Si delinea il progetto di decifrare e descrivere l’insieme delle interazioni cerebrali. Ma le difficoltà tecniche restano enormi
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Nel labirinto dei neuroni
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Dal genoma al «connettoma», la mente umana senza segreti
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di Sandro Modeo
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Nel 1986, il grande biologo sudafricano Sydney Brenner pubblica uno studio-spartiacque, la cui versione abbreviata si intitola The Mind of a Worm,
«La mente di un verme». È l’esito di un «corpo a corpo» durato un
quarto di secolo con un nematode trasparente lungo un millimetro, Caenorhabditis elegans,
di cui Brenner e il suo team riescono a descrivere nei dettagli i 302
neuroni e le relative 7.000 connessioni (il suo «connettoma»):
l’intricata rete nervosa che consente al verme di nutrirsi, riprodursi e
fuggire davanti a una minaccia.
Secondo
Sebastian Seung, neurobiologo computazionale del Mit e autore del libro
Connettoma (Codice edizioni), l’impresa di Brenner è solo l’innesco di
un’operazione molto più ambiziosa: riuscire a descrivere e decifrare
l’insieme di tutte le connessioni neurali di un cervello umano; in una
parola, il «connettoma» di ognuno di noi. Integrazione e prosecuzione
del genoma (cioè dei 3 miliardi di nucleotidi che scrivono in ogni
cellula la nostra identità genetica), il connettoma arriverebbe a
mostrarci la mappatura dinamica di ogni stato e processo mentale: non
solo schemi motori e percezioni, ma anche ricordi, fluttuazioni
affettivo-emotive, pensieri complessi, fino a individuare le
«connettopatie» (deficit o anomalie di trasmissione sinaptica) estese
dalle sindromi autistiche a quelle degenerative. Quanto l’obiettivo sia
utopico e remoto, lo riassume la disperante evidenza dei dati, con i 100
miliardi di neuroni del nostro cervello che intessono un miliardo di
sinapsi per millimetro cubo. È una foresta impenetrabile, simile —
chiarisce Seung—non tanto a quelle nordiche, con le loro conifere
uniformi e quasi stilizzate,quanto a quelle tropicali, con la loro varietà frastornante di vegetali.
Per inciso,
questa accensione metaforica (una delle tante impiegate da Seung, spesso
geniali) riassume bene la tonalità di un libro, per così dire, in stile
«Wired», come quelli del guru del nano-tech Eric Drexler, dove i molti
pregi (il coraggio intellettuale e la qualità letteraria) scontano
tuttavia una certa fragilità teorica e una visionarietà a rischio New
Age; confinata per fortuna, nel caso di Seung, agli ultimi due capitoli
sul cyber-sogno di un’immortalità transumana.
Nell’avvicinamento
al connettoma, Seung descrive, come pochi altri neuroscienziati, il
groviglio della foresta e i singoli alberi (i neuroni), con sinapsi e
impulsi elettrici, neurotrasmettitori e recettori a cadenzare un
«respiro» in cui costruzione ed eliminazione (attivazione e inibizione
degli stimoli) coesistono incessantemente. È una modulazione attenuata
della «distruzione creatrice» del neonato, che produce, tra i due e i
quattro mesi, mezzo milione di sinapsi al secondo, poi sottoposte
— secondo il «darwinismo neurale» di Edelman, giustamente richiamato da
Seung — al setaccio di una spietata competizione. In particolare, Seung
riassume questo «respiro» nell’invarianza di «quattro R»: i neuroni
ripesano le connessioni, rinforzandole o indebolendole; si riconnettono,
creando o eliminando sinapsi; si ricablano, facendo crescere o
ritraendo le ramificazioni; e si rigenerano, con nuovi neuroni che
prendono il posto dei vecchi.
Tra gli
esempi delle infinite gradazioni di un simile intreccio
chimico-elettrico troviamo, da un lato, le sinapsi che si rafforzano,
come nella memoria, con i ricordi archiviati e latenti (ripesati) pronti
a essere «espressi» secondo i contesti e le situazioni: vedi il canto
d’amore «cristallizzato» di un uccellino (il diamante mandarino), emesso
con la pulizia di un Cd e con la precisione di «un pattinatore che
esegua sul ghiaccio traiettorie obbligatorie»; o vedi, nell’uomo, la
permanenza del ricordo prolungato della propria identità. Dall’altro,
troviamo invece gli stimoli abortiti e le informazioni soppresse, come
nelle incertezze decisionali: se l’inconscio neurale non provvedesse a
inibire certe catene sinaptiche, saremmo preda di paralisi amletiche. In
sintesi, nell’intreccio sinaptico i silenzi contano quanto i suoni, i
vicoli ciechi quanto le strade imboccate.
