21 settembre 2015

DA MAO A CONFUCIO




La Cina neoimperiale di Xi Jinping rilancia l’antico sistema filosofico-politico che resse quel mondo per millenni. Un pensiero umanistico conservatore e gerarchico adatto ad un liberismo economico gestito da un sistema politico autoritario.

Gian Carlo Calza

Confucio è tornato


Sogno cinese è il titolo, stampato a mo’ di cartiglio in forma di sigillo a riserva in campo rosso lacca, di un celebre manifesto di propaganda politica tanto brutto quanto zeppo di simboli confuciani su sfondo post maoista. Proprio per questo motivo Sogno cinese è stato scelto da Maurizio Scarpari, l’insigne sinologo della scuola veneziana, per la copertina e per introdurre lo spirito del suo libro Ritorno a Confucio. La Cina oggi fra tradizione e mercato di prossima uscita a Bologna per il Mulino. 

Il Sogno è una raffigurazione della pietà filiale che coinvolge tre generazioni nonno, padre e figlio, solo maschi naturalmente. In un’ipotetica calura estiva un adulto accosciato lava e rinfresca le gambe dell’anziano, ma membruto, padre che, la testa parzialmente calva e sormontata da un sole d’oro, si fa vento seduto su una poltroncina di bambù di un bel giallo imperiale. Il nipotino dell’anziano, stimolato dall’esempio della devozione paterna, passa a sua volta un cencio, si presume intriso d’acqua fresca, sulla schiena del babbo. Questi, orgoglioso di tanta e diretta trasmissione di valori, si volta compiaciuto con un bel California smile verso un ipotetico osservatore fuori campo. Fan da basamento alla scenetta un celestiale gallo grande quasi come il nonno e una enorme chioccia accudente uno stuolo di pulcini, pur essi gialli, ed evidentemente non sottoposti al controllo delle nascite.



Nel suo saggio Scarpari affronta il paradosso della Cina attuale con un’attenta lettura di segni “classici”, campo in cui egli è insuperabile, nella società contemporanea post maoista per offrire non soluzioni affrettate, da cui siamo già sommersi, ma chiavi di interpretazione e di stimolo alla conoscenza. Giustamente lo scorso 23 agosto Guido Rossi aveva messo in guardia, col suo fondo in questo giornale, che della Cina «troppo poco sappiamo, nonostante la sterminata letteratura e il bombardamento dei mass media. Ogni interpretazione di quel che sta avvenendo in Cina, utilizzando gli abusati parametri delle discipline economiche occidentali è operazione che può rivelarsi fuorviante». Questa considerazione sacrosanta per l’economia andrebbe però estesa al sistema filosofico e politico che resse la società cinese per millenni e in cui stanno avvenendo oggi mutamenti profondi e vastissimi.

Il ritorno di Confucio si pone come una novità internazionale sia dal punto di vista accademico sia da quello dell’alta divulgazione. Nessuno infatti ha finora pensato, od osato, esaminare e documentare i processi di sviluppo dell’economia e della società contemporanea cinese alla luce della risorgente ideologia riferibile al principale filosofo e teorico della politica di tutta la civiltà cinese, Confucio (551 a.C - 479 a.C.). Da lui originò il possente sistema di cultura e di amministrazione pubblica che diede la forma alla civiltà cinese retta da studiosi e umanisti e durata fino agli inizi del secolo scorso.

Il matrimonio e la pianificazione delle nascite, il sistema di welfare e il sogno cinese dello stato di diritto, ma anche la creazione di un’immagine globale e la cultura come strumento di soft power o la rinascita del confucianesimo e un modello di governo universale sono solo alcuni dei temi trattati nel libro in modo capillare e attraverso l’analisi di società e pensiero.

