Più volte ci siamo chiesti se gli incontri avvenuti nella nostra vita fossero frutto di una scelta, del caso o del destino. Un libro ci ha aiutati a rispondere a queste domande.
f.v.
Probabile che a molti di voi il nome di
Cecilia Kin possa dire poco; ma è un dato di fatto che, prima della sua
scomparsa nel 1992 questa anziana signora russa, nata bielorussa, per
decenni relegata in un minuscolo appartamentino di Mosca, si sia fatta
riconoscere come una grande italianista, se non proprio la più efficace
italianista della sua generazione. Sergio Romano, che la conobbe in Urss
diversi anni fa e che è pure citato nel libro “Scelta o destino”, così
ce la ricorda: “Quando la famiglia si trasferì a Ekaterinburg, dopo la
rivoluzione d’Ottobre, Cecilia divenne comunista, militò nelle file del
Komsomol (l’organizzazione giovanile del partito) e incontrò di lì a
poco, non ancora diciottenne, Viktor Kin, giornalista, drammaturgo,
romanziere, combattente della guerra civile fra Rossi e Bianchi […]. La
loro vita fu stroncata nel 1937 quando Viktor cadde nella trappola delle
grandi purghe staliniane e fu condannato a dieci anni di lager. Credo
che Cecilia non abbia mai saputo se fosse morto di freddo e stenti nelle
regioni siberiane dell’arcipelago Gulag, o se fosse stato «giustiziato»
all’inizio della prigionia, come accadeva in molti casi. Uscì dal lager
nel 1946 soltanto perché il figlio era morto per la patria a
diciassette anni combattendo contro i tedeschi. Cecilia ricominciò a
vivere e trovò nella scrittura una consolazione per gli affetti
perduti”. E soprattutto ci dà la sua interpretazione sull’ideologia di
questa vittima del regime ancora fedele all’idea di un socialismo
scientifico e precorritrice del nuovo corso gorbacioviano dell’Urss: una
militanza tutta intellettuale la sua, in opposizione ad un regime che,
col totalitarismo, si era svuotato di ogni ideale. Cecilia Kin, secondo
Romano, definiva la storia sovietica, soprattutto durante il periodo
staliniano, “un dramma collettivo” per sfuggire a qualsiasi discussione
sulla rivoluzione, sul comunismo, sul regime e le responsabilità dei
suoi leader: “Erano argomenti delicati che era meglio non sollevare. Ma
dietro questa naturale prudenza vi era anche il desiderio di non
rinnegare il suo comunismo. Fu questa forse la ragione della sua
amicizia per i comunisti italiani. Sperò di trovare nel partito di
Gramsci e Berlinguer la dimostrazione che la sua scelta era stata
giusta”.
Un’idea, un desiderio di non rinnegarsi
che probabilmente, insieme ad altri motivi più strettamente letterari e
riferiti ai tanti personaggi ricordati nella sua opera, ha motivato quel
titolo: “Scelta o destino”. Non si deve però pensare ad un’opera
condizionata dall’ideologia, anche se intesa in senso gorbacioviano,
ovvero l’illudersi che socialismo, rivoluzione e libertà potessero
andare d’accordo.
Le pagine di “Scelta o destino” ci
risultano magari un po’ inorganiche, come una sorta di zibaldone di
pensieri, caratterizzate da uno scorrevole stile antiaccademico, molto
chiaro anche quando si coglie il suo infantile stupore di fronte ai
tanti misteri italiani e ai bizzosi intellettuali del nostro paese. Ma è
altrettanto vero che la socialista Cecilia Kin, ad esempio, mostra una
particolare attenzione per l’Italia cattolica, oltretutto con
argomentazioni talmente “democratiche”, di sicuro più tolleranti di
quelle di tanti maîtreàpenser
di sinistra, che proprio non verrebbe in mente di avere a che fare con
una scrittrice vissuta gran parte della sua vita in piena dittatura
sovietica. Per non parlare del capitolo dedicato al destrorso Indro
Montanelli, del quale, con toni ammirati e pieni di affetto, oltre
all’opera e ai suoi libri, analizzati dal punto di vista più
strettamente letterario, racconta con grande lucidità le complicate
vicissitudini personali e professionali, almeno quelle note ai più, pur
non negando il suo carattere un po’infantile ed egocentrico. In questo
senso alcune delle affermazioni di Cecilia Kin su Montanelli (e su
Longanesi, Berto Ricci ed altri destrorsi presenti nel libro) si
potrebbero riassumere in una celebre frase dello stesso giornalista
toscano: “I principi restano e le idee invece cambiano con gli uomini
cui vengono date in appalto. L'impegno della coerenza ho imparato a
riservarlo soltanto ai valori fondamentali cui un uomo deve ispirare la
propria condotta”. Ed ancora: “da tempo ho rinunciato a giudicare gli
uomini dalle loro idee. Li giudico dal mondo in cui le servono”.
