26 luglio 2013

PROFEZIA E UTOPIA






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Da Il Foglio del 23 luglio 2013 riprendiamo questo interessante articolo:
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L’occidente cristiano è stato “rivoluzione permanente”, tensione tra sacro e politico. Ora non è più così. I (pochi) spazi di manovra della fede e dei papi. Benedetto e Francesco. L’analisi di Paolo Prodi
di Marco Burini
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L’Europa è come una trottola a fine corsa. Finché girava veloce era una meraviglia: girava freneticamente su se stessa ma non era un girare a vuoto, magari si muoveva un po’ a sbalzi, qua e là, ma tracciava strade nuove. Oggi la trottola si sta fermando. “L’Europa, l’occidente sono nati e cresciuti come ‘rivoluzione permanente’, cioè come capacità nel corso dei secoli di progettare una società alternativa rispetto a quella presente: ora questa capacità di pensare un futuro diverso sembra essere venuta meno: il mito della rivoluzione è finito”, sostiene Paolo Prodi che da una vita gira intorno a questo oggetto, il potere come ha preso forma e sostanza alle nostre latitudini lungo i secoli. E se questo fosse davvero l’ultimo giro di giostra?
“Il potere si è sempre retto sulla tensione tra monopolio e concorrenza – ricorda lo storico dell’Università di Bologna – Ho sempre ben presente l’intuizione di Harold Berman: la prima rivoluzione in occidente è stata quella gregoriana perché ha messo in contrasto il papato con l’impero e quindi ha trasferito la distinzione evangelica, ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, nelle istituzioni, e l’ha fatta diventare un fatto politico di primo piano. A partire dall’Undicesimo secolo questa polarizzazione tra sacro e politico ha dato il via a una società in movimento ed è venuta meno la staticità di una politica sacralizzata. La chiesa stessa è stata influenzata e assimilata da questo processo; infatti il diritto canonico si distingue dal diritto statale. Non è come la sharia islamica, in occidente abbiamo un pluralismo di poteri che si traduce in un pluralismo di norme giuridiche. E non bisogna certo aspettare l’Illuminismo per parlare di diritti umani; maturano con esso, ma le loro radici sono in questa polarità originaria tra sacro e politico in cui la politica può essere concepita sotto forma di regole per la convivenza, il bene comune, la protezione degli interessi privati, la differenza tra privato e pubblico, tutte cose impossibili da sviluppare senza questa separazione dal sacro. Certo, c’è stata un’osmosi continua ma senza mai arrivare all’affermazione di un potere unitario”. Adesso però il rischio di una concentrazione abnorme del potere c’è, proprio mentre vengono meno le voci profetiche che possano contestare questa deriva. “Profezia vs. utopia” è il titolo di una raccolta di saggi appena pubblicata dal Mulino in cui Prodi torna su queste riflessioni. Non è più il tempo di rivoluzioni e i profeti sono scomparsi o sono stati addomesticati. Eppure gesti profetici ancora accadono. La rinuncia di Benedetto XVI, ad esempio. Giorgio Agamben ne è rimasto così colpito da scriverci un saggio (“Il mistero del male. Benedetto XVI e la fine dei tempi”, Laterza) in cui sostiene che la rivoluzione è ancora possibile, a patto però che si rimetta al centro la giustizia. Il gesto di Ratzinger, infatti, è un richiamo forte, escatologico, non nel senso di fuori della storia ma come possibilità fattuale, anche se remota, di una trasformazione storica, anticapitalistica nel proposito di Agamben.
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Di fronte a questo scenario Prodi è più scettico. “Forse è vero, sono più pessimista. Diciamo che Agamben si ferma sempre un po’ sulla soglia, io mi lascio trascinare, proprio perché non ho una capacità teoretica, a pensare di più alla trasformazione reale della società. Ma in realtà dal mio punto di vista la polemica è soprattutto con Severino”. Che fondamentalmente nega la storia: niente cambia mai. “Per lui il dominio della tecnica è totale e indiscutibile, è un cambio di paradigma. Certo, oggi o troviamo in fretta un’alternativa oppure questo ciclo storico è finito e non resta che prendere atto che al dominio della tecnica l’uomo non può sottrarsi. Un neoconfucianesimo che fonde i sondaggi, gli algoritmi e l’ordine fisso dell’universo, e quindi la fine dell’uomo come storia di salvezza, l’uomo che può decidere del suo destino in base alle sue scelte”.
