17 novembre 2011

PASOLINI E SCIASCIA

Domani si aprono due importanti Convegni di studio, rispettivamente a Casarsa e a Palermo, su due tra i massimi autori italiani del 900. Di questi Convegni, cui parteciperanno studiosi di fama internazionale, abbiamo già dato notizia.

Oggi vogliamo brevemente soffermarci a ricordare il legame forte che ha unito i due scrittori, pur così diversi nello stile e nel carattere. Particolarmente toccante la testimonianza resa dal siciliano dopo la morte atroce del poeta corsaro:

«io mi sentivo sempre un suo amico; e credo anche lui nei miei riguardi. C’era però come un ombra tra noi, ed era l’ombra di un malinteso. Credo che mi ritenesse alquanto – come dire?– razzista nei riguardi dell’omosessualità. E forse era vero, e forse è vero: ma non al punto da non stare dalla parte di Gide contro Claudel, dalla parte di Pier Paolo Pasolini contro gli ipocriti, i corrotti e i cretini che gliene facevano accusa. E il fatto di non essere mai riuscito a dirglielo mi è ora di pena, di rimorso. Io ero – e lo dico senza vantarmene, dolorosamente – la sola persona in Italia con cui lui potesse veramente parlare. Negli ultimi anni abbiamo pensato le stesse cose, dette le stesse cose, sofferto e pagato per le stesse cose. Eppure non siamo riusciti a parlarci, a dialogare.» (Leonardo Sciascia, Nero su nero, Torino, Einaudi, 1979, pp. 175-176).

Lo stesso Sciascia curò un prezioso volumetto con dei versi giovanili: P. P. Pasolini, Dal diario (1945-47), Caltanissetta: Salvatore Sciascia, 1979, chiosandoli nell’introduzione con queste parole: «dopo aver riletto queste sue poesie, mi pare di aver vissuto una lunghissima vita e che la felicità di allora sia come il ricordo di un altro me stesso; un lontano e remoto me stesso, non il me stesso di ora. Eravamo davvero così giovani, così poveri, così felici?».

Francesco Virga

1 commento:

  1. BERNARDO PULEIO MI SCRIVE:

    "Gli scrittori eretici muoiono, generalmente due volte. La prima perché attaccati dai benpensanti (quando addirittura, come nel caso di Pasolini, non si passi a vie più sbrigative e cruente). La seconda, post mortem, quando gli stessi che li avevano attaccati prima, tendono ad appropriarsi della loro memoria e a farne dei santini del pensiero omologante per anestetizzare la radicalità irriducibile dell'eresia. Allora i prima dannati ascendono al più rassicurante rango di classici. Tanto i morti non possono nuocere (scrivere) più."

    Caro Bernardo, quanto osservi si è purtroppo verificato più volte nella storia.
    Ma per noi, Pasolini e Sciascia non sono mai stati dei "santini". Ma soltanto dei "maestri" da cui abbiamo imparato tanto

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