01 agosto 2014

MATERA CELEBRA PASOLINI

Enrique Irazoqui e Pasolini in una pausa del Vangelo secondo Matteo


Matera celebra Pasolini a partire da Il vangelo secondo Matteo. Un progetto che ricostruisce con documenti rari la storia del film e la sua eredità culturale, e la relazione tra il regista e i Sassi

Fabrizio Scrivano

La scoperta del poeta è un viaggio tra i sensi
Si è aperta nella città dei mitici Sassi una mostra che, per esteso, si inti­tola Paso­lini a Matera. Il Van­gelo secondo Mat­teo 50 anni dopo. Nuove tec­ni­che di imma­gine: arte, cinema, foto­gra­fia, e ci sarà tempo fino al 9 novem­bre per andarci. Già dal titolo, molte pro­messe.
Ce n’è per rie­vo­care, per cele­brare, per pro­muo­vere, per stu­diare, per capire, per intrat­te­nersi e per diver­tirsi. Non si imma­gini una mostra cele­bra­tiva, che corre sem­pre il rischio di diven­tare un per­corso tri­ste tra quat­tro o quat­tro­cento oggetti messi in fila.
Invece, a rico­struire e a pro­porre un attento rie­same sto­rico di quella vicenda, con tanti docu­menti spesso rari e dif­fi­cili da avvi­ci­nare, è un alle­sti­mento che favo­ri­sce un approc­cio sen­so­riale e istin­tivo. La nar­ra­zione cui i cura­tori (Marta Ragoz­zino e Giu­seppe Appella, con Ermanno Taviani e Paride Lepo­race) danno forza è l’insieme di atti, di volontà e di stru­menti che per­mi­sero e implicò la rea­liz­za­zione di un pro­getto cul­tu­rale che inclu­deva tante cose, come un tea­tro di sca­tole cinesi.
In fondo si può pen­sare che un sem­plice set cine­ma­to­gra­fico possa aver fatto (e con­ti­nui a fare) da cen­tro cata­liz­za­tore di diversi per­corsi mate­riali e astratti, pur­ché non si disprez­zino le occa­sioni con­crete, pur­ché non si bana­liz­zino le scelte pra­ti­che, pur­ché non si riduca ogni gesto a un con­sun­tivo. Il divi­smo paso­li­niano, stru­mento ed essenza di un artista/intellettuale capace, quanti altri mai, di agire un con­te­sto d’arte totale, con­ti­nua a fare la sua parte ora più di allora. Cosa che quasi dà pia­cere, come un sol­le­tico discreto, rispetto a tante pro­po­ste ane­ste­ti­che nelle quali il met­tersi in gioco suona (per volon­ta­rio edo­ni­smo) come una maniera com­pia­ciuta.

Dun­que il visi­ta­tore tro­verà acco­glienza e sol­lievo sia che desi­deri par­te­ci­pare vir­tual­mente a un momento felice della cul­tura ita­liana, ricco come fu di ripa­ra­zioni e pro­messe, sia che voglia ascol­tare il solido discorso cri­tico che i cura­tori hanno pre­di­spo­sto (e per il quale, visto anche il con­cor­rere di così tanto mate­riale — mano­scritti, foto, regi­stra­zioni, oggetti e fil­mati — si deve auspi­care un cata­logo, ancora non secon­da­rio mezzo di soprav­vi­venza degli eventi). E intanto che pre­para il baga­glio, il poten­ziale visi­ta­tore accet­terà di essere accom­pa­gnato con un paio di rifles­sioni, tra le tante che una mostra di que­sto tipo può susci­tare.

La prima riguarda l’eredità cul­tu­rale. Il Van­gelo secondo Mat­teo, che Paso­lini rea­lizzò nel 1964 dopo una lunga pre­pa­ra­zione (tra cui un deci­sivo sopral­luogo in Pale­stina del 1962) può a tutti gli effetti con­si­de­rarsi una tra­du­zione, da un mezzo ver­bale a un mezzo visuale, dal libro al film.
La nar­ra­zione sacra non venne tra­dita né inter­pre­tata ma come riscritta in un’altra lin­gua (sulla cui pecu­lia­rità Paso­lini teo­rizzò in vari scritti), per essere tra­sfe­rita in un diverso ambito di comu­ni­ca­zione e, forse soprat­tutto, in un diverso ambito per­cet­tivo.
Non che man­casse un imma­gi­na­rio visivo della vita di Cri­sto, dalla pit­tura certo ma anche da qual­che film, che infatti viene lar­ga­mente ritra­dotto in nuove imma­gini. E non man­cava nep­pure una lunga tra­di­zione di riscrit­tura della nar­ra­zione evan­ge­lica, anche molto recente, che aveva riguar­dato la let­te­ra­tura, il tea­tro, la radio e la tele­vi­sione: tutti eser­cizi o espe­rienze di ricol­lo­ca­zione del sacro nei nuovi media, che anche gli ope­ra­tori reli­giosi ave­vano guar­dato con inte­resse e spesso patro­ci­nato. 
Forse, una così dif­fusa attra­zione per il rac­conto evan­ge­lico, che acco­mu­nava reli­giosi e atei, sia pure ina­spet­ta­ta­mente, pro­ve­niva dal fatto che al cen­tro di quel rac­conto ci fosse l’evento: ora mani­fe­sta­zione del sacro e dell’ignoto, dell’invisibile, ora e diver­sa­mente con­di­zione sen­si­bile di ogni comu­ni­ca­zione, ele­mento di con­cre­tezza (anche se con derive spet­ta­co­lari) tra inter­lo­cu­tori mate­rial­mente distanti.

