Confesso di ritrovarmi ogni giorno sempre più privo di certezze. Anche per questo ripropongo di seguito un articolo di Tomasi Montanari che pone alcuni seri problemi:
Coronavirus. Ci stiamo giocando la democrazia
«La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare» (Piero Calamandrei).
Già, ma quanto vale la nostra comune libertà?
La fase 2 della sospensione delle nostre
libertà, si apprende, inizierà prima dalle fabbriche, e solo dopo dalle
persone. Peraltro da fabbriche in cui assai spesso si lavora senza
tutele sanitarie adeguate, con una penosa autocertificazione vagliata
(?) dai prefetti (!). Il sogno proibito di un capitalismo estremo: le
persone ridotte letteralmente a produttori senza diritti e consumatori
senza libertà. Produrre, consumare, crepare. Ma, si apprende, questo
sarà brevissimo: e avviene perché ci sono i ponti festivi di primavera, e
non possiamo liberare gli italiani: che, sennò, abuserebbero della loro
libertà. La svolta paternalista: festeggeremo la Liberazione in casa
perché non sapremmo gestire la nostra libertà. Dal maggioritarismo al
minoritarismo: nel senso che ci ritroviamo in stato di minorità.
Ma non è il momento di polemiche, e
nemmeno di critiche, e nemmeno di un pensiero diverso, ci si dice. Non
sono d’accordo. Io penso questo: saremo dopo quel che siamo ora (come è
già stato scritto in queste pagine: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/03/23/saremo-domani-quel-che-siamo-oggi-riflessioni-per-il-dopo-coronavirus/). Il modo in cui gestiamo l’emergenza, quel modo sarà la cifra del dopo.
E questo modo è, per molti versi, l’esasperazione negativa di ciò che combattevamo prima.
Mille sono i fronti su cui ora – proprio
ora – occorre combattere una battaglia politica. Sanità pubblica,
diritti dei lavoratori e dei loro corpi ridotti a merce, diritti di chi
non ha una casa in cui rimanere né i soldi per vivere, diritto alla vita
degli anziani, diritto all’istruzione e libertà di insegnamento,
finanziamento della ricerca e accesso ai ruoli di responsabilità
scientifica e mille altre questioni vitali. Insomma, la ricostruzione
dello Stato dalle sue fondamenta: secondo il progetto della
Costituzione.
Ma un fronte appare preliminare a tutti
gli altri: e si chiama democrazia. Tutti i maestri di diritto
costituzionale ci hanno spiegato che sì, si possono e si devono
comprimere le libertà per garantire a tutti (e specie ai più deboli:
ricordiamolo) vita e salute. Sacrosanto. Ma hanno anche aggiunto: purché
sia per un tempo breve, e certo. Condizione necessaria per rimanere in
regime democratico.
Bene, onestamente nessuno sa quanto la
compressione delle nostre libertà durerà. Si rincorrono gli studi: sei
mesi, un anno, due anni da ora? Appare chiaro che anche il prossimo anno
scolastico potrà essere in remoto – con conseguenze psicologiche,
sociali e culturali che non voglio nemmeno immaginare.
Se le cose stanno così, deve essere il Parlamento a decidere: non il signor presidente del Consiglio dei ministri.
Avrei voluto che il Parlamento avesse un
ruolo anche nella costruzione del decreto Cura Italia, da cui pure
dipende la vita di milioni di italiani: l’assenza di una vera
discussione e la incredibile decisione del Governo di porre la fiducia
significano che la democrazia è ridotta a una pura formalità. Di questo
passo il taglio ai parlamentari potrebbe essere del 100%: se per le
decisioni più gravi prese, forse, nella storia della Repubblica il ruolo
delle Camere è pari a zero, perché tenerle aperte?
Da cittadino ora pretendo che siano i
miei rappresentanti a discutere a fondo, e di fronte al Paese: chiedendo
e ottenendo la migliore documentazione scientifica, comprese le
necessarie ammissioni di ignoranza e di impotenza. Perché le cose che
non sappiamo sono forse ora ancora più decisive di quelle che sappiamo.
Vorrei che si considerasse quel che si
fa negli altri paesi europei: in alcuni – per dire – si può andare nei
parchi, in altri i conviventi (famiglie o nuclei di qualunque sorta)
possono uscire insieme, purché a distanza dagli altri. Vorrei che lo si
considerasse, lo si soppesasse: e poi si decidesse, e si spiegasse
perché lo si è deciso. Non sono dettagli: sono la sostanza della vita di
noi tutti non sappiamo fino a quando.
Vorrei che si discutesse a fondo e poi
si decidessero alcune regole. Chiare, comprensibili, razionali, fondate,
uguali per tutto il Paese. Perché – sul piano delle libertà – la cosa
peggiore che sta succedendo è che la confusione delle fonti e ancor più
la vaghezza delle norme (per dirne una tra mille: cosa diavolo vuol dire
prossimità? Il quartiere, come quando ci si vuole imporre il
‘poliziotto di prossimità’, o i duecento metri stabiliti dalla
Lombardia?) stanno lasciando un enorme margine di arbitrio alle forze
dell’ordine.
Ora, io ho una sincera gratitudine verso
questi lavoratori che, per stipendi da fame, sono per strada a farsi
alitare in faccia da legioni di furbetti, ma vedo anche che questa
situazione sta facendo regredire le coscienze a una situazione da antico
regime. Non sai mai se quel che stai facendo sia passibile di sanzione:
tutto è rimesso alla discrezione dell’uomo in divisa che ti trovi
davanti. Ecco, questa è una situazione che si sta facendo insostenibile:
e che, proiettata in mesi o in anni e soprattutto valutata nelle sue
conseguenze di lungo periodo, mi pare davvero fatale.
E nodi più grandi andranno sciolti:
lavoreranno (e usciranno di casa?) gli immuni, i giovani, le donne? E
come si accerterà l’immunità? E poi i controlli: droni, applicazioni,
satelliti, tracciamenti… A decidere i contorni di questa distopia
orwelliana non potrà essere solo il signor presidente del Consiglio: e
non si dica che di fatto siamo temporaneamente una virtuosa “dittatura
scientifica”, perché il Comitato tecnico scientifico non fornisce – né
potrebbe – al Governo certezze oggettive o decisioni già confezionate:
fornisce invece elementi, più o meno certi, in base ai quali orientare
una scelta. Che è, e resta, politica: e che dunque va fatta in
Parlamento, con la massima trasparenza e con la ricerca del massimo
consenso possibile.
Dovremo discutere di molte cose, dovremo
pretendere risposte e cercare terribili verità su quel che è successo
in questi mesi: dovremo farlo con feroce determinazione.
Ma non sapremo dove farlo se nel
frattempo ci saremo convinti che la democrazia non ci serve più: anzi,
che la democrazia sia una zavorra che ora non ci possiamo permettere.
Testo ripreso da: https://volerelaluna.it/
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