Ieri al Parlamento europeo Matteo Renzi ha pronunciato il discorso d’apertura del semestre italiano richiamandosi al mito di Telemaco. L’anno scorso Massimo Recalcati in Patria senza padri provava a spiegare perché vedeva in questo mito una chiave per comprendere il rapporto che vive oggi tra le generazioni politiche. (Fonte immagine)
Il discorso di Telemaco
I giovani di oggi assomigliano a Telemaco. Telemaco è il mio personale sviluppo del bambino della Strada. Telemaco che guarda il mare e che si aspetta che qualcosa dal mare torni. Certo, Telemaco si aspetta che dal mare tornino le vele gloriose della flotta invincibile del padre, che dal mare, insomma, torni il padre eroe, sovrano, guerriero e carismatico. E invece Ulisse tornerà dal mare irriconoscibile, come un immigrato, un mendicante, un povero, un vecchio… Telemaco, in un primo momento, infatti, non lo riconosce. Ma è anche questa la sua lezione. Si può riconoscere il padre anche nel sorriso timido di un sindaco. Le nuove generazioni, insomma, sono alla ricerca non tanto di un padre-eroe, quanto di un padre-testimone. Di un padre cioè capace di mostrare, nella propria esistenza singolare, la possibilità concreta di tenere ancora insieme la Legge e il desiderio.
Ma questa figura di Telemaco non ti sembra che consegni ai giovani una sorta di destino attendista? Mi viene in mente come in politica in questi anni abbia fatto breccia un’idea opposta se vuoi, ancora francamente edipica, che è la retorica della «rottamazione».
Anche la mia elaborazione del complesso di Telemaco è stata vista da alcuni miei critici come l’espressione di un pensiero nostalgico; Telemaco attende un padre che viene dal mare e che riporti un ordine patriarcale nella polis… Le cose non stanno così. Per me nel complesso di Telemaco non c’è nessuna nostalgia. È chiaro che Ulisse non tornerà come un padre carismatico, come un padre che ha diritto sulla vita e sulla morte, perché appunto quel padre è irreversibilmente evaporato. Ma il padre di Telemaco non è Godot! Piuttosto è l’indicazione di un diverso rapporto tra le generazioni. Mentre Edipo pone la generazione dei padri sull’asse mortale di un conflitto spietato dell’uno contro l’altro; e mentre Narciso opera una simmetrizzazione speculare della asperità che anima il conflitto tra le generazioni – i padri che si confondono coi figli, i figli che si confondono con le madri, i padri che vanno a raccontare ai figli le loro vicende amorose, il mondo degli adulti che è diventato totalmente permeabile agli occhi dei figli – Telemaco insiste invece nel porre la differenza tra le generazioni e nell’attendere il padre, nel voler essere un giusto erede. È questa la sua aspirazione. Essere un giusto erede. Per questa ragione non attende passivamente il padre. Si muove, lo cerca, va alla sua ricerca, compie degli atti. E soprattutto quando il padre torna non lo riconosce. Ecco il punto che voglio amplificare: questa esperienza del non riconoscimento del padre. Il padre ha un aspetto totalmente diverso da quando è partito. Ora è un mendicante. È solo il figlio che può ricostruire l’incontro col padre, che può renderlo di nuovo possibile.
E l’ideologia della rottamazione come la leggi all’interno di questo recupero di un bisogno del paterno post-evaporazione?
Ecco, nell’ideologia della rottamazione, io vedo due cose, se vuoi diverse tra loro: una luce e un’ombra. L’ombra ai miei occhi è evidente, ed è il rischio di riprodurre una conflittualità di tipo edipico, sebbene rovesciata di segno. La vecchia generazione non molla il posto, non vuole tramontare, non vuole uscire di scena, non vuole passare il testimone e uccide i figli, secondo un’inversione traumatica e paradossale del legame edipico: per cui non sono i figli che esprimono un voto di morte per il padre, ma sono i padri che occupano tutti i posti di potere e non sanno tramontare, sono i padri che uccidono i figli. L’ideologia della rottamazione reagisce però solo specularmente a questo problema, ponendo il rinnovamento in termini anagrafici, il che è una sciocchezza. Non è che essere giovani anagraficamente qualifica ed essere vecchio anagraficamente squalifica. Questa idea è un’idea ingenua e propagandistica. E, soprattutto, la parola rottamazione rischia di misconoscere il senso del debito e dell’eredità. Quando si dice che bisogna rottamare i padri, si rifiuta l’eredità, si rifiuta la continuità storica, si rifiuta la propria provenienza. E quando qualcuno rifiuta il debito s’incammina su un terreno assai scivoloso che non porta niente di buono, almeno dal punto di vista della psicoanalisi. È solo la soggettivazione del debito che rende possibile la separazione…
Quali sono invece le luci?
