Cara Anna,
ricordo un pomeriggio del settembre 1943. C’è il sole, l’odore della campagna calda. Davanti a me vedo la stazione di Casarsa. E’ stranamente deserta.
Deserto il piazzale, deserta la strada bianca e polverosa che va verso San Giovanni. Si sentono delle voci risuonare sui binari su cui è fermo un treno merci: sono voci di soldati tedeschi.
Non so perché io sono lì: è certamente un caso o una pazzia. Ma questo ricordo galleggia solo e staccato da tutto il resto del tempo.
Il treno merci di fronte alla stazione di Casarsa è pieno di militari: dentro i vagoni piombati essi stanno in piedi, gremiti, tanto da non poter muoversi. Si sentono i loro lamenti e le loro voci. Arrivano di corsa, non so da dove e da chi chiamati, due o tre carretti, coi cavalli guidati da donne e ragazze.
Nei carretti ci sono cesti di frutta e del pane. Le donne allungano la roba da mangiare ai soldati attraverso i piccoli finestrini del treno, da cui sporgono disperate le mani.
Scrivo a te questa lettera perché so del tuo amore per le bestie. Ho letto in questi giorni che dei treni pieni di animali da macello, cavalli o buoi, usano stare fermi tre o quattro giorni in certe stazioni di confine. Le bestie, gremite dentro i vagoni piombati, non mangiano né bevono e spesso muoiono.
Anche gli uomini morivano nei treni merci diretti verso la Germania, e i loro corpi restavano per giorni tra i corpi dei vivi, sugli escrementi.
Nella mia fantasia le due immagini quella dei vagoni pieni di uomini e quella dei vagoni pieni di animali- mostruosamente si confondono.
Io sono del tutto privo di sentimentalismi nei confronti degli animali: in questo sono insospettabile. Eppure proprio perché ricordo, con un’angoscia che è rimasta uguale, i martiri che hanno patito allora gli uomini, ho pietà per i martiri che continuano a patire gli animali.
Lo so che non c’è nulla da fare: che tu, che io possiamo commuoverci quanto vogliamo, possiamo protestare quanto vogliamo. Coloro che hanno degli interessi in gioco in quel lugubre traffico di bestie da macello, sono infinitamente più forti di noi, e la vittoria sarà sempre loro.
P.P. Pasolini a Anna Magnani
su 'Tempo' del 29 dicembre 1969
ricordo un pomeriggio del settembre 1943. C’è il sole, l’odore della campagna calda. Davanti a me vedo la stazione di Casarsa. E’ stranamente deserta.
Deserto il piazzale, deserta la strada bianca e polverosa che va verso San Giovanni. Si sentono delle voci risuonare sui binari su cui è fermo un treno merci: sono voci di soldati tedeschi.
Non so perché io sono lì: è certamente un caso o una pazzia. Ma questo ricordo galleggia solo e staccato da tutto il resto del tempo.
Il treno merci di fronte alla stazione di Casarsa è pieno di militari: dentro i vagoni piombati essi stanno in piedi, gremiti, tanto da non poter muoversi. Si sentono i loro lamenti e le loro voci. Arrivano di corsa, non so da dove e da chi chiamati, due o tre carretti, coi cavalli guidati da donne e ragazze.
Nei carretti ci sono cesti di frutta e del pane. Le donne allungano la roba da mangiare ai soldati attraverso i piccoli finestrini del treno, da cui sporgono disperate le mani.
Scrivo a te questa lettera perché so del tuo amore per le bestie. Ho letto in questi giorni che dei treni pieni di animali da macello, cavalli o buoi, usano stare fermi tre o quattro giorni in certe stazioni di confine. Le bestie, gremite dentro i vagoni piombati, non mangiano né bevono e spesso muoiono.
Anche gli uomini morivano nei treni merci diretti verso la Germania, e i loro corpi restavano per giorni tra i corpi dei vivi, sugli escrementi.
Nella mia fantasia le due immagini quella dei vagoni pieni di uomini e quella dei vagoni pieni di animali- mostruosamente si confondono.
Io sono del tutto privo di sentimentalismi nei confronti degli animali: in questo sono insospettabile. Eppure proprio perché ricordo, con un’angoscia che è rimasta uguale, i martiri che hanno patito allora gli uomini, ho pietà per i martiri che continuano a patire gli animali.
Lo so che non c’è nulla da fare: che tu, che io possiamo commuoverci quanto vogliamo, possiamo protestare quanto vogliamo. Coloro che hanno degli interessi in gioco in quel lugubre traffico di bestie da macello, sono infinitamente più forti di noi, e la vittoria sarà sempre loro.
P.P. Pasolini a Anna Magnani
su 'Tempo' del 29 dicembre 1969
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