Calamandrei Piero
Chiarezza nella Costituzione
Sab, 19/09/2015 - 13:58 — Luca-Menichetti
Fa un certo effetto rileggere le parole
di Piero Calamandrei in merito alla Costituzione repubblicana proprio
nei giorni in cui in Parlamento impazza il mercato delle vacche e si
annuncia il pastrocchio approvato da un'esigua maggioranza; tutto
finalizzato ad assicurare il potere a una banda di personaggi tanto
arroganti quanto incompetenti. Se oggi il principale strumento di
comunicazione è il cosiddetto storytelling, tale da archiviare
sbrigativamente ogni ragionamento con "gufi" e "rosiconi", l'intervento
di Calamandrei, pronunciato il 4 marzo 1947 davanti all'Assemblea
Costituente, marca una distanza siderale rispetto quanto sta uscendo
dalla bocca degli attuali onorevoli, noti dilettanti allo sbaraglio, e
da quei giuristi che hanno innanzitutto interesse a servire il potente
di turno. Parole di straordinaria attualità, proprio in rapporto allo
scempio di questi giorni. Leggiamo di una Costituzione che avrebbe
dovuto essere "presbite" e di padri costituenti che avrebbero dovuto
esaminare i problemi costituzionali con spirito lungimirante: il "senso
storico […] non si deve trasformare in un gretto compromesso di partito,
che restringa il nostro campo visivo alle previsioni elettorali
dell'immediato domani" (pp.53). Oggi il senatore D'Anna e tanti come lui
la pensano diversamente: "La riforma è una fetenzia, ma per
salvare Matteo Renzi la voto" (da huffingtonpost del 18/09/2015). La
straordinaria (in)attualità delle parole di Calamandrei si misura
soprattutto nella considerazione dei limiti del progetto costituzionale,
che il giurista fiorentino aveva colto già in sede di Assemblea
Costituente, e poi pretesto per progetti di riforma spesso peggiorativi.
Non quindi la "Costituzione più bella del mondo", frase sentita spesso
in bocca a coloro che ora assistono muti allo scempio perpetrato dalla
banda di poltronisti, ma una Costituzione con pregi e difatti, purtroppo
nata, sempre secondo Calamandrei, "senza uno stile omogeneo", ovvero
quasi priva di stile, probabilmente anche a causa di sottocommissioni
non adeguatamente coordinate tra loro. Un limite che non era solo
formale ma proprio sostanziale: "la religiosa esattezza della lingua
italiana" avrebbe dovuto impedire quanto meno interpretazioni
incongruenti. Il problema di fondo stava comunque in relazione a questa
scarsa chiarezza di alcuni articoli: gli scopi della "rivoluzione"
incarnata dalla Costituzione non erano frutto di un accordo condiviso
fino in fondo ma di un compromesso che poteva dare adito a future
debolezze e, causa "il suono falso" di alcuni articoli, a una produzione
legislativa tale da distruggere nei cittadini il senso della legalità
(ad esempio tutti i propositi programmatici che tendono ad elidersi e
che, per essere presi sul serio, avrebbero dovuto quanto meno essere
inseriti in un preambolo e non come veri e propri articoli). La mancanza
di chiarezza e la tendenza dei partiti ad aggirare i problemi, magari
con la produzione di articoli che sono appunto precetti morali ma non
autentiche norme giuridiche, è stata evidenziata da Calamandrei sempre
con bello stile e spesso con una buona dose di umorismo: "È un po'
successo, agli articoli di questa Costituzione, quello che si dice
avvenisse a quel libertino di mezza età, che aveva i capelli grigi ed
aveva due amanti, una giovane e una vecchia: la giovane gli strappava i
capelli bianchi e la vecchia gli strappava i capelli neri; e lui rimase
calvo. Nella Costituzione ci sono purtroppo alcuni articoli che sono
rimasti calvi" (pp.27).