La luce secondo me è che nel gesto della rottamazione, in ogni caso, c’è una assunzione di responsabilità. Telemaco non sta lì fermo ad aspettare. Sarebbe una posizione solo nostalgico-melanconica. Aspettare che arrivi il padre ideale che può salvarci! Ma, come dice Heidegger, nessun dio ci può salvare. Telemaco è il giusto erede perché interpreta l’ereditare come movimento di riconquista. Egli si muove, rischia la sua vita, ripercorre le orme del padre. Si muove, si mette in viaggio e questo movimento lo porta ad assumersi nuove responsabilità. Tieni conto che Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern racconta di un sergente che si trova un carico di responsabilità enorme rispetto alla sua vita e a quella dei suoi compagni impegnati nella ritirata di Russia. Rigoni Stern l’ha scritto che aveva vent’anni e noi che lo leggiamo oggi abbiamo l’idea che ci sta parlando almeno di un quarantenne… Quindi il fatto che il sindaco di Firenze abbia cercato di impugnare con vigore il testimone della responsabilità io lo vedo come un fatto assolutamente positivo. Non si può stare ad aspettare sempre.
Secondo te è cambiato qualcosa in questo passaggio elettorale? Il post-elezioni prevede un passaggio di testimone o ti sembra che ancora valgano le retoriche della rottamazione, di vecchi e nuovi politici?
Esiste anche una responsabilità del nuovo, non solo del vecchio. Lo slogan della rottamazione è stato infelice quanto quello dell’«usato sicuro». Se la metafora dell’usato sicuro era sintomatica di una difficoltà a immaginare il trauma necessario del cambiamento – tenere quello che si ha ad ogni costo – quella della rottamazione fallisce il senso autentico dell’ereditare. Il vecchio padre si è irrigidito nella sua posizione perché non si è sentito riconosciuto dal figlio. L’ideologia della rottamazione voleva fare a meno dei padri senza servirsi di loro. Impraticabile: l’anima necessariamente conservatrice del partito e dei suoi organi istituzionali ha reagito emarginando il nuovo e uccidendo il figlio ribelle.
Illustrando il complesso di Edipo, Freud aveva messo in luce come la relazione tra i figli e i padri sia marcata da una ambivalenza profonda: il padre non è solo la rappresentazione eroica di un ideale ineguagliabile, ma è anche un rivale con il quale si combatte un duello all’ultimo sangue. La dimensione conflittuale dell’Edipo si risolve solo se le armi vengono deposte e si sancisce un armistizio: il padre deve riconoscere il suo inevitabile tramonto lasciando il suo posto al figlio, mentre il figlio deve riconoscere al padre il debito simbolico del dono della vita. Il padre diventa così una funzione indispensabile nella trasmissione dell’eredità e il figlio, in quanto erede, avrà il compito di realizzare in una forma nuova ciò che ha ricevuto. Se il padre o il figlio non riconoscono questa discendenza simbolica, la dialettica edipica può incancrenirsi in una rivendicazione sterile: il padre impedisce al figlio di avere un suo posto nel mondo rifiutando di tramontare; mentre il figlio esige la morte del padre e il rinnegamento della sua provenienza e del debito che essa implica. Il conflitto si imbarbarisce: il nuovo vuole uccidere il vecchio perché il vecchio non lascia posto al nuovo e il vecchio non lascia posto al nuovo perché il nuovo non vuole riconoscere il suo debito nei confronti del vecchio. È lo stallo che ha paralizzato il Pd.
