Tiziano, Venere di Urbino
I dettagli ribelli che ci spiegano un’opera d’arte
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Michele Smargiassi
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Ma insomma,
cosa vogliono da noi questi dipinti? Perché è chiaro che i dipinti
pensano in proprio, e quando avrete finito di leggere o di rileggere
questo pirotecnico volumetto di Daniel Arasse pure voi sarete persuasi
che i dipinti desiderano qualcosa, producono senso anche oltre la
volontà del pittore che li dipinse e oltre lo scopo per cui li dipinse.
Pieter Bruegel L’adorazione dei Magi
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Francese
nato in Algeria, discepolo di André Chastel e Pierre Francastel, Arasse è
il sorridente storico dell’arte che ha fatto della sua disciplina una
rigorosissima gaia scienza, lui diceva serio ludere; e averlo perso dieci anni fa, a soli 59 anni per una malattia degenerativa, lascia una lacuna non ancora colmata. QuestoNon si vede niente riportato
in libreria da Einaudi è una delle sue ultime opere, la meno
accademica, la più gioiosamente provocatoria. Descrizioni, dice
modestamente il sottotitolo: sono invece sei letture di quadri in forma
di apologhi, dialoghi, atti unici con personaggi, come la collega Giulia
che Arasse scandalizza raccontando un Tintoretto come «una scena da
vaudeville», o l’anonimo storico dell’arte italiano (sotto con le
ipotesi…) a cui intima spazientito «ancora l’iconografia! Ma guardi il
quadro!». Sono piccole sceneggiature spumeggianti, spiritose,
spregiudicate, che celano una robusta teoria dell’arte, o meglio
dell’opera d’arte, un’idea della pittura come «pensiero visivo», come
tensione desiderante e perfino erotica, che ribalta i tavoli degli
studiosi e fa arrossire qualche pudore accademico. Cosa guardano gli
acciaccati Magi di Brueghel fra le gambette di Gesù Bambino? Non vedete
che i lunghi capelli di Maria Maddalena, mediatrice tra Eva e Maria,
sono il suo «pube convertito»? Cosa sta per combinare il Vulcano di
Tintoretto scoprendo le grazie di sua moglie Venere (guardate nello
specchio…)? E l’altra Venere, l’urbinate di Tiziano, perché giocherella
con la manina sinistra in quella posizione imbarazzante, mentre ci
guarda negli occhi, e soprattutto in che luogo si trova, e dove vuole
portare noi?
Tintoretto Venere, Marte e Vulcano
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Guardiamoli,
i dipinti, senza occhiali scuri, via quel «filtro solare che protegge
dal bagliore del quadro», schermo timoroso degli storici che si
nascondono dietro la corazza delle «fonti coeve», liberiamoci di
quella «iconografia documentale» che sommerge il testo dell’opera con le
carte delle biblioteche e finisce per rendere «opaca» la soglia del
quadro, smettiamola di ignorare i dettagli ribelli nei quali si nasconde
non il diavolo ma l’angelo dell’opera. Guai a chi schiaccia la lumaca.
Sì, la lumaca incongrua che Francesco del Cossa ha dipinto sul bordo
della sua Annunciazione, e che dopo stringente istruttoria Arasse fa
confessare di essere il nostro stesso sguardo che entra nel quadro per
denunciarne la magnifica finzione, la fantastica illusione.
Francesco del Cossa Annunciazione
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Il metodo di
Arasse è eccentrico, ma niente affatto bizzarro, il suo uso dei
dettagli ricorda il “sistema Morelli”, la sua ermeneutica è abduttiva,
audace, per lui un dipinto è un nodo gordiano che possiede uno
scioglimento, un campo di indizi che devono connettersi, Arasse non
rifiuta il soccorso di semiologia e sociologia, né disdegna l’aiuto
delle “fonti”, non è un anti-iconografo, semmai un iconografo
sovversivo, convinto che il senso dell’opera sia disposto nella sua
trama, ma non necessariamente nel modo in cui il pittore ce l’ha messo.
Viva l’anacronismo dunque: il significato di un quadro può attendere,
per rivelarsi, tempi e contesti lontani da quello originario. Con questo
spirito Arasse affronta dopo qualche esitazione («lasciatelo riposare
un po’ questo quadro…») anche le ormai inaffrontabili Meninas di
Velàzquez, il dipinto più sovranalizzato della storia dell’arte, per
una volta non scandalizzandosi per l’«appropriazione» strutturalista che ne fece Foucault, che pure corregge.
Diego Velázquez Las Meninas
.
Se poi
vogliamo continuare a pensare che nei dipinti degli Antichi Maestri «non
si vede niente», facciamo pure. Arasse ci avverte, però, che è solo
perché «in ciò che guardate non vedete nulla. O meglio, in ciò che
vedete, non vedete ciò che guardate».
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di Daniel Arasse Einaudi, trad. di Luca Bianco pagg. 170 euro 26
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