Cinquant’anni fa, il
14 luglio, il "tintinnio di sciabole" del “Piano solo”.
La minaccia di golpe bloccò la politica riformista del
centrosinistra. Detto per inciso il progetto golpista, redatto con la
supervisione americana e NATO, prevedeva procedure operative
identiche a quelle che in Grecia due anni più tardi portarono al
potere i colonnelli.
Antonio Bevere
Piano Solo, quando
il centrosinistra allarmava la destra
Un serio
giornalista ha definito «nebulosa
vicenda», con particolari avvolti «nel buio», un
episodio (il Piano Solo del 1964), che in una recente
rassegna “storica” (M.Teodori– M.Bordin,
“Complotto. Come i politici ci ingannano”,
ed Marsilio) è stato collocato al primo
posto in una serie di immaginari colpi di Stato, la cui
enfatizzazione, secondo gli autori, ha fatto comodo
a giornalisti avidi di scoop e a
politici spregiudicati pronti a usare il
pretesto dello scontro nelle piazze e nelle
istituzioni per mantenere l’immobilismo.
Vittime
del bluff, nel luglio del 1964, sono stati i socialisti
di Pietro Nenni che volevano dar vita a un
centrosinistra più riformatore,
guidato da Aldo Moro.
Questo
“complotto al Quirinale” non dovette essere
tanto immaginario, posto che la sua attivazione
prevedeva una specie di rastrellamento di
dirigenti politici da trasferire
forzosamente in Sardegna, e che si
trattava di «una manovra agitata dai maggiorenti
democristiani conservatori, stretti
intorno al presidente Segni, per intimidire
i settori riformatori del Psi e della DC
e costringerli ad accettare una piattaforma
di governo moderata».
Tanta leggerezza
ed ironia lasciano un po’ perplessi, perché su
questo evento sono stati svolti accertamenti in
sede amministrativa (commissione
presieduta dal generale Lombardi), in sede
parlamentare (commissione parlamentare
presieduta dal generale Alessi; commissione
d’inchiesta sul terrorismo presieduta
dall’on.Pellegrino) e in sede giudiziaria
(sentenze del tribunale di Roma 12.5.1970
e 26.2.2001, emesse in tema di pretesa lesione della
reputazione del generale De Lorenzo), nonché
su convincenti osservazioni di storiografi
( Elena Cavalieri, Mimmo Franzinelli).
Secondo questi
accertamenti, nei primi sette mesi del 1964, a seguito
di contatti, promossi dal comandante generale
dei carabinieri, Giovanni De Lorenzo, venne
esaminato dai vertici dell’Arma un piano
predisposto per l’ordine pubblico, in cui
erano previsti interventi di occupazione
di luoghi, edifici, impianti di comunicazione
di natura e funzione pubbliche,
congiuntamente a interventi privativi
della libertà di 731 cittadini, tra cui anche
parlamentari, indicati in elenchi
(parzialmente scomparsi) allegati al piano,
con criterio prevalente dell’appartenenza ad
associazioni di sinistra; queste persone
erano destinate ad essere raccolte in 8–10 porti ed
aeroporti e ad essere inviate, con navi e con aerei
militari dello Stato, in una località della Sardegna.
De Lorenzo non ha
accettato, nel corso dell’interrogatorio dinanzi alla
commissione Lombardi, il ruolo di protagonista
di un’antistorica dittatura militare:
contestatogli che nel binomio con il
presidente della Repubblica «eri il braccio
forte di Segni, che era la mente di questa faccenda. Ad
un bel momento Segni lo hanno messo completamente
fuori…l’hanno scagionato completamente»,
il generale risponde: «Ma …si è parlato che
l’andare addosso a Segni gli irritava l’opinione
pubblica…il fatto che abbiano aggredito me ha salvato
i democristiani e ha fatto cadere l’azione
social-comunista….Poi le cose si sono accomodate
perché si sono messi d’accordo con i socialisti
….hanno ceduto, Nenni ha preferito rimanere sul
posto e tutto è andato a posto».
Questa versione
ha ricevuto una conferma di estrema chiarezza da
Aldo Moro, capo del primo governo di centro sinistra
dimissionario e designato a presiedere
il successivo. Nel suo memoriale, scritto durante
il disumano sequestro delle Brigate Rosse: «Il
tentativo di colpo di Stato nel ’64 ebbe certo le
caratteristiche esterne di un intervento
militare, secondo una pianificazione
propria dell’arma dei carabinieri, infine per
utilizzare questa strumentazione
militare essenzialmente per portare a termine
una pesante interferenza politica rivolta
a bloccare o almeno a fortemente
dimensionare la politica del centro sinistra,
ai primi momenti del suo svolgimento.