Prima parlavi di un’impossibile eredità per il Pdl, di Berlusconi strutturalmente privo di possibili eredi. Ma lo stesso problema dell’eredità già oggi sta attraversando e attraverserà fatalmente il movimento dei grillini: che tipo di evoluzione avranno questi movimenti senza eredi?
Il padre di questo movimento non rappresenta per nulla il vecchio, la provenienza, la radice, la memoria, l’istituzione. Questo nuovo padre si propone come senza storia, senza memoria, senza provenienza, senza un volto politicamente riconoscibile, mascherato, radicalmente post-ideologico. Non ha mai voluto entrare sulla scena edipica della politica, ma si è sempre mantenuto fuori (Lacan gli direbbe; ma «fuori» da cosa? Tu pensi davvero che esista un «fuori»?). Il rifiuto del confronto con gli altri è una cifra essenziale di questa posizione, che si propone come sorretta da un ideale di incontaminazione. La dialettica democratica lascia allora il posto all’insulto dell’Altro, che si mescola, come spesso accade in ogni fondamentalismo, con un fantasma di purezza: da una parte i puri, i redentori, dall’altra gli impuri, gli indegni. Di qui la forza anarchica e sovversiva del movimento, e il suo potere straordinario di aggregazione di fronte a un mondo politico drammaticamente corrotto e incapace di rinnovarsi dall’interno. La saggezza del nostro Presidente della Repubblica, che difende giustamente il diritto del popolo italiano a scegliere i suoi rappresentanti, urta drasticamente contro l’uso violento dell’insulto con il quale il padre del nuovo movimento insiste nel praticare il non-confronto con gli altri. Ma che padre è quello che si manifesta attraverso l’insulto? Si tratta di un padre che non ricalca più in alcun modo il modello edipico del padre come simbolo della Legge. Si tratta di un padre-adolescente, di un padre-ragazzo, che parla, si esprime e si veste come fanno i suoi figli. Si tratta di un padre che rivela sintomaticamente quella alterazione profonda della differenza generazionale che è un grande tema, anche psicopatologico, del nostro tempo. Nondimeno questo padre che si maschera con gli abiti dei figli è un padre che non vuole rinunciare a esercitare il suo diritto assoluto di proprietà sui figli. Si provi a mettere questo padre di fronte alla critica o al dissenso e si vedrà in che cosa consiste la sua pasta. Dietro ogni leader totalitario che reclama la democrazia si cela una insofferenza congenita verso il tempo lungo della mediazione che la pratica della democrazia impone.
Questi padri adolescenti obbligano in un certo senso i figli ad annullarsi.
Il problema dell’eredità sembra rovesciarsi rispetto a quello che è accaduto alla sinistra: non è il padre come simbolo del vecchio che non vuole abbandonare il suo posto di fronte alla minaccia edipica della rottamazione, ma saranno probabilmente i figli che dovranno assumersi la responsabilità di non essere più «fuori» dalle istituzioni, essendone diventati invece dei diretti rappresentanti. Quando un movimento come quello del M5s rappresenta in Parlamento il venticinque per cento non può più chiamarsi fuori, non può rivendicare una natura extraparlamentare, non può non assumere la responsabilità dei propri atti. Io mi auguro che questo movimento conquisti la sua libertà di parola e di pensiero; saranno allora i figli a esigere il dialogo politico – rifiutato dal loro padre in quanto segno di indegnità – come unica condizione per assicurare a un paese in gravi difficoltà un governo possibile. A questi nuovi figli dal viso pulito e dagli ideali forti dobbiamo affidare il compito di far ragionare un padre che sembra – almeno sino a questo momento – rifiutare la responsabilità che sempre comporta la sua funzione e mascherarsi da «anima bella», che per Hegel era quella figura della Fenomenologia dello spirito che pretendeva di giudicare la storia dall’alto della sua beata innocenza senza considerare che nessuno mai può giudicare la storia senza considerare di farne parte.
Pubblicato OGGI, 3 luglio 2014, su http://www.minimaetmoralia.it/wp/massimo-recalcati-telemaco/ ·
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