Non è un’ipotesi di scuola. “Tutt’altro, per i nostri figli c’è il rischio che finisca davvero così – ci dice Prodi – Se, per citare una notizia recente, il 68 per cento degli intervistati è favorevole all’aborto terapeutico e una commissione, un’authority, ratifica questo sondaggio, per il cittadino non si pone più il problema del peccato e del reato perché non esiste più il doppio ordine della legge. Diverso è se, in questo scontro di civiltà in cui ci troviamo, l’Europa riesce in qualche modo a reintrodurre l’elemento storico, cioè il cammino della salvezza che è sempre individuale. Anche se a ben vedere non si tratta dello scontro tra noi da una parte e la Cina dall’altra perché la Cina è già dentro di noi; il mercato occidentale si è cinesizzato da tempo”.
Forse è anche un problema di parole: chiesa, stato, mercato. Per secoli le abbiamo usate tranquillamente, avevano un loro dinamismo ma tutto sommato circoscrivevano delle evidenze. Oggi continuiamo a usarle ma con qualche imbarazzo. “Le istituzioni si sono dissolte, lo stato non esiste più, come la dialettica pubblico-privato”. Però andiamo avanti come se nulla fosse. “Proviamo a dirlo meglio – spiega Prodi – In qualche modo lo stato ci sarà sempre, è finito lo stato sovrano che controllava i parametri della vita e della morte, con una scuola che insegnava ai bimbi a diventare cittadini, l’amore per la patria. Tutto questo è finito, restano gli stati che hanno ancora poteri di estremo rilievo ma non sono assolutamente sovrani”. Lo stato non è più sovrano, la chiesa non è sovrana. E il mercato? Agamben, di solito un tipo sorvegliato, alla fine del suo saggio si lascia andare a qualche apprezzamento e lo fa proprio sulla sovranità assoluta del mercato. Scrive: “Nella prospettiva dell’ideologia liberista oggi dominante, il paradigma del mercato autoregolantesi si è sostituito a quello della giustizia e si finge di poter governare una società sempre più ingovernabile secondo criteri esclusivamente tecnici”.
Da parte sua, Prodi ritiene che “in questo momento il mercato è dominante nella misura in cui però sfugge a qualunque tipo di controllo. In un certo senso è l’opposto di quanto sostiene Agamben: il mercato non è autoregolante ma cerca il monopolio del potere. Ritorniamo alla Cina: finora è un mercato che si è espanso senza problemi, ma nel momento in cui scoppiasse dovrebbe trasformarsi in potere politico totale. La mia paura è che tra pochi anni si torni a una concentrazione del potere che inneschi un conflitto di civiltà. Se il mercato in Cina non riesce a dirigere la politica è fatale che il potere diventi potere di controllo delle reti e dei beni”. Il potere tende sempre a cristallizzarsi. “Soprattutto non c’è vuoto di potere,
mai”. Se verrà meno la tensione creativa, il pluralismo, non sarà poi molto importante quale nome avrà il monolite (la Bibbia narra di Babele). “Speriamo che non sia un monopolio sorvegliato con il filo spinato dei campi di concentramento, ma se pensiamo a certe commissioni etiche… La Cina è stata la prima con la politica del figlio unico”. Oggi la posta in gioco non è tanto la sorte delle istituzioni ma il destino dell’uomo. “Infatti. Per questo non mi sono mai entusiasmato per lo stile di Benedetto XVI – dice Prodi – Certo, è stato capace di un atto grandioso come le dimissioni, ma se dovessi dire che dalle sue pagine emerge una riflessione concreta sul problema dell’umano. ”. Francesco, invece, è tutt’altro che astratto, non teorizza ma va al sodo. “Secondo me sì. E’ più libero, elastico, sa intercettare i problemi. Risolverli è un’altra cosa, sono così enormi. Lui mostra un’ottima resilienza, per usare un termine di moda. Ma il materiale può sempre rompersi… Sono abbastanza pessimista”.