Questo obiettivo politico era perseguito dal presidente della Repubblica on.Segni, che questa politica aveva timidamente accettato in connessione con l’obiettivo della Presidenza della Repubblica. Ma a questa politica era contrario ….mentre si sviluppava l’azione dei gruppi di azione agraria, ostili alla politica del centro sinistra e di ogni politica democratica …… Il piano, su disposizione del capo dello Stato, fu messo a punto nelle sue parti operative (luoghi e modi di concentramento in caso di emergenza ) che avevano preminente riferimento alla sinistra, secondo lo spirito dei tempi».
Il ministro
dell’interno, Paolo Emilio Taviani — confermato
il ruolo trainante del capo dello Stato che «non era solo né
isolato nelle sue preoccupazioni» — ha
elencato i nomi di alte cariche dello Stato che
condividevano le sue posizioni (nomi che
sono riportati da Elena Cavalieri in I piani
di liquidazione del centro-sinistra nel 1964)
concludendo che «Accanto e attorno ai nomi citati,
era un cospicuo mondo politico trasversale non
legato a interessi né da sigle associative.
Erano parlamentari, alti funzionari,
magistrati, alti ufficiali che vedevano un grave
pericolo nella nostra apertura a sinistra,
iniziata negli anni Sessanta. Era un movimento di
opinione contro il centro sinistra, di gente
in parte in buona fede, in parte interessata
a mantenere lo status quo sul piano
sociale».
Il ruolo svolto dal
presidente del Senato nell’anomala opposizione
al programma di centro-sinistra (incentrato sulla
democratizzazione del potere economico,
attraverso gli organi della pianificazione)
è ben descritto da Franzinelli: «Nel febbraio
1964, Merzagora lo aggiorna sul sondaggio da
lui effettuato nella finanza lombarda, dove si accusano
i socialisti di determinare un’atmosfera
di minaccia agli interessi imprenditoriali
…Da tempo il presidente del Senato elabora
proposte in sintonia con gli interessi
degli industriali e contrarie alla linea
rappresentata dai socialisti
nell’esecutivo. Il ministro del bilancio Antonio
Giolitti è considerato l’emblema
della sovietizzazione». Su
questa santa alleanza si è soffermato
anche S.Mura in Aldo Moro, Antonio Segni e il
centro-sinistra.
In campo penale non
è stato fatto alcun diretto passo investigativo
su questi fatti, anche se di materiale di indagine
ce ne era in abbondanza. In sede di analisi storica,
non ci si può limitare a ironizzare e a
parlare di fantasie e di aventi nebulosi.
Da questa programmata opposizione
extraistituzionale sono usciti sconfitti
non solo Riccardo Lombardi e Antonio
Giolitti, fautori di ingresso realmente
riformatore dei socialisti nella stanza dei
bottoni, ma tutti i cittadini, rimasti
fedeli ai valori della nostra democrazia.
Da quegli anni si
sono verificati sostanziali mutamenti nella
gestione del potere politico la classe imprenditoriale
si è fatta diretta protagonista
e interviene direttamente nella modifica
degli assetti legislativi, con particolare
riguardo alla deregolamentazione del
mondo del lavoro, assoggettato alla precarietà,
come modello delle relazioni contrattuali, e alla
privatizzazione di servizi e beni
naturalmente pubblici.
La minaccia
militare del Piano Solo e i successivi errori
del Psi hanno quindi bloccato il tentativo di
realizzare la politica economica voluta
da Giolitti, secondo cui, nelle grandi scelte, il potere di
decisione non può non essere esercitato «dalle
istituzioni democratiche responsabili
davanti alla collettività e l’intervento
pubblico e l’iniziativa privata vengono
coordinati e indirizzati in funzione
degli obiettivi fissati da quelle decisioni».
Il
centro-sinistra del 1964 si è dissolto, lasciando
insoluto il problema della democrazia
economica in Italia, cioè la necessità di
trasferire alle istituzioni pubbliche
(confinate in acritico assistenzialismo
finanziario e normativo) il potere di
incidere sulle scelte economiche di fondo.
Il prossimo 14
luglio ricorre il cinquantenario del
“tintinnio di sciabole” che tanto turbò Nenni
e Moro: è proprio insuperabile il
discreto silenzio dei tanti tutori degli annali della nostra
democrazia?
il manifesto - 10 Luglio
2014
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