passò un uomo
che arriffava, sorteggiava un cavallo di legno molto bello e
che io desideravo tantissimo. Un biglietto costava quattro
soldi. Il valore del cavallino era cinque lire. Feci guerra e
fuoco e finalmente convinsi mia madre ad acquistarne uno.
Portava il numero quarantadue, me lo ricordo ancora. Ho inseguito
quell’uomo per tutto il giorno, giravo per le strade assieme
a lui sperando che il sorteggio avvenisse da un
momento all’altro. ogni tanto urlava: Chistu è l’ultimu e tiramu!!
Ma l’ultimo acquirente non arrivava mai. Dalla via Pietro
Micca siamo andati a finire nelle strade sopra il quartiere
San Francesco. Finalmente era riuscito a vendere l’ultimo biglietto
e si poteva procedere all’estrazione del numero vincente.
Le donne che abitavano in quella strada si sono
avvicinate per assistere al sorteggio. Per me fu un momento
emozionante, in quell’attimo che il signore infilò la mano dentro
il sacco per estrarre il numero vincente mi concentrai con
tutte le mie forze pensando al famoso numero quarantadue.
Il numero che tirò fuori non era il quarantadue, ero bambino
e mi sono messo a piangere, me ne ritornai a casa come un
cane bastonato. Dissi a mia madre che il quarantadue non
era uscito e mia madre mi rincuorò e mi disse di non pensarci
più perché non era successo niente...


LA MARCHESA  BALESTREROS (anni ‘70)

Iniziammo l’occupazione delle terre nei vari comuni. In
tutti i feudi si vedevano centinaia di muli con gli aratri, tutti in
fila, che lavoravano le terre e quanti scontri diretti ci furono
tra i contadini, i proprietari e i mafiosi: scene indimenticabili!
Era una situazione drammatica, ma dovevamo affrontarla per
liberarci dalla schiavitù. Quelle condizioni di vita avevano costretto
molti siciliani ad emigrare, a scappare dalle campagne
e dalla miseria. Nel 1971 la federazione di Palermo
mi diede l’incarico di aprire a Misilmeri una sezione di un sindacato
che difendeva i mezzadri, affittuari e piccoli coltivatori
diretti, cioè l’Alleanza Contadini, oggi Confcoltivatori, la sede
fu in via Roma, io ne fui il presidente. Quante lotte ho fatto
insieme ai contadini! In Parlamento nel 1971 venne approvata
una legge che abolì la mezzadria, rimaneva solo l’affitto. Il canone
di affitto fu regolato da una legge, chiamata “legge sui
fondi rustici. Non mi affidai alla volontà di Dio
per fare applicare quella legge, sapevo con chi avevo a che
fare, con persone che per secoli e secoli avevano dominato
il mondo. Me la studiai bene e un bel giorno di domenica, finita
la mia mezza giornata di lavoro, anziché di andarmene a
casa dalla mia famiglia, partii per il feudo di Bongiordano,
detto L’acqua o Chiuppu. Era il tempo della mietitura, il mese
di luglio, c’era un caldo afoso, mi girai tutto il feudo, invitai
tutti i contadini a partecipare ad una assemblea che dovevo
fare sotto l’albero di pioppo, sotto il quale c’era una sorgente.
In quella assemblea spiegai, con la legge in mano, che non dovevano
pagare più il canone di affitto stabilito dalla marchesa, ma
quello stabilito dalla legge che era 28 volte il reddito dominicale.
Non fu facile convincerli perché poverini venivano da
una secolare sottomissione, non era facile rompere quella
gabbia di acciaio. In quell’assemblea usai una dialettica persuasiva,
incoraggiante, entusiasmante, ma la paura era tanta
e tale che si rifiutarono di chiederne alla marchesa l’applicazione.
Ne convinsi solo due, due compagni comunisti, cioè
Giuseppe Rizzolo e Salvatore Bonanno. Il giorno della trebbiatura
eravamo tutti là presenti, quando i due contadini che
ero riuscito a convincere chiesero alla signora marchesa l’applicazione
della legge per quanto riguardava il canone di affitto,
la nobile ingoiò il rospo e non parlò: conosceva bene
quella normativa! I due contadini coraggiosi non solo si portarono
a casa tutto il grano, ma essendo la legge in vigore da
due anni, chiedendone l’applicazione e quindi rifacendo il
conteggio anche per il canone dell’anno precedente, la marchesa
rimase debitrice nei loro confronti. I contadini di tutto
il feudo, sia di Misilmeri che di Marineo, che avevano avuto
paura ad affrontarla portarono a casa, come sempre, poco
grano, ma guardarono straniti tutto quello che era successo.
L’anno successivo, durante la mietitura tornai nel feudo a
rifare un’altra assemblea, questa volta non sotto l’albero di
pioppo, ma alle case che ci sono nel feudo Bongiordano,
nella strada che porta a Risalaimi. Parlai di nuovo della legge,
ma questa volta fui compreso facilmente, dopo l’esperienza
dell’anno precedente. Mentre stavo per finire l’assemblea,
ero riuscito a convincere tutti, ecco arrivare una macchina
lussuosa con due persone a bordo: la signora marchesa e il
suo autista. Si fermò proprio davanti ai nostri piedi, scese dalla
macchina e chiuse lo sportello con rabbia. Si avvicinò verso
di me spruzzando vapore come un toro infuriato e mi disse:
“Lei mi scandalizza i miei contadini fedeli!”. Io le risposi: “Fedeli
ci sono i cani! Questi sono uomini e devono difendere la
loro dignità!”.