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In “Profezia vs. utopia” si legge: “La storia insegna che le grandi decisioni vengono sempre prese sotto la pressione delle grandi minacce. Difficilmente si cambia nei periodi di benessere”. In effetti, come dice il salmo, “l’uomo nella prosperità non comprende / è come gli animali che periscono”. Quindi il tempo della prova, del combattimento appartiene all’umano. “Non c’è dubbio – ci dice Prodi – La nuova guerra, che spero non arrivi mai, sarà diversa da tutte quelle che abbiamo combattuto per secoli. Prima c’era uno stato che dichiarava guerra a un altro stato, adesso le guerre si combattono su altri piani. Se penso che i cinesi possiedono quasi il trenta per cento del debito pubblico americano. Solo questo dato relativizza secoli di politica estera. Basterebbe che la Cina avesse interesse, non che fosse cattiva o buona, ma che semplicemente avesse interesse a sbattere al muro gli Stati Uniti: l’esercito americano cosa potrebbe fare? I soldati ormai stanno a guardia dei conflitti più che combatterli. Il caos europeo lo dimostra ampiamente”.
Tornando a questo Papa, il suo stile fatto di gesti e denunce forti (la visita a Lampedusa, le accuse a una comunicazione per cui “un senzatetto che muore non fa notizia mentre la Borsa che perde dieci punti fa notizia”) è utopico o profetico? E’ una denuncia forte o una mancanza di realismo? “Mi pare più la seconda. Certo, piace che il Papa prenda queste posizioni, ma le dominazioni di questo mondo sono organizzate così, non ce la si può prendere con i mass media. L’affermazione del Papa è sacrosanta ma può essere interpretata in modo ambiguo”. Ma dove si annida o si appalesa qualche lampo profetico, oggi? Come rimettere in circolo la tensione dialettica tipica della nostra storia e non subire l’inerzia della cronaca? “Io porrei la domanda così: può la chiesa oggi riappropriarsi della profezia e ricostituirsi come polo dialettico nei confronti del nuovo monopolio del potere? La vecchia chiesa, la societas perfecta con i suoi ordinamenti e tutta la sua gloria, è in via di disfacimento. D’altronde non vedo nei movimenti ecclesiali segni di rinascita autentica. Resta il fatto che questo Papa si è posto il problema: il cristianesimo non può ridursi a utopia assecondando il potere in questo ennesimo giro di giostra, anche se promette benessere per tutti. Il cristianesimo deve essere la spina nel fianco che porta avanti l’uomo singolo, proprio quando il singolo non vale niente. In questo senso il cristianesimo è profezia, un discorso che viene dal di fuori della politica. Però questo suppone che ci sia un riconoscimento realistico della struttura del potere. Alla società tecnologica non importa nulla se un bimbo nasce o non nasce; e se mantenere un novantenne costa troppo, lo si elimina. Lo dico perché ormai a quell’età ci sto arrivando. e noi stiamo lì ancora a disquisire di eutanasia sì eutanasia no”. Battaglie di principio che occultano la realtà. “Anche sull’aborto è lo stesso. Il cristianesimo si misura su queste frontiere. O il giudizio è dato in base all’amore – e allora uno può anche spendere tutta la vita per assistere la madre malata o il figlio disabile. Ma poi si riesce a stabilire una differenza che porti a scelte libere, senza che il peccato diventi reato e il reato diventi peccato? Ecco perché discorsi come quello sull’eutanasia mi lasciano freddo: ciò che conta è alleviare il più possibile le sofferenze e fare una buona morte. Il problema vero è se la società che viene deciderà che oltre un tot non si possa spendere e quindi sia più conveniente staccare la spina. O l’amore o questo: il conflitto per la salvezza dell’anima passa da qui”. Per rimettersi in moto il cristianesimo deve inventarsi qualcosa, magari smettere qualche vecchio abito occidentale. “Però non in nome di un ecumenismo vago – precisa Prodi – La questione resta la salvezza che è un tema metapolitico e metaeconomico, mentre sbiadiscono categorie come laicità e tolleranza che funzionavano all’interno di una società che aveva le sue forme e che oggi è tramontata”.




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