14 maggio 2013

IL COSTO DELLA VITA





Esce oggi per Einaudi il libro di Angelo Ferracuti , Il costo della vita, la storia di tredici operai del cantiere Mecnavi di Ravenna che nel 1987 morirono asfissiati nelle stive di una nave. Quello che segue è un estratto dal primo capitolo. Accompagna il volume un viaggio per immagini di Mario Dondero. Una delle sue foto è riprodotta qui sopra. 


Solennemente garibaldina e massonica, Ravenna sembrava respirare un’aria di festa ottocentesca, con le borse in pelle di coccodrillo bianche rosse e verdi in bella vista, una dietro l’altra, coccarde fissate sui cappotti, bambini con in mano bandierine tricolore. Il contagiorni che il sindaco aveva fatto installare davanti al municipio era finalmente sullo zero.
La notte precedente, proprio in piazza del Popolo le immagini di un filmato aderivano perfettamente alle finestre del palazzo della Prefettura, dove un fascio di luci illuminava la facciata con in mezzo il numero 150, e al centro della piazza una bandiera italiana sventolante la faceva da padrona. Anche a notte fonda, dall’accogliente stanza dell’hotel Byron sentivo la voce narrante di un documentario che usava tutti i miti del Risorgimento.
Ci eravamo parlati al telefono un paio di volte e la voce reticente di De Renzi mi era parsa avara di discorsi, quindi mi aspettavo un uomo taciturno e torvo, anziano e dall’aria vagamente depressa. Gli avevo detto che avrei indossato uno zainetto marrone, che in realtà era color panna, e alle cinque del pomeriggio, nel cuore popolatissimo della città, con famigliole e signori eleganti a passeggio, lo aspettavo tra le due colonne veneziane con i santi protettori, segno del dominio della Serenissima, di lato al palazzo comunale, spaurito e con gli occhi aperti. Da dove sarebbe arrivato? Come poteva essere fatto quell’uomo? Alle cinque e un quarto, dopo essermi guardato intorno più volte, mi avvicinai a un signore che proprio come me era in attesa di fianco al caffè Roma e aveva tutta l’aria di aspettare qualcuno, chiedendogli timidamente, sicuro di non essere smentito: De Renzi, vero?
Il tipo elegante dai capelli folti e ben curati mi rispose serafico: No, mi dispiace, giustificando la sua attesa solitaria con un Mi stavo guardando intorno. La stessa cosa si è ripetuta con un altro paio di signori anziani, i quali debbono avermi preso per scemo.
Quando ero sul punto di desistere, pensando che non ci saremmo più incontrati, dopo aver chiamato al suo telefono di casa senza che nessuno rispondesse, vidi venire verso di me il tipo con il basco blu comunardo che avevo seguito con lo sguardo per almeno una decina di minuti. Mi indicò con l’indice della mano destra e pronunciò il mio cognome, praticamente facendomi tana. Mi disse subito che a trarlo in inganno era stato lo zainetto. Panna, non marrone, ci tenne a precisare. Ryszard Kapuściński avrebbe tradotto così questo sentimento: Non sappiamo mai chi stiamo per incontrare, anche se si tratta di una persona di cui conosciamo da tempo il nome e l’aspetto. Figuriamoci poi se si tratta di qualcuno che vediamo per la prima volta. Ogni incontro con l’altro è dunque un indovinello, qualcosa di ignoto se non addirittura di segreto. Verissimo.
Cosi ci facemmo largo tra la folla, cercando nella ressa un tavolino. Adesso Giacinto De Renzi, tutta la vita sindacalista, si materializzava diverso dalla voce fossile, ritrosa, timidissima che avevo conosciuto al telefono. Anzi, in realtà aveva un’aria allegra e un paio di baffi simpatici, la fronte spaziosa, il fare spiritoso di uno che vorresti avere come amico.
Tornando indietro nel tempo, ricordammo inevitabilmente l’ultimo grande sciopero operaio alla Fiat, quello dei trenta giorni, linea di demarcazione e punto di non ritorno, che c’era stato sette anni prima della tragedia di Ravenna. Proclamato l’11 settembre 1980, un giovedì, era partito da tutti i reparti del gruppo torinese: Rivalta era stata bloccata, e anche la Lancia di Chivasso, da Mirafiori e dal Lingotto altri cortei di operai si erano fatti largo spavaldi negli stabilimenti.
