Simonetta Fiori
Quel gesto spudorato
con cui le donne cambiarono la storia
Quasi sempre sorridono. E anche quando la bocca disegna rabbia, lo sguardo è ironico, luminoso, fiero della nuova sfida. Ridono le donne, così meravigliosamente diverse tra loro. Giovani e vecchie, anche molto vecchie, filiformi e grasse, borghesi up-to-date e casalinghe in vestaglia, botticelliane e goffe, tutte lunarmente distanti da canoni estetici omologanti.
Sono le donne degli anni
Settanta, ritratte mentre compongono nell’aria quel gesto spudorato
che segnerà la storia del femminismo. Un triangolo fatto con le
dita, unendo le punte dei pollici e quelle degli indici. In mezzo il
vuoto, il varco di libertà attraverso cui passò una rivoluzione.
Forse l’unica che ci siastata veramente in Italia.
Èmerito di una piccola casa editrice, Derive Approdi, riproporre dopo quarant’anni l’album fotografico del gesto iconico delle lotte femministe. Nelle mani era custodito lo scandalo. Le dita ribelli annunciavano al mondo che le donne erano padrone: del corpo, della sessualità, della contraccezione. Di nuove relazioni sentimentali e sociali. Di un modo diverso di stare a casa, in fabbrica o all’università. E di un nuovo immaginario che ribaltava logiche patriarcali. La favola bella della costola di Adamo era finita. Cominciava un’altra storia, narrata per la prima volta da una voce femminile ( Il gesto femminista. La rivolta delle donne: nel corpo, nel lavoro, nell’arte , a cura di Ilaria Bussoni e Raffaella Perna, pagg.168, euro 20).
Ma come nacque quella “mossa simbolica” destinata a sconvolgere un paese che ancora ammetteva il delitto d’onore, “le pene corporali” dei mariti e dei padri, un diritto di famiglia arretrato? Al pari di tanti segni consegnati al mito, è difficile rintracciarne l’origine. Rovistando tra le memorie femministe, Laura Corradi ci conduce a Parigi, tra migliaia di persone riunite alla Mutualité.
È il 1971, l’atmosfera
carica di pathos. Performance musicali, filmati e testi recitati
evocano le violenze contro le donne. Tra gli ospiti illustri anche
Simone de Beauvoir. Dalla platea s’alza una giovane militante
italiana che unisce pollici e indici per aria. Il gesto della vagina.
«Istintivamente mi venne da fare così», racconta ora Giovanna
Pala.
«Il simbolo, per la
prima volta, l’avevo visto sulla copertina di una rivista francese,
Le Torchion Brule . Mi aveva colpito per l’immediatezza del
messaggio. Quando alcuni ragazzi alzarono il pugno chiuso, io feci
quell’altro segno, anche per affermare la mia diversità».
L’Espresso, ancora in formato lenzuolo, uscì con una foto di
Giovanna in copertina. E in pochi mesi l’impudico gesto si sarebbe
impadronito del movimento delle donne.
Se molte cose del femminismo le avevamo importate dal Nord America, la rivoluzione del triangolo fece il percorso inverso, dall’Europa a New York. Bisogna però aggiungere che Oltreoceano, sin dalla metà degli anni Sessanta, la Vagina painting della giapponese Kubota aveva inaugurato la stagione creativa delle Betty Dodson, Judy Chicago e Niki de Saint Phalle, tutte decise a violare nell’arte il tabù dell’iconografia vulvare. Per l’ignaro Courbet dell’ Origine del mondo cominciava un’epoca di rinnovata fortuna.
Non tutte le donne approvavano. Molte se ne ritraevano con fastidio o ne denunciavano l’ambivalenza. Miriam Mafai, rievocando le piazze ardenti di quegli anni, confessa lo smarrimento delle più anziane. Anche Paola Agosti, sapientissima fotografa del movimento, ammette la fatica del confronto con “l’ideologia femminista”.
E gli uomini? Tra tante
militanti, sociologhe, antropologhe, filosofe, storiche dell’arte e
registe interpellate dal Gesto femminista , s’avverte la mancanza
di una voce maschile. Come reagirono alla provocazione? “Sordi” e
“ciechi”, sintetizza nel suo bel saggio Letizia Paolozzi.
Sappiamo poco di ciò che
accadde all’identità dell’uomo. Quasi nessuno intercettò il
baldanzoso gesto che rovesciava il mondo. Ritirarsi nel proprio
guscio fu la pratica più diffusa. Far finta di niente, sperare che
la ricreazione finisse. Ma la campanella sarebbe suonata troppo
tardi.
E oggi, cos’è rimasto del significato politico di quel simbolo? Se esporre allora l’organo della sessualità ebbe un’innegabile carica dirompente, riproporlo oggi diventa un atto imputabile di ambiguità. Consegnato il gesto delle mani al robivecchi del femminismo, sopravvive invece il segno genitale che in anni più recenti ha nutrito in America l’iconografia delle Vagina Warriors e del V-day. Una bandiera estetica che rischia di annacquare la portata sovversiva delle origini.
Le “vagine parlanti”
di Eva Ensler - nota con lucidità Laura Corradi - tendono a
inchiodare le donne al sesso biologico, esattamente come nel passato.
La sessualità diventa la componente predominante dell’identità
femminile, lasciando in ombra quelle trasformazioni sociali ed
economiche che un tempo erano parte essenziale della protesta.
Lo spiegano bene le
femministe culturalmente più agguerrite: emanciparsi non significa
solo far carriera o amabilmente colloquiare con il proprio organo
sessuale. Non è un caso che sull’attivismo nordamericano cresciuto
intorno ai Monologhi della Ensler siano fioccate accuse di
colonialismo: è la critica mossa dalle donne escluse, quelle del
vasto mondo non occidentale.
Anche sul topless delle
Femen, le studentesse che mettono in mostra il corpo al posto delle
armi, s’allunga il sospetto di voyerismo. E qualche perplessità
sollevano gli show che spettacolarizzano il dolore delle donne
puntando sull’effetto mediatico e su corpi attraenti.
Il salto di civiltà viene disegnato anche dalle diverse “parole d’ordine” scandite nel tempo. Da “Il corpo è mio e lo gestisco io”, didascalia del femminismo storico, a “Figa è bello” e “Fuck me” ora orgogliosamente esibiti su magliette aderenti. Ancor più di poderosi trattati, pochi slogan possono raccontare il tramonto di una speranza collettiva. E spiegare perché oggi le ragazze, molto più libere sessualmente, sorridano di meno di quelle nonne assai più libere nella testa.
La Repubblica – 3
luglio 2014
Sembra un'altra epoca....i collettivi, l'autocoscienza, i cortei per le strade di Catania, lo scontro con i ragazzi del movimento all'università ... Cosa abbiamo dato alle ragazze e ai ragazzi di oggi? Faccio fatica a trovarne le tracce, certo in qualcosa abbiamo sbagliato
RispondiEliminaSi sbaglia sempre in qualcosa! Comunque credo Anch' io che siete riuscite a cambiare verso alla storia in modo irreversibile!
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