Xi Jinping dalla sua ascesa al potere nel 2012, ha continuato a operare in modo da riportare il confucianesimo al suo antico splendore o, meglio, al suo ruolo di forza moralizzatrice della nazione. Naturalmente si guarda bene dal farlo in modo personale e troppo ufficiale per non irritare i quadri più irriducibili del veteromaoismo per il quale il confucianesimo era simbolo stesso del potere feudale e classista della Cina tradizionale e andava soppresso. Insieme con queste considerazioni non bisogna dimenticare che gli istituti cinesi di cultura all’estero, varati solo da una decina d’anni, sono già quasi cinquecento in oltre cento Stati, si chiamano Istituti Confucio e sono retti da un sotto ministero specifico. Sulla loro vera funzione politica e diplomatica il supplemento Domenica aprì un dibattito già un anno fa (12 ottobre 2014).

Il confucianesimo però non è necessariamente l’insegnamento di Confucio. La sua interpretazione soprattutto a livello politico e amministrativo e il suo pensiero sono stati profondamente modificati attraverso i venticinque secoli dall’insegnamento originario. L’ultima trasformazione è quella in corso del Nuovo Confucianesimo (che non va confuso col neo-confucianesimo sviluppatosi soprattutto tra il dodicesimo e il diciannovesimo secolo) considerato dalle autorità politiche e accademiche che lo stanno lanciando come un nuovo rinascimento a impronta umanistica e cinese. Esso dovrebbe diffondersi su tutta l’umanità dove i valori fondamentali dello spirito si stanno ugualmente perdendo come in Cina.



Il confucianesimo si fonda su valori etici universali quali l’amore per il prossimo, la giustizia, le norme di comportamento cioè i riti, la fiducia e la saggezza; ma non si tratta di principi astratti, bensì di linee guida dei comportamenti. «È un processo di crescita interiore graduale che non ha mai fine, che implica l’accettazione e l’interiorizzazione di principi e valori morali che formulano i presupposti di una vita esemplare, di un comportamento corretto e solidale, i cui cardini sono lo studio e il rispetto delle gerarchie familiari e sociali. Ci si può sentire confuciano e al tempo stesso essere ateo o abbracciare una religione: non esiste alcuna contraddizione».

È però anche vero che il confucianesimo è stato interpretato come una via autoritaria, fondata su un sistema gerarchico, sia nel privato sia nel pubblico. Perciò, dal capo famiglia al capo dello Stato, esso tende a far calare dall’alto direttive di comportamento di modo che oggi solo il partito è deputato a fornire l’interpretazione corretta e condivisibile degli eventi. È evidente che a questa categoria, non priva di benevolenza, seppure paternalistica e soffocante, appartiene il pensiero politico che ha generato il manifesto di cui si parlava all’inizio.

La Cina, ricorda Scarpari, è sì «la seconda potenza mondiale per il Pil e la prima per il Pil a parità di potere d’acquisto, ma solo ottantacinquesima per il Pil pro capite» il che significa che, avendo anche «il maggior numero di super ricchi dopo gli Stati Uniti» a livello individuale esistono nel paese sperequazioni terribili, tanto più per uno stato socialista. Ne è derivata una situazione complessa di corruzione a ogni livello che l’Autore affronta nel capitolo «Mosche e tigri, ma pure volpi…» e che è ben davanti agli occhi di tutti e soprattutto ha generato una delle principali campagne di riforma del sistema pubblico volute da Xi Jinping.

Che speranza di successo può avere oggi una simile politica di moralizzazione dall’alto verso una società più armonica ed equilibrata? Poca o punta se ci si riferisca all’individualismo di tipo occidentale e alla diffusione di un modello astratto e uguale per tutti: i processi di realizzazione individuale sono oggi gli unici attraverso cui il nuovo spirito può prendere forma. Molta invece se a ciascuno, occidentale o no, venga data la possibilità di esercitarsi a scoprire il proprio percorso di incarnazione di quei valori universali, di Confucio certo, ma anche di moltissimi altri pionieri e custodi di civiltà in ogni dove.

il Sole 24Ore – 20 settembre 2015

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