Alcuni passaggi dell'intervento ci
riportano ancora una volta alle più recenti polemiche politiche,
Italicum compreso: "Il carattere essenziale della democrazia consiste
non solo ne permettere che prevalga e si trasformi in lette la volontà
della maggioranza, ma anche nel difendere i diritti delle minoranze,
cioè dell'opposizione che si prepara a diventare legalmente la
maggioranza di domani" (pp.49). Affermazione che non dobbiamo affatto
equivocare visto che Calamandrei aveva ben presente quel problema che da
lì a poco avrebbe caratterizzato in negativo tutta la cosiddetta "prima
repubblica": "di questo, che il fondamentale problema della democrazia,
cioè il problema della stabilità del governo, nel progetto non c'è
nulla" (pp.56).
Le incongruenze presenti nella
Costituzione prossima all'approvazione, sempre a detta del giurista
toscano, erano anche altre, spesso motivate da preoccupazioni legate
alla stretta attualità e prive di una visione di lungo respiro. Ad
esempio il Consiglio Superiore della Magistratura avrebbe dovuto essere
costituito soltanto da magistrati eletti dalla Magistratura (mentre i
progetti attuali ampliano ancor di più i rappresentanti della politica);
visto il ruolo nascente dei partiti sarebbe stato necessario introdurre
una normativa volta a disciplinarli e dare ad essi precise funzioni
costituzionali; lo stesso art. 1 C. (“La Repubblica italiana ha per
fondamento il lavoro”), appariva una bella frase ma con fondamento
giuridico a dir poco impalpabile; parimenti l'art. 7 C. che regola i
rapporti Stato - Chiesa già prima dell'entrata in vigore della
Costituzione mostrava una rinuncia di sovranità, con rinvii sibillini a
possibili modifiche che - ora lo sappiamo - avrebbero dato da scrivere
per decenni a fior di giuristi.
Considerazioni,
critiche tutt'altro che lievi e che però devono essere interpretate
correttamente. Carlo Azeglio Ciampi, nell'introduzione a questo piccolo
libro delle "Edizioni di Storia e Letteratura", scrive giustamente
dell'alto livello delle discussioni avvenute in sede di Assemblea
Costituente e di uno spirito unitario che tutto sommato, pur tra forze
politiche diversissime, prevalse sulle più contingenti esigenze
elettorali.
Piero
Calamandrei era un grande giurista che sapeva scrivere e che riuscì ad
anticipare con grande chiarezza problemi complessi che poi avrebbero
condizionato l'intera vita della Repubblica. I suoi scritti,
caratterizzati da uno “spirito di umiltà minoritaria” -
ripetiamolo - pur a distanza di quasi settant'anni ci possono rivelare
molto dell'attuale deriva morale e politica dell'Italia. Quel "lavoro
duro" che Calamandrei riteneva indispensabile per correggere i difetti
della Costituzione, in primis la sua limitata visione progettuale, è
stato presto vanificato proprio dai progetti della peggior classe
politica italiana, intenta ad assicurarsi il potere e una sicura
rielezione. Nessuna "presbiopia" ma un'indecente miopia, con buona pace
delle intemerate del Bomba e dei suoi scherani.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE:
Piero Calamandrei, (1899-1956)
fiorentino, docente universitario di diritto. Dopo la seconda guerra
mondiale prese parte ai lavori della Costituente in rappresentanza del
Partito d'Azione. Autore di numerosi saggi di politica contemporanea,
nel 1945 fondò la rivista "Il Ponte". Ha pubblicato opere letterarie
come "Inventario della casa di campagna" (1945), "Uomini e città della
resistenza" (1955) e racconti per bambini.
Piero Calamandrei, “Chiarezza nella
Costituzione”, Storia e Letteratura (collana Civitas), Roma 2012, pp.
72. Introduzione di Carlo Azeglio Ciampi.
Luca Menichetti. Lankelot, settembre 2015
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