05 giugno 2013

POPOLI IN RIVOLTA...







THE GUARDIAN, il quotidiano britannico, ha pubblicato, sulla ribellione turca, un articolo di Elif Shafak, scrittrice, autrice de “La bastarda di Instanbul”, “Il palazzo delle pulci” e molti altri romanzi (questi due sono pubblicati in Italia