Pre­senza e assenza, distanza e vici­nanza, rico­no­sci­bi­lità e mistero, furono pro­prio gli ele­menti cen­trali della rifles­sione este­tica che Paso­lini ela­borò nella con­ce­zione di quest’opera. Quando era andato in Pale­stina era rima­sto sor­preso di quanto quello spa­zio geo­gra­fico e antro­pico fosse pic­colo e mode­sto, quasi angu­sto: «alla delu­sione pra­tica cor­ri­sponde invece una pro­fonda rive­la­zione este­tica […]le cose quanto più sono pic­cole e umili tanto più sono pro­fonde e belle», dice la voce di Paso­lini nel docu­men­ta­rio di quel sopral­luogo, quasi a regi­strare una dismi­sura tra le attese col­le­gate a quel così grande evento che fu l’esistenza di Gesù e il luogo che ne fu tea­tro ter­reno.
Anche que­sta rifles­sione può aiu­tare a cogliere il rap­porto che il regi­sta ebbe con la scelta dei Sassi, rioni per­duti e negletti, da poco tagliati fuori dalla sto­ria e da qual­siasi pos­si­bi­lità di tra­sfor­ma­zione che inclu­desse le per­sone stesse che li ave­vano abi­tati. Come dun­que non vedere in quella scelta, certo stru­men­tale e nep­pure ori­gi­nale (in altre occa­sioni i Sassi erano stati lo sce­na­rio di nar­ra­zioni cine­ma­to­gra­fi­che), anche un gesto che si sarebbe pro­po­sto come pro­messa di ripa­ra­zione e di rilan­cio, nel futuro, di una parte di sto­ria e di patri­mo­nio?

Cir­co­lando per le sale delle varie sezioni in cui la mostra è com­po­sta, il visi­ta­tore tro­verà assai più cose da veri­fi­care, che cor­ri­spon­dono a tante occa­sioni di cui gio­varsi. Per­ché la mostra rende anche, in modo accen­tuato, un’immagine sen­si­bile di quanto un’operazione cul­tu­rale prenda piede e rilievo, accre­scen­dosi di signi­fi­cato, da un insieme ete­ro­ge­neo di ele­menti: non solo quelli che, anche indi­ret­ta­mente, con­cor­rono nel pro­getto e nella rea­liz­za­zione di un’opera ma anche quelli che ad essa si affian­cano ed aggiun­gono, come ad espan­derla e a modi­fi­carla.

La sezione dedi­cata allo spe­ri­men­ta­li­smo e alla neoa­van­guar­dia (Gruppo Uno e Gruppo 63), ben­ché Paso­lini non avesse mai dato segni di entu­sia­stica affi­nità con quelle espe­rienze arti­sti­che, sot­to­li­neano tut­ta­via che con essi con­suo­nava su un impe­gno a per­cor­rere un nuovo oriz­zonte pro­get­tuale in cui diverse mate­rie, diversi stru­menti e diversi dispo­si­tivi sen­so­riali con­cor­res­sero a pro­durre un nuovo spa­zio este­tico.

E in fondo la scelta di ren­dere il per­corso della mostra molto inte­rat­tivo, con voci nar­ranti nelle sale, dispo­si­tivi ottici e mate­riale con­sul­ta­bile in auto­no­mia, non risponde sol­tanto a un biso­gno di intrat­te­ni­mento. Sem­bra anche voler rap­pre­sen­tare la maniera mul­ti­me­diale e mul­ti­sen­so­riale con la quale fruiamo e sem­pre più frui­remo ogni atti­vità culturale.

Il manifesto – 25 luglio 2014

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