IL MARESCIALLO  (anni 70)

A quel punto, vista la fermezza dei contadini,
tentò altre vie, la via delle amicizie. L’indomani il maresciallo
dei carabinieri mandò una pattuglia nel feudo Bongiordano a
intimidire i contadini, dicendo che richiedendo l’applicazione
di quella legge sarebbero andati incontro a dei rischi e quindi
consigliavano loro di continuare con il vecchio sistema. I contadini
la sera vennero all’Alleanza Contadini e mi raccontarono
tutto, erano impauriti. Feci capire loro che era solo un
atto intimidatorio, avevano cercato di spaventarli, non potendo
fare nient’altro. Con i miei discorsi rassicuranti, superarono
quella paura e se ne andarono a casa. L’indomani
sera, tornando dal lavoro, mia moglie mi disse che erano venuti
a cercarmi due carabinieri, c’era il maresciallo che mi
voleva parlare. La cosa mi piacque perché era proprio quello
che volevo, parlare con il maresciallo. Andai subito in caserma,
mi presentai e il piantone mi portò in una stanza dove
c’era il maresciallo. La prima domanda che mi fece: “Signor
Lo Dico, lei in questi giorni è andato a fare qualche riunione
in qualche azienda agricola…”. Lo guardai in faccia e dissi fra
di me: “Ma guarda che maresciallo simpatico! Lui sicuramente
si aspetta che gli dico: “Ma, maresciallo io non sono
andato da nessuna parte…” . Il maresciallo voleva completare
la sua strategia intimidatoria, prima con i contadini in campagna,
poi con me che ero il loro rappresentante. Invece io a
quella domanda risposi con fermezza: “Maresciallo, ma di
quale azienda mi sta parlando lei, perché io di assemblee ne
faccio tante nelle varie aziende!”. “E in quale veste ci va a
fare queste assemblee?” — mi disse. “In qualità di presidente
dell’Alleanza Contadini” — gli risposi. “Ma lei lo sa che prima
di entrare nella proprietà che non è sua, bisogna chiedere il
permesso?” — continuò il maresciallo. Ed io: “Maresciallo,
posso andare in qualsiasi proprietà tutte le volte che i contadini
affittuari me lo chiedono, semmai se c’è una persona che
deve chiedere permesso per entrare in quelle aziende quella
è proprio la signora marchesa perché i contadini le pagano
l’affitto. Se lei paga l’affitto della sua casa, non è che il proprietario
arriva ed entra senza chiedere permesso. Questo
vale anche per la signora marchesa”. Mi disse: “Non mi stia
a fare il comizio!”. Gli risposi: “E’ lei che mi ha chiamato per
farle il comizio!”. Non potendo far niente in questa direzione
tentò un’altra via e mi disse: “Lei signor Lo Dico ha una pena
in sospeso…”. Subito capii di che cosa si trattava. Fino al
1961 le medicine gratuite spettavano solo al capofamiglia. Ci
furono scioperi in tutta Italia che durarono quindici giorni affinché
l’assistenza farmaceutica fosse estesa anche alla moglie
e ai figli. Durante uno dei tanti scioperi fummo denunziati
sette lavorator. Nel processo di appello, nel 1963, fummo
condannati a tre mesi con la condizionale, prescrivibili in anni
cinque. Il termine della pena era scaduto nel 1968. Quindi
dissi al maresciallo che cercava di spaventarmi: “Maresciallo,
i termini di quella pena sono scaduti!”. E il maresciallo: “E
allora non le posso fare niente!”. Ed io gli risposi: “Ma le cose
non durano in eterno! Maresciallo, mi aspettavo questo tipo
di comportamento da un altro tipo di persone, non da chi dovrebbe
essere un esecutore materiale della legge!”. Lui mi
disse: “Prima dovrebbero incominciare da Roma!”. Io gli riposi:
“Per intanto io inizio da Misilmeri!”.

  
AI GIOVANI D’OGGI
Il secolo scorso cioè il 20° secolo è stato il secolo della riscossa popolare. Sotto la bandiera rossa con la falce e martello ci siamo uniti tutti, operai delle fabbriche e braccianti della terra, abbiamo conquistato tanti diritti, dall’assistenza farmaceutica alla indennità di disoccupazione, alla pensione alle donne casalinghe, al rispetto delle 8 ore di lavoro, all’art. 18 che permetteva di trattare il lavoratore a pari della dignità del suo datore di lavoro, alla riforma agraria che diede la terra ai contadini poveri. Ma allora alla guida di queste battaglie c’erano uomini di principio come Palmiro Togliatti e come Giuseppe Di Vittorio, uomini che non pensavano di arricchirsi, ma di adoperarsi per emancipare la classe lavoratrice. A quei tempi c’erano tanti uomini di principio nel partito comunista e devo dire la verità anche nella democrazia cristiana come De Gasperi ed altri. A quei tempi la politica si faceva per gli ideali, per passione, non per il torna conto come ora: la corruzione sta portando il popolo alla miseria! Da giovane mi ero illuso che una volta conquistati i diritti non si potevano perdere più, invece con l’attuale politica  si stanno perdendo molti diritti conquistati con lotte e sacrifici.                                                                                                                                                Io ho  quasi 84anni e non ho più la forza per reagire, ma invito i giovani a non cadere nella rassegnazione e a lottare sempre se vogliono che sia rispettata la loro dignità di lavoratore, noi ce l’abbiamo fatta. Prevedo uno scontro sociale molto forte, nasceranno uomini ricchi di ideali che si scontreranno con i politici corrotti, perché quando si arriva al baratro il popolo  incomincia ad acquistare coscienza e risorge.                                                                                                                 Ho voluto raccontare la mia storia soprattutto per i giovani e per le future generazioni, per far conoscere loro la storia della mia generazione, la storia dei loro nonni, affinché i  miei e i loro sacrifici non vengano sepolti nel dimenticatoio.

1 commento:

  1. IERI SERA GIOVANNI LO DICO HA ULTERIORMENTE DIMOSTRATO DI ESSERE UN UOMO STRAORDINARIO!

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