“Scelta e destino”, col senno di poi, ci
appare in qualche modo anche profetico. Pubblicato in edizione italiana
ridotta rispetto quella sovietica (siamo ancora nel 1988), come già
ricordato, contiene molti giudizi sugli intellettuali italiani, da
Piovene a Moravia, molti dei quali furono ospiti del suo minuscolo
appartamento moscovita. Giudizi spesso pieni di ammirazione ma a volte
molto severi al di là delle posizioni ideologiche di ciascuno. Tra i
pochi intellettuali presunti e ferocemente criticati troviamo Piero
Ostellino, al tempo in odore di craxismo. Così Cecilia Kin in risposta
ad alcune affermazioni azzardate dell’allora direttore del Corriere:
“Montanelli, Scalfari e Fattori sono uomini molto diversi per
temperamento, opinioni ed esperienze, ma è semplicemente imbarazzante
che tutti e tre abbiano i più diretti rapporti col mondo della cultura
[…] Il suo caso è quasi da antologia: autocompiacimento, pretesa al
superintellettualismo, dietro il quale si nasconde sordità morale, il
più perfetto aplomb, conoscenze, carriera. Egli è convinto di non aver
mai scritto nulla di banale nella sua vita. E noi ci chiediamo: in tal
caso, che cos’è banale se non questa prosa?” (pag. 127). Poi in epoca
berlusconiana abbiamo conosciuto ancora meglio Ostellino, il falso
terzismo dei suoi colleghi del Corriere, gli editoriali surreali e privi
di contenuto, la difesa dell’indifendibile con argomenti appunto
superintellettuali: e quindi ancora oggi possiamo sottoscrivere le
parole di Cecilia Kin, pubblicate nell’ormai lontano 1988.
Chiude il volume un lungo capitolo
dedicato all’opera di Leonardo Sciascia, probabilmente lo scrittore
italiano col quale condivideva le maggiori affinità, anche dal punto di
vista ideale e politico. Non è un caso se la prefazione all’edizione
italiana del libro sia opera dello stesso Sciascia: “Ogni tanto ci
sentiamo per telefono: non colgo per mia incipiente sordità, tutte le
parole che dice; ma ne ho un senso di conforto, di bellezza: la bellezza
di una grande amicizia, di un affetto che abolisce la lontananza , di
un reciproco e continuo pensarci” (pag. 6).
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Cecilia Kin (1906, Mogiliov –
Mosca, 1992), nata Cecilia Rubinstein, giornalista e scrittrice russa,
ha vissuto a Mosca e si è occupata esclusivamente, per oltre trent’anni,
della cultura e della politica italiana. Negli anni dell’Unione
Sovietica, caratterizzati dalla repressione della cultura e della
dissideza, la sua casa era diventata un punto di riferimento per molti
intellettuali italiani. Nel 1985 ha tenuto una serie di conferenze per
l’Associazione Culturale Italiana. In Italia ha pubblicato anche
“Autoritratto in rosso” (Lucarini, 1989). Ormai gravemente malata è
morta suicida nel 1992.
Cecilia Kin, "Scelta o destino", Il Lichene Edizioni Milano 1988, pag. 255. Traduzione di Claudia Sugliano e Bruno Mozzone
Luca Menichetti. Lankelot, luglio 2013
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