RIFLESSIONI ERETICHE
di Sergio Benvenuto
1.
Da bambino, sentii parlare prima
dell’influenza “spagnola” e poi della prima guerra mondiale. Mia nonna
materna teneva nella sua stanza una grande foto in bianco e nero, sfocata come
voleva la maniera romantica dell’epoca, di una bambina triste di nove anni. Si
chiamava Sina, era la sua figlia maggiore e, mi si disse, era “morta di
spagnola” nel 1919. Quindi, nella mia famiglia ci fu una vittima di quella
pandemia. Mentre invece le mie due famiglie – materna e paterna – non ebbero
vittime nel corso della guerra del 1915-18, che pure fece 600.000 morti. Pare
che la spagnola abbia fatto altrettante vittime in Italia. Eppure nei libri di
storia che poi lessi, si parlava tanto della prima guerra mondiale e dei
massacri che provocò, non si diceva nulla o quasi della “spagnola”, questa
restò per me un sapere privato, domestico. Discrasia tra ciò che è notevole
nelle vite private e ciò che è notevole nella vita delle nazioni. I morti per
la guerra fecero storia, quelli morti per una influenza no. Eppure le vittime
della spagnola furono molti di più di quelli morti sui campi di battaglia (a
seconda dei calcoli, si va da 17 a 100 milioni di morti per l’influenza). Ma la
prima guerra mondiale cambiò l’assetto politico dell’Europa, la spagnola non
cambiò nulla.
A differenza della malattia da coronavirus, che uccide per
lo più vecchi pensionati e malati, la spagnola uccideva soprattutto persone tra
i venti e i quarant’anni, nel pieno del loro vigore fisico e mentale. Fece
mancare molti uomini e donne illustri, ricordo Max Weber e (a 27 anni) Egon
Schiele. Ma l’economia si riprese subito, anche se fiaccata dalla guerra.
2.
Quante volte sentiamo dire in questi giorni, con molta
sicumera: “Dopo questa pandemia, niente sarà più come prima!” È un’asserzione
immancabile ogni volta che capita un evento che ci impressiona tutti. Ma molto
spesso si confonde la spettacolarità di un evento con la sua significazione
storica.
Si disse che nulla sarebbe stato come prima giusto
dopo l’11 settembre 2001. Vaticinio che allora presi con molto scetticismo. Che
cosa di veramente fondamentale poteva cambiare? È vero che gli americani
dovettero andare in Afghanistan, ma diciotto anni dopo, quando si profila il
ritiro delle truppe americane e delle altre, che cosa è cambiato veramente in
Afghanistan? È al punto di partenza: un paese ampiamente controllato dai
talebani e le più importanti città in mano a un potere debole. È vero che Bush
Jr attaccò l’Iraq di Saddam Hussein, ma l’avrebbe attaccata lo stesso perché
questo era il suo pallino “edipico”, il 9/11 gli servì solo come pretesto per
farlo. Oggi il 9/11 ci appare come l’acme, certo molto fotogenico, di un
tormento storico che agita il mondo islamico nel suo insieme, di cui la guerra
che una parte dell’Islam vuole condurre contro il mondo ebraico-cristiano è
solo un aspetto, un dramma che esprime – secondo me – le grandi difficoltà
delle società islamiche a entrare nella modernità. Il 9/11 in sé non cambiò le
cose, fu un episodio di un cambiamento già da tempo in corso.
Dopo il 9/11 si disse che il pericolo del terrorismo avrebbe
cambiato il nostro quotidiano, in particolare i viaggi aerei non sarebbero più
stati gli stessi perché sottoposti a controlli stringenti. Certo nel traffico
aereo sono aumentate le ispezioni, non si possono portare liquidi di una certa
entità, né forbici e altri oggetti appuntiti, ma non possiamo dire che i nostri
viaggi aerei siano radicalmente mutati dopo il 2001. Essi hanno continuato ad
aumentare proprio come prima del 2001.
Così con l’esplosione dell’AIDS negli anni 1980 tutti i
profeti di professione dissero che i nostri costumi sessuali sarebbero
radicalmente mutati. E in effetti i rapporti tra gli omosessuali in particolare
per un certo tempo furono molto più circospetti. Ma non mi pare che i costumi
amorosi delle nuove generazioni siano cambiati rispetto a quelli della nostra
generazione di baby boomers, tutt’altro. Non basta un’epidemia per far
cambiare direzione a certe rivoluzioni del costume, in questo caso,
l’omologazione dei comportamenti sessuali femminili a quelli maschili.
Si disse che nulla sarebbe stato più come prima dopo “il
68”, lo si ridisse dopo il disastro di Chernobyl, e di nuovo dopo le
manifestazioni di Tien An-Men in Cina, e così dopo la crisi del 2008…. Ma
sarebbe facile mostrare che dopo questi eventi memorabili non c’è stato un vero
cambiamento. In realtà, molti grandi cambiamenti non sono visibili, perché sono
lenti e continui, e quando a un certo punto ci rendiamo conto che le cose sono
cambiate… l’evento è già dissolto. I fatti veramente importanti negli ultimi
trent’anni sono accaduti al rallentatore. In particolare la conversione della
Cina, e poi dell’India, a grande potenza economico-industriale capace di
promuovere un modello anche politico alternativo a quello delle democrazie
occidentali. O la mutazione elettronica della nostra società, avvenuta a tappe,
che trasformerà sempre più il rapporto tra vita e lavoro, e i rapporti tra
persone. Per non parlare delle ondate migratorie, che stanno dissolvendo la
definizione etnica di “nazione”.