L’anno precedente erano stati licenziati sessantun operai tra quelli più politicamente attivi e sindacalizzati, e i primi giorni di maggio 1980 l’azienda aveva posto in cassa integrazione 78000 operai, tanto che il 1° luglio l’amministratore Umberto Agnelli rese pubblica all’assemblea degli azionisti la volontà di licenziare 15000 lavoratori. Mentre parlavamo di quello sciopero e della manifestazione che fecero i quarantamila colletti bianchi per protestare contro i picchetti operai che impedivano agli impiegati di entrare negli stabilimenti, cambiai improvvisamente discorso e gli chiesi quale era la situazione a Ravenna nella meta degli anni Ottanta. De Renzi era già sufficientemente a proprio agio per raccontarmi quello che sapeva, le voci intorno a noi anziché disturbare proteggevano. Allora le nostre preoccupazioni erano più per il Petrolchimico, dove si utilizzava l’amianto, – esordì. – Perché quando si scaricava questo minerale micidiale, mettevano i cocomeri e le bibite a ghiacciare nell’amianto, sulle navi. Mi disse che in quegli anni non solo nella cantieristica, ma anche all’Enichem e in altri settori cominciava il lavoro in affitto, in un momento in cui ancora la figura del rapporto di lavoro era quello a tempo indeterminato, nel sistema degli appalti i lavoratori venivano presi in prestito. Queste aree pescavano pure nelle fasce di emarginazione e di precarietà. C’era pure qualcuno, non mi ricordo più chi, che aveva avuto storie di tossicodipendenza. Perché quella gente, che comprendeva una vasta area di immigrazione clandestina dai paesi del terzo mondo (Africa, paesi arabi, Filippine, Sri Lanka), era probabilmente attratta anche dal punto di riferimento per la droga rappresentata dal porto. La sua memoria, che fu importantissima nel corso delle indagini, disegnava uno scenario allarmante: nella zona del ravennate, in quel periodo, c’erano circa 20000 disoccupati iscritti alle liste di collocamento, molti dei quali giovani, e migliaia di cassaintegrati di aziende in crisi nel settore metalmeccanico, edile, chimico, tessile e calzaturiero. Era un momento di grande crisi, – riprese dopo aver ordinato una cioccolata calda con dei pasticcini, – quindi si doveva rendere tutto più competitivo per stare sul mercato.
In realtà cominciò una politica di assegnazione delle commesse di lavoro che favoriva le aziende scorrette, quelle che eludevano i contratti, violavano le più elementari norme che regolamentavano gli aspetti assicurativi, fiscali, previdenziali e, ovviamente, non rispettavano la tutela e la salute dei lavoratori. Lì è cominciata a circolare la parola flessibilità, tanto e vero che nel corso di un convegno che si tenne a Ravenna dove c’erano anche Trentin e Pizzinato, proprio Treu, che allora faceva il consulente della Cisl, teorizzava queste cose. La politica delle aziende che davano commesse di lavoro puntava esclusivamente ad avere i minor costi possibili, i tempi di consegna più rapidi e la massima flessibilità. Tanto che molti di quei ragazzi che morirono nelle stive della Elisabetta Montanari lavoravano in nero. Non erano denunciati all’ufficio di collocamento, o all’Inail, Seconi era addirittura al suo primo giorno di lavoro. E poi alla Mecnavi c’era anche qualche nostro iscritto, ma non facevano mai sciopero. Con l’azienda e i fratelli Arienti, che allora per le riparazioni navali lavoravano in regime di monopolio all’interno del porto, in quanto da poco avevano assorbito anche la Cmt, c’erano solo rari rapporti epistolari. Descrisse Enzo Arienti come un giovane imprenditore spregiudicato, di una razza tipicamente provinciale e italiana che in quegli anni si affacciava sulla scena. Con lui c’erano rapporti solo formali, non c’è mai stata una trattativa. Qual e la mia impressione? Lo vuoi proprio sapere? – mi fece serio e deciso. – Beh, l’impressione non e una bella impressione, era un imprenditore d’assalto, una persona fredda, un cinico.