Decisivo,
nell’ottica del connettoma, è poi il rapporto tra localizzazione e
plasticità, tra le aree specializzate in precise funzioni (quelle del
linguaggio) e le possibilità che il cervello ne surroghi eventuali
lesioni con un ricablaggio neurale. Dopo discussioni secolari, si è
arrivati a una buona messa a fuoco. È indubbio che il cervello sia più
plastico del previsto, come mostrano i casi di «compensazione» narrati in libri come II cervello infinito
di Norman Doidge (Ponte alle Grazie): ma sono eccezioni, perché la
norma riguarda perlopiù recuperi in età precoce, come mostrano i criceti
neonati (che, privati sperimentalmente della vista, convertono le vie
uditive in visive) o i bambini epilettici sottoposti a resezione
dell’emisfero sinistro, capaci di un recupero del linguaggio —con
riconversione di quello destro—proibitivo per adulti sottoposti allo
stesso intervento. Se ci fosse una plasticità assoluta, si guarirebbe,
per esempio, da ogni forma di ictus; mentre simili shock cerebrali,
sintetizza Seung, sono come l’infortunio di un giocatore in una squadra
di calcio rimasta senza cambi, con i dieci in campo che ridisegnano
tattica e compiti. La cadenza neurale tra costruzione-eliminazione e il
rapporto localizzazione-plasticità sono i veri obiettivi della
«connettomica», sia per illuminare meglio gli alberi e la foresta, sia
per trame nuove vie diagnostico-terapeutiche. Ma si presentano due
ordini di difficoltà.
La prima è
data dai limiti tecnologico-osservativi, descritti da Seung in capitoli
rivelatori. Pur disponendo di risonanze magnetiche (Mri) sempre più
sofisticate, o di «ultra-microtomi» in grado di «affettare» il cervello
in sezioni di 50 nanometri (mille volte più sottili di un capello) da
leggersi poi con microscopi elettronici seriali, non riusciamo ancora a
ricostruire i connettami umani. Ci vorrebbero computer istruiti a
discriminare le immagini (una forma di intelligenza artificiale oggi impensabile)
o strumenti in grado di trasmettere le sequenze del cervello a una
velocità superiore a quella dell’Lhc di Ginevra, che accelera i protoni
portandoli a un miliardo di collisioni al secondo. Al momento, possiamo
limitarci a inquadrare connettomi «regionali», sezioni di un atlante in
divenire.
Il secondo
ordine di difficoltà è concettuale, e coinvolge la prospettiva stessa
del connettoma. È scontato, infatti, che il connettoma sia «più del
genoma» (di cui peraltro è in larga parte l’espressione) e che la sua
decifrazione — fotografando gli esiti della casualità e dell’esperienza
sul cervello, incluso il dialogo dei neuroni con se stessi, cioè
l’introspezione—possa restituirci le pieghe più intime del substrato
biologico dei nostri eventi mentali. Ma Seung, pur descrivendoli molto
bene, sembra sottovalutare i vincoli esercitati a monte dalla selezione
naturale e dalla genetica, che trasmette in eredità tratti e
comportamenti adattativi scremati proprio dalla selezione. Lo vediamo
bene nelle neuropatologie. Molte «connettopatie» indagate da Seung (si
tratti di anomalie morfologiche o di interazione sinaptica, dalle
microcefalie all’autismo) sono infatti l’esito di errori di copiatura
del Dna (mutazioni), con cui la vita si diversifica per affrontare ogni
tipo di pressione ambientale. Alla radice, cioè, molte patologie del
cervello (specie le più gravi) sono il prezzo individuale da pagare a
dinamiche adattative della specie, e più in generale del vivente. E lo
stesso vale per molte malattie neurodegenerative, le cui evidenze
genetiche hanno spinto la ricerca verso la genomica e la medicina
rigenerativa.
Non c’è
dubbio che il dispiegarsi del connettoma — se e quando possibile—aprirà
molte porte e spalancherà nuovi paesaggi. Ma intanto, ricordarsi di quei
vincoli non significa negare le incidenze ambientali/culturali
sull’identità e la malattia, o abbracciare un determinismo tirannico.
Significa solo, in attesa di mappe migliori, non perdere contatto col
territorio.
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L’autore
Esce in
libreria il 1 agosto il saggio di Sebastian Seung «Connettoma. La nuova
geografia della mente» (traduzione di Silvio Ferraresi, Codice
edizioni, pagine 386, € 15,90) L’autore, americano di origini coreane,
insegna al Mit di Boston. I suoi lavori sono usciti sulle maggiori
riviste scientifiche
La formula
Il termine
«connettoma» è stato coniato nel 2005 dal neuroscienziato tedesco Olaf
Spurns, dell’indiana University. Sull’argomento, lo studioso italiano
del King’s College Marco Catani ha pubblicato con Michel Thiebaut de
Schotten «Atlas of Human Brain Connections» (Oxford University Press,
2012)
Corriere della Sera – la Lettura
28 luglio 2013
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