28 maggio 2013

VIVA IL TALENTO!






Dal blog http://www.nazioneindiana.com questa mattina raccolgo con piacere questo invito:

Da qualche settimana l’intera collezione di Sud è scaricabile gratuitamente qui Moltissime sono state le collaborazioni eccellenti per i quindici numeri pubblicati ma anche gli esordi che la nostra rivista ha reso possibili. Il testo che vi propongo è stato scritto da Yasmina Khadra per noi ed è stato pubblicato sul numero uno, edito da Raimondo di Maio (Dante & Descartes) .(effeffe) 



Viva il talento di Yasmina Khadra
traduzione di Martina Mazzacurati


Sono rimasto pensieroso, quel sabato 30 novembre 2002. Pensieroso e scosso. Letteralmente preso in contropiede. La Francia sempiterna rendeva omaggio ad uno dei suoi più sbalorditivi romanzieri, Alexandre Dumas, innalzandolo all’empireo del Pantheon. Il presidente Chirac ostentava la sua più solenne gratitudine nel rivolgersi alla spoglia di Alexandre Dumas, quel mulatto dai capelli crespi la cui pelle non abbastanza chiara offriva in passato il fianco a tanta indelicatezza. Quella sera, in una Parigi completamente sedotta, abbiamo capito una cosa essenziale: il genio si sottrarrà sempre alla meschinità.
Eppure, in altri tempi, questa stessa Francia non era stata così tenera con i suoi scrittori. Hugo, Zola, Jules Vallès, per citarne solo alcuni, erano stati messi al bando, con schiere di creditori alle calcagna, di sbirri zelanti, quando non si trattava di oscuri critici allergici alla luce radiosa del talento.
Quanti poeti eccelsi, vero, Baudelaire? Quanti romanzieri illuminati, giganti straordinari hanno dovuto subire l’esclusione e la crudeltà dei loro detrattori, restando a vegetare in condizioni penose, aspettandosi il peggio solo perché offrivano ai loro simili il meglio di sé?

Ma la Francia, che non perdona mai, sa come farsi perdonare. Dopo le grettezze e le piccole ingratitudini, ecco arrivata l’ora degli omaggi tardivi, belli, sinceri, magici, grandiosi, per ridare evidenza alla grandezza incontestabile della nazione. Parigi ricorda e si raccoglie; le sue strade si prestano straordinariamente alla messinscena della mitizzazione; la guardia repubblicana cadenza il passo sulla marcia funebre; la Francia degli dei riscopre il suo olimpo, raramente ha superato sé stessa come in quel sabato.
E tuttavia, proprio nel momento in cui Alexandre Dumas viene innalzato al rango che compete alla sua generosità, le consorterie segregazioniste di ieri si preparano a infierire. La cerimonia è appena terminata e già la falsa bohème rimette in campo le sue frustrazioni, le lingue biforcute, abilissime nel dire tutto e il contrario di tutto, riprendono il volo e i guru delle Lettere rinnovano la loro stupefacente vocazione: proscrivere il colpo di genio, destituire i meriti, dequalificare il talento autentico e consacrare volgari scempiaggini a scapito di opere sublimi.
In quella medesima settimana, mentre i Francesi esumavano il loro Grande estinto per portarlo alle stelle, in Algeria si continuava a profanare le tombe e a “resuscitare” i nostri cari dispersi solo per buttarli nel fango. Un superbo poeta, Tahar Djaout, assassinato dagli integralisti nel 1993, viene bruscamente strappato al sonno eterno per essere esposto agli anatemi. Ed è così che un tale scrittore fallito, Tahar Ouettar, autore di lingua araba nonché guru nei suoi momenti bui, trova che il fatto di scrivere in francese sia gravemente oltraggioso.
Oltraggioso per chi?