Giacinto De Renzi continua poi a raccontarmi di quegli anni: Era un momento difficilissimo, molte aziende metalmeccaniche avevano chiuso i battenti, come per esempio la Marini, che faceva macchine stradali, e la Fornace, le uniche
che funzionavano erano quelle della costruzione “offshore” e navale, e quelle appaltatrici che operavano dentro il Petrolchimico. Ecco che in questo contesto di crisi spietata occorrono operai altamente specializzati (saldatori, carpentieri, tubisti, tracciatori) che le aziende si rubano l’una con l’altra, si lavora a qualsiasi ora, l’uso indiscriminato del subappalto cresce a dismisura, la riduzione al minimo del personale occupato e un altro indicatore sensibile, e si concretizza quello che De Renzi descriverà cosi nella sua deposizione al processo: C’è infatti uno stretto nesso di causalità fra deterioramento del mercato del lavoro e abbassamento (fino al loro azzeramento) delle condizioni di sicurezza. Su una cosa pero non aveva dubbi: Ravenna era in quel periodo il meridione del nord, il meridione dell’Emilia, e gli operai li reclutavano con il metodo tradizionale. I caporali, uno di questi veniva chiamato “il napoletano”, raccoglievano le disponibilità della gente a lavorare fuori regola e a determinate condizioni di paga. Li trovavano nei bar, uno di questi era il bar del porto San Vitale, o utilizzando il passaparola.
Disse che quei ragazzi non li avrebbe mai più dimenticati. Quella storia ha messo in discussione anche quello che facevo io. Si poteva evitare, si poteva intervenire. Tutto era accaduto a Ravenna, dove c’era una sindacalizzazione molto forte. Pensa, noi sindacalisti si andava il sabato nei cantieri edili insieme agli operai a vedere se venivano rispettate le misure di sicurezza. E se succedeva qualcosa ci chiamavano eppure e successo quello che è successo.
Ma i sindacati avevano denunciato queste cose già tre anni prima che avvenisse la tragedia, chiedendo di incontrare l’Associazione degli industriali e delle piccole imprese, i politici, gli amministratori, i partiti, che a venticinque anni di distanza si sono estinti quasi tutti (Pci, Dc, Pri, Psi, persino il Pdup). Un volantino della Flm del 1° ottobre 1986 ha un tono grave, e adombra una situazione minacciosa di pericolo: Il mercato del lavoro nel settore della cantieristica e impiantistica metalmeccanica si è notevolmente deteriorato e si sono sviluppati e radicati veri e propri fenomeni di intermediazione di mano d’opera e di caporalato. Tale fenomeno ha portato con sé violazioni delle norme contrattuali, evasioni fiscali, mancato rispetto delle più elementari norme di sicurezza. E’ nato prima negli appalti legati alle piattaforme di perforazione e poi si è allargato a macchia d’olio in tutte le realtà a partire dalla cantieristica navale. Le aree dove si e sviluppato sono i cantieri Agip, la Sarom, l’Anic e il porto in generale. Quello che e più grave e che l’atteggiamento delle varie società delle partecipazioni statali ha favorito lo svilupparsi di questo fenomeno.
De Renzi, mi avevano detto, non si era più riavuto dopo quella storia. Invece a raccontarla, incalzato dalle mie domande, il discorso sembrava filare liscio, fin quando non gli chiesi dove si trovava esattamente quel giorno maledetto, una data che a Ravenna si è fissata come un marchio a pelle nelle menti di più generazioni. Il ricordo più vivo è quello nella testa delle persone, – dice cupo, malinconico. – Invece nell’espressione politica e rimasto rituale, e io non amo le cose rituali perché non vanno mai al nocciolo. Precisò che molte cose non le ricordava più, e neanche gli dispiaceva. C’è una parte della memoria che esclude certi ricordi. Ti rimane il quadro, la cornice, ma dentro ci sono delle cose che non riesci più a ricordare. Cosi ti salvi un po’.
Il passeggio nella piazza era sempre più folto, così come il chiacchiericcio che pero non minava la conversazione. Vedi, oggi è la festa del centocinquantesimo anniversario della Repubblica e la Costituzione di questa Repubblica dice che bisogna garantire l’integrità fisica del lavoratore. Invece viene sempre prima l’organizzazione del lavoro, viene prima l’impresa, il profitto… in quella storia c’erano i prodromi di quello che sarebbe successo dopo, e qui si e giocata una grossa partita. Non credo che i lavoratori abbiano vinto.
Dal  I cap. del libro di Angelo Ferracuti , Il costo della vita, Einaudi 2013
Pubblicato dallo stesso autore sul sito http://www.leparoleelecose.it/

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