Riccardo Mazzeo
Dispositivi emozionali per la comunicazione
Eugenio Borgna è un bravo psichiatra che ha fatto propria una lezione di cui dovrebbero fare tesoro tutti coloro che si occupano di scienze umane: stabilire connessioni fra la loro specifica disciplina e le altre, nutrendosi dunque di letteratura, cinema, arte. Il titolo della sua ultima opera, Parlarsi (Einaudi, pp. 100, euro 11), è quindi un’epitome di un’operazione più vasta che fa dialogare la psichiatria con Goethe, Leopardi, Pascal e molti altri lieviti del pensiero. Scrive infatti: «alla conoscenza e all’approfondimento della condizione umana non sono chiamate solo la letteratura e la filosofia, ma anche la psichiatria che, in alcuni suoi aspetti tematici, ha a che fare con la sfera vasta e indefinita delle scienze umane. Certo, questa non è la psichiatria che si esaurisce nelle sue radici biologiche».
Il problema sollevato da Borgna attraversa innumerevoli ambiti che hanno tutti a che fare con «l’essere Persona»: l’aridità con cui il medico consegna una diagnosi infausta al paziente limitandosi alla trasmissione dei dati, senza tenerlo presente come essere sofferente, la comunicazione impersonale e frettolosa di un licenziamento da parte di un tagliatore di teste a un dipendente che spinto nella voragine dell’esubero, ma anche la moda incipiente di lasciare il/la partner con un messaggio telegrafico e pubblico su Facebook. In sostanza, la perduta capacità di trattare un proprio simile come tale e non come una «cosa» inerte, passiva e «trascurabile».
«Non c’è comunicazione autentica in psichiatria, e non solo in psichiatria, se non quando si abbiano parole capaci di creare un ponte fra la soggettività di chi parla, e quella di chi ascolta, la soggettività di chi cura, e la soggettività di chi è curato; e quando ci siano corrispondenze fra il tempo interiore dell’una e quello dell’altra».
La sensibilità di Borgna è qualcosa di cui abbiamo bisogno oggi più di quanto ne avessimo prima dell’era dei «Millennials» che sono cresciuti a Nutella e internet. Ora che i giovani, gonfi di informazione e pervasi da un pericoloso senso di onnipotenza dovuto alla possibilità di accedere a ogni rivolo dello scibile, e che a causa di questo riducono le parole al loro barthesiano grado zero fatto di nuovi segni brevi quanto banali, è opportuno rievocare Hugo von Hofmannsthal in proposito: «le parole sono creature viventi, ma sono anche prigioni sigillate dal mistero, e ogni volta dovremmo essere capaci di aprire queste prigioni, di togliere loro i sigilli, di farne sgorgare i significati, e di scrutarne le cifre tematiche solo apparentemente oscure e inesplicabili».
In ogni caso parlarsi non implica il mero uso delle parole, poiché per un verso contano il modo («il diapason emozionale») e il tempo («le scansioni temporali») con cui vengono dette; per l’altro, i silenzi, che sono non meno importanti, possono trasmettere una vicinanza profonda e palpitante. «Chi non fa che parlare, non si possiede realmente, giacché scivola via di continuo da se stesso, e ciò che egli dona agli altri non sono che vacue parole».
Il silenzio diventa dunque sempre più raro e prezioso nel tempo scandito dalle musiche che invadono i negozi così come gli atri delle stazioni ferroviarie o degli aeroporti. Le spiagge sono sovrastate da annunci assordanti: per godere di un po’ di silenzio ormai si deve raggiungere il mare d’inverno per apprezzare la sua immensità in solitudine. Il silenzio è ben diverso dall’isolamento, che è depressivo; il silenzio è la presenza rispettosa e partecipe che può essere offerta all’altro; oppure è il tempo del raccoglimento che consente di riflettere e di distinguere ciò che è rilevante da ciò che non lo è.
Infine, l’importanza di parlarsi con gli sguardi, le posture, i gesti, il corpo: «il corpo vivente che ci mette in comunicazione con noi stessi e con il mondo, ed è il corpo che è immerso in una cascata di significati che cambiano di emozione in emozione, in un carosello febbrile e temerario». Il corpo è scolpito dalla vita vissuta e dalle difficoltà affrontate, dalle battaglie vinte e da quelle perse: un tempo si compivano sforzi e si studiavano cose ritenute a torto inutili; oggi si cerca di evitare ogni sforzo e se una cosa è complicata e impegnativa o la si semplifica o la si elude, ma questo è un tradimento nei confronti della vita.
Borgna conclude il suo libro con le parole di Rilke: «E se vi debbo dire ancora una cosa, è questa: non crediate che colui, che tenta di confortarvi, viva senza fatica in mezzo alle parole semplici e calme, che qualche volta vi fanno bene. La sua vita reca molta fatica e tristezza e resta lontana dietro a loro. Ma, fosse altrimenti, egli non avrebbe potuto trovare queste parole».
il manifesto - 24 settembre 2015
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