La paradossalità dell’evento-shock è che diventa un evento
mutante solo quando la mutazione è già in corso… È quel che accadrà con la
crisi coronavirus: accentuerà trasformazioni che già stavano occorrendo. In
particolare, la divaricazione tra paesi in fioritura economica e paesi in
declino economico.
Siccome la pandemia ha colpito quasi tutti i paesi
industriali e ricchi del mondo, la crisi economica – in teoria – dovrebbe
essere tra tutti equamente distribuita, grazie all’indifferenza del virus a
frontiere e sistemi sociali. Temo però che la crisi economica che ne seguirà –
che è già in atto – acuirà le sperequazioni tra i paesi “virtuosi” e quelli
“viziosi”, ovvero, in una chiave non morale, tra paesi più forti e paesi più
deboli. Rafforzerà le economie di Germania e Cina, per esempio, e indebolirà
quelle già deboli di Italia e Grecia (Spagna e Portogallo sono sospese tra i
due ranghi). E in effetti l’FMI già prevede le recessioni più gravi proprio nei
paesi che erano più mal messi, come Italia e Grecia. Può darsi che il
coronavirus moltiplicherà delle diseguaglianze che già ci sono. Come in un
universo in espansione, le distanze tra paesi si allargheranno.
3-
Certamente la pandemia di covid-19 potrebbe avere
conseguenze lunghe e consistenti nel caso che non si riuscisse a debellarla
mai: il fatto di conviverci stabilmente cambierebbe la nostra vita sociale.
Così, si studiano fabbriche, uffici, ristoranti, bar in cui ciascuno resterà separato,
magari con una lastra di vetro tra uno e l’altro, si eviteranno gli
affollamenti nei mezzi di trasporto, negli stadi, nei concerti, nei cinema…
Ma se si troverà un vaccino, o se l’epidemia verrà contenuta
entro limiti accettabili, tutto tornerà come prima. O meglio, si accentueranno
processi di mutazione che erano comunque già in corso, ad esempio la
concentrazione della nostra vita nelle nostre case, che diventeranno sempre più
anche luoghi di lavoro e persino di svago sociale (come ho cercato di mostrare
in “Estizzazione. La nostra vita dopo il coronavirus”, https://www.doppiozero.com/materiali/estizzazione-la-nostra-vita-dopo-il-coronavirus).
Non diventeremo migliori per essere stati chiusi a lungo in casa, si tratta
solo di una retorica consolatoria. Come non diventa migliore, di solito, chi
esce di galera dopo mesi o anni.
In realtà, le pandemie passate hanno lasciato pochi segni,
come abbiamo visto per la spagnola. Un discorso analogo andrebbe fatto per le
varie epidemie di colera che imperversarono nel XIX° secolo, e, andando sempre
più a ritroso, fino alla peste nera che, secondo i calcoli, in pochissimo tempo
eliminò un terzo della popolazione europea verso la metà del XIV° secolo.
Ebbene, se leggiamo un libro di storia politica su quell’epoca, a stento ci
accorgeremmo che quel secolo è stato attraversato da un genocidio di quella
portata. Prima della peste, il re d’Inghilterra Edoardo III aveva invaso la
Francia, e questa guerra continuò indisturbata durante e dopo l’epidemia per
circa un centinaio di anni. Gli assetti politici non cambiarono per nulla, e,
se sono cambiati, non lo sono stati per la peste nera. In realtà dopo
l’epidemia trecentesca ci fu una ripresa economica perché molti sopravvissuti
si trovarono eredi di proprietà molto cospicue, e questa concentrazione della
ricchezza permise nuovi investimenti e quindi un rilancio dell’economia.
La verità amara su una cosa amara come le pestilenze è che
la caterva di morti che esse producono incide ben poco sulla storia. La vita
comune, quella fisica, reale, la “nuda vita” che se ne va, è importantissima
per chi le è vicino, per chi la ama, insignificante storicamente. La storia è
immorale, anzi crudele, perché sul valore della vita fa sempre prevalere il
valore del senso.
Ammettiamo che oggi morissero tutti gli anziani dai
65 anni in su (me compreso, che ne ho 72), che cosa cambierebbe? Cambierebbe
qualcosa in meglio, direbbe un fool shakespeariano. Certamente questo
allevierebbe l’onere delle pensioni, i giovani che lavorano e producono si
sentirebbero sgravati dal fardello di anziani che costano tanto, in pensioni e
in cure mediche. I più giovani diventerebbero ipso facto più ricchi, e il
sistema sanitario, oggi sommerso dagli acciacchi senili, funzionerebbe molto
meglio. Certo ogni famiglia piangerebbe la scomparsa dei propri anziani, almeno
di quelli che amavano (perché non tutti gli anziani sono amati né amabili,
tutt’altro), ma appunto, ogni famiglia piangerebbe il proprio anziano.
Se questo anziano fosse morto di infarto, lo avrebbe pianto lo stesso. I lutti
individuali non si sommano, restano cordogli individuali. Strana aritmetica del
senso, che non addiziona il valore di ogni morte. La loro somma è solo
un’astrazione sociologica, che interessa economisti e pianificatori. Non è il
numero di morti che conta, è il loro senso, ovvero la loro incidenza storica.
Un solo morto può cambiare il corso della storia – ad esempio, la morte di
Franz Ferdinand a Sarajevo nel 1914 – milioni di morti possono non cambiare
assolutamente nulla. Diceva il presidente Mao nel libretto rosso: “Certe morti
pesano come macigni, altre sono lievi come piume.”
[Immagine:
L’epidemia di Spagnola].
DA http://www.leparoleelecose.it/?p=38213