Il meccanismo renziano
è sempre lo stesso: fare dichiarazioni per impressionare l'opinione pubblica, prive il
più delle volte di concreti agganci alla realtà. Continua con Renzi
la politica del dire (e promettere) a vanvera che ha caratterizzato
il ventennio berlusconiano e che ha totalmente dissestato l'Italia.
Furio Colombo
L’ultima
del Governo: riforma della scuola a caso
Sentite questa:
“Taglieremo una delle quattro sedi ministeriali, il Palazzo della
ricerca, all’Eur, oggi in affitto. Ho scoperto che per i 1.200
dipendenti ministeriali ci sono 80 metri quadrati a testa. Per ogni
studente italiano, in classe, ce ne sono otto”. Autore della
dichiarazione (che cito da la Repubblica, 2 luglio) è il
sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi.
Nessuno studente la
passerebbe liscia, in un tema scolastico, con un simile salto logico.
Infatti a) non sappiamo che cosa è, e che cosa si fa, nel Palazzo
della ricerca e se sia uno spreco o una attività indispensabile, con
tutta quella gente (1.200) che passa le ore di lavoro nella
solitudine di vastissime stanze vuote; b) non sappiamo se il rapporto
fra dipendenti e vastità della costruzione sia dovuto alla
precedente spensieratezza di una quarantina di governi, oppure se il
rapporto 80 metri-una persona sia determinato dal fatto che la
costruzione prevede aree vuote per ragioni di progetto (per esempio
vastissima area di ingresso, balconi sproporzionati); impossibile
vedere la connessione fra gli 80 metri di cui godono i perdigiorno
che saranno immediatamente aboliti dal rigoroso sottosegretario, e
gli otto metri destinati agli studenti.
Il salto logico è
pauroso. Come dire che il problema delle carceri troppo affollate si
risolve abolendo i saloni troppo grandi del ministero della Giustizia
in Via Arenula.
Però è un parere autorevole, e i poveri insegnanti dovranno tenerne conto. Pare che Reggi sia il vero riformatore della nuova scuola italiana o così ci viene presentato, e lui incoraggia affermando “Ho scoperto... Che significa una severa ispezione in prima persona in una remota sede ministeriale all’Eur” (Sud di Roma)
.
Sentite questa. Domanda: “Volete togliere un anno ai licei?” Risposta: “È un’altra scelta europea. E poi se vuoi fare più musica, più storia dell’arte e non hai soldi, devi rimodulare quello che hai”. Quando sia stata compiuta la scelta europea, e se sia vincolante non è detto. Ma è il concetto che spaventa: se tagli un anno di scuola, hai più soldi, se hai più soldi, insegni più e meglio per gli anni che ti restano. Inevitabile una riflessione che sembra sfuggita al riformatore: se invece di un anno se ne tagliano due, il risparmio permetterebbe ancora più musica e più storia dell’arte. Dunque con tre anni di meno si raggiungerebbe una scuola d’eccellenza, anche se resterà qualche ragazzino in più per la strada.
Sentite questa. Domanda: “Volete togliere un anno ai licei?” Risposta: “È un’altra scelta europea. E poi se vuoi fare più musica, più storia dell’arte e non hai soldi, devi rimodulare quello che hai”. Quando sia stata compiuta la scelta europea, e se sia vincolante non è detto. Ma è il concetto che spaventa: se tagli un anno di scuola, hai più soldi, se hai più soldi, insegni più e meglio per gli anni che ti restano. Inevitabile una riflessione che sembra sfuggita al riformatore: se invece di un anno se ne tagliano due, il risparmio permetterebbe ancora più musica e più storia dell’arte. Dunque con tre anni di meno si raggiungerebbe una scuola d’eccellenza, anche se resterà qualche ragazzino in più per la strada.
L’affermazione, nel Paese europeo che ha la più alta percentuale di abbandono scolastico prima del diploma, appare di una leggerezza allarmante. Ma proprio questo è il tratto tipico del giovane governo Renzi, un tratto che si ripresenta intatto, dopo le prove di chiarezza, rigore logico e consapevolezza delle condizioni reali, dimostrate nella riforma del Senato (composto di sindaci con immunità parlamentare), nella riforma della Pubblica Amministrazione (mobilità forzata dei dipendenti entro cinquanta chilometri), nella legge Franceschini (nei musei pagano soltanto i vecchi) e che già si intravedono nella riforma della Giustizia (soprattutto un bel taglio alle fastidiose intercettazioni).
Sono rappresentazioni che puntano a meravigliare, con taglio spettacolare in cui deve esserci sempre qualcosa di sorprendente, ma non necessariamente qualcosa di vero e di utile. Soprattutto nessun rapporto con fatti e persone e pubblico realmente coinvolti nei settori “riformati”. Ma nella “Riforma della Scuola” (responsabile il ministro Giannini, direttore dei lavori il sottosegretario Reggi) ci sono altre cose incredibili nel senso di radicalmente separati dalla realtà.
Uno è che le supplenze
saranno fatte dagli insegnanti già in ruolo e già al lavoro
nell’Istituto che ha bisogno di un supplente. In altre parole, il
prof Rossi, se necessario (e se non vuole essere trasferito,
nell’ambito di 50 chilometri) deve insegnare in Prima A, ma
contemporaneamente assumere anche la supplenza della Prima B. Altro
che “fermare l’attimo”.
Un’altra è che i giorni di scuola passeranno da 208 a 230. Tutti diranno “bravi! così si studia di più!”, dimenticando che, intanto, viene annunciato il taglio niente meno che di un anno intero di liceo, perché altrimenti i soldi non bastano per insegnare musica e storia dell’arte (senza badare al fatto che, nelle scuole italiane, la musica non si insegna). Tra le “idee nuove” per un nuovo mondo della scuola, c’è anche il principio che, in teoria, è possibile compensare i docenti che lavarono di più, pagando qualcosa in più. Non si dice quanto. Si dice però che la decisione spetta ai dirigenti scolastici. Diventano, in tal modo, depositari di un arbitrio che promette tempesta.
Ma è bene essere preparati alla vera grande novità: senza soldi e senza supplenti, le scuole non solo funzioneranno 230 giorni e non 208, ma dovranno anche restare aperte dalle ore 7 alle ore 22 di ogni giorno scolastico. Difficile capire che cosa può avere motivato, in un mondo informato di genitori, insegnanti, cittadini, una affermazione così priva di ogni possibile rapporto con la realtà. Ma c’è una risposta. Siamo qui a parlarne. Con l’aiuto dei media, dimenticheremo (salvo le famiglie e gli insegnanti) questi penosi dettagli e sentiremo dire: beh, dopo tutto hanno fatto anche la riforma della scuola. E purtroppo ci saranno giornali che prenderanno tutto come se fosse possibile, come se fosse vero.
il Fatto – 6 luglio
2014
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