Dalla dimensione psichica degli eroi omerici all’anima immortale di Platone. Una originale indagine di uno studioso americano .
Martino Menghi
Nella mente degli antichi greci. Alla ricerca della «psyche»
È una fortuna, possiamo dirlo, che Anthony A. Long abbia onorato solo di recente un vecchio contratto con la Harvard University Press per un saggio di psicologia antica. Il risultato infatti, invece che una monografia tradizionale, è un magnifico libro, agile e discorsivo, che apre nuove prospettive sul tema e che nella sua esemplare chiarezza si rivolge indifferentemente a un pubblico di studiosi e di non specialisti.
Frutto di una serie di seminari tenuti presso la Rinmin University of China, Greek Models of Mind and Self si caratterizza anche per quel passo felicemente didattico con cui l’autore si sofferma su alcuni concetti, li riprende, li elabora e infine li mette a confronto con nuove acquisizioni. Di più, nella sua padronanza della cultura greca e romana (e non solo), Long non si limita a sondare i classici della filosofia, ma attinge volentieri anche da fonti meno consuete ma altrettanto interessanti.
In principio ci sono gli eroi omerici, per i quali il “sé” è rappresentato dal proprio corpo, che è mosso nella sua azione e nelle sue emozioni da un soffio vitale di volta in volta chiamato thymos, phrenes, etor. Questo soffio o spirito se ne esce dal corpo al momento della morte, prendendo il nome onomatopeico di psyche, e non è destinato a sopravvivergli.
L’immortalità dell’uomo omerico consiste solo nella durata della sua fama (kleos), che gli deriva dalla sua gloria di combattente o di capo di un oikos. Di quanti sono morti, invece, non rimangono altro che ombre inconsistenti, inafferrabili, che quando vengono interrogate dai vivi lamentano la tristezza della loro condizione e rimpiangono la vita corporea senza la quale non sono più nulla. Immortali, athanatoi, sono solo gli dèi dell’Olimpo.
Questa visione eroica della vita, il modo di sentire e di rappresentarsi proprio dell’uomo omerico sono solo un frammento del potenziale umano, un fondamento di continuo elaborato dagli scrittori contemporanei o successivi alla trascrizione dell’Iliade e dell’Odissea (VIII-VI sec. a.C.). Esiodo, per esempio, integra Omero accostando l’umano al divino invece che separarli: l’uomo, inizialmente beato fra gli dèi, ne è stato in seguito allontanato e, nell’età del ferro in cui vive e scrive il poeta, può riscattarsi solo con la fatica del suo lavoro e operando secondo giustizia per non incorrere in una punizione divina che trascende la sua vicenda mortale.
Si fa strada l’idea che esista una vita dopo la morte. Il concetto, sostanziato da suggestioni orfico-pitagoriche, ricompare nel poeta Pindaro (VI-V sec. a.C.) il quale ci parla di anime di defunti che si sono reincarnate in corpi di re e di potenti dopo un periodo nell’Ade. In un altro testo poi ci rivela che esiste un meraviglioso mondo sotterraneo illuminato da un suo sole, i cui abitanti passano il tempo tra gare sportive, di musica e ogni sorta di piaceri. Un’anticipazione dei Campi Elisi virgiliani.
Il terreno è pronto per le grandi mosse compiute da Platone. Per lui vi è un’anima, che d’ora in poi si chiamerà psyche, distinta dal corpo in cui temporaneamente alloggia: essa è immortale, divina, poiché appartiene al mondo eterno e perfetto delle Idee. Se si corrompe nella sua vita terrena è destinata a reincarnarsi in altre creature prima di ritornare purificata là da dove proviene.
È questo il “dualismo platonico” che sancisce in via definitiva il primato dell’anima sul corpo e una sua esistenza dopo la morte, come si legge nel Fedone, e come più tardi avrebbe ribadito a più riprese il pensiero cristiano. Ma Platone si spinge oltre, teorizzando nella Repubblica un’anima non più in conflitto con il corpo, bensì con se stessa. Suddividendola in tre parti il filosofo assegna alla ragione, la sua dimensione più alta, il compito di governare con l’aiuto dell’anima emotiva quella in cui risiedono i desideri più pericolosi (di cibi, di bevande, di eros e, d’altro canto, di ricchezza e di potere necessari per soddisfare i primi).
Questo schema, applicabile tanto all’individuo che al corpo cittadino (data l’analogia filosofi-ragione, guardiani-spirito collerico, mondo della produzione-anima desiderante, dove le prime due categorie sono chiamate a governare la terza) rappresenta, com’è noto, un’utopia, poiché storicamente si assiste di solito alla detronizzazione della ragione tanto nel singolo che nella collettività e alla progressiva rivincita degli appetiti più deleteri.
Ma per quanto utopico il grande lascito platonico consiste proprio nell’aver indicato nella ragione la dimensione psichica che non solo è chiamata a governare la nostra esistenza ma che ci mette anche a parte della verità immutabile dell’essere contro l’effimero e l’apparente.
Un lascito che verrà raccolto e proseguito tanto da Aristotele che dalla filosofia ellenistica, in particolare dagli Stoici, e che ci appartiene ancora, come Long ci illustra nell’ultima parte di questo suo piccolo capolavoro.
A. A. Long
Greek Models of Mind and Self
Harvard University Press, 2015
$ 25,95.
Il Sole 24Ore – 27 settembre 2015
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