Per la letteratura algerina o per quei pennivendoli da serraglio, a lungo adulati in mancanza di concorrenza nell’epoca in cui le vere vocazioni erano imbavagliate dalla canaglia messianica che ci governava e che oggi si ritrovano faccia a faccia con la loro mediocrità?
A quei nostalgici del tempio virtuale vorrei dire che la letteratura non è una questione di lingua, ma una questione di “verbo”. E il “verbo” è innato, viscerale – lo si possiede o non lo si possiede. E certo non s’improvvisa, né se ne fa merce di scambio, e se – per le esigenze della Causa – lo si dovesse costruire di tutto punto, non durerebbe che il tempo di uno slogan, perché l’autenticità del talento si valuta a conti fatti, in funzione della sua longevità. Gogol non è un genio perchè è russo, lo è grazie alle eccezionali doti di domatore di parole, come Camus, Naguib Mahfouz, Mutis, o Musil. Questi esseri divini addomesticano la lingua a beneficio delle parole; quando scrivono, si innalzano al di sopra dei vocaboli per raggiungere gli spiriti; diventano maghi, incantatori, visionari illuminati, e mettono il loro talento al servizio degli uomini, di tutti gli uomini senza distinzione di razza o di costumi perché la letteratura è la patria di tutti.

Lo scrittore che non ha ancora centrato il problema, commette un grossolano errore di processo; il suo posto non è nei libri, ma nel disprezzo degli assennati.
“Scrivere” non ha bisogno di complementi, è un verbo autosufficiente. In arabo, in cinese, poco importa; tutti gli incantesimi si assomigliano, a patto che non ci siano guastafeste. La felicità di uno scrittore sta nell’essere letto. I lettori non sono più Australiani, Indiani, Fiamminghi, Croati, Italiani o Libanesi; sono i SUOI lettori. Le frontiere non hanno senso quando gli uomini si capiscono. E quando degli energumeni riescono a perdere il treno, quando sanno che non hanno niente da dare, quando la loro insignificanza li riacciuffa, diventano malvagi come iene.
Non c’è peggiore orrore della gelosia.

Invece di mobilitarsi intorno ad uno splendido progetto, di consolidare i bastioni delle nostre ambizioni e di operare perché l’intelligenza dia scacco matto al gioco d’astuzia e alle connivenze, nel mio paese ci si accanisce a sgozzare le teste che predominano.
Brahim Llob scrive al riguardo: “ In Algeria, le cose vanno così, senza scampo. C’è in noi una sorta di piacere perverso nel non dissociare il successo altrui dall’eresia, o dalla fellonia. Questo pregiudizio esercita su di noi un prurito doloroso e piacevole al tempo stesso; potremmo grattarci a sangue senza pertanto volerci fermare. Cosa volete? Ci sono persone strutturate così: contorte perché incapaci di restare dritte, cattive perché hanno perso la fede, infelici perché amano profondamente esserlo. A memoria di Algerino, non abbiamo mai nemmeno tentato di riconciliarci con la nostra verità. Quale salvezza possiamo mai prescrivere ad una nazione quando il fior fiore dei suoi figli, che dovrebbe risvegliare le coscienze, comincia con il travestire la sua?”

Quello che dovremmo ritenere della nostra rovina odierna è, senza ombra di dubbio, questa cecità morbosa che ci impedisce di vedere la bellezza di ognuno di noi, questa ostilità cretina che ci aizza come un’orda di cani rabbiosi contro le nostre prodezze, questa grettezza che ci rende fragili ogni volta che la notorietà apre le braccia ad uno di noi. Dal momento che una rondine non fa primavera, nessuno scrittore può, da solo, incarnare la letteratura.
Così come, quando il talento eccelle, diventa ridicolo contestarlo. Anzi, bisogna saperlo salutare. E’ là che risiede il buonsenso. La grandezza non consiste nello sminuire gli altri nello scopo di sovrastarli; essa è il coraggio e la probità intellettuali di inchinarsi davanti alla magnificenza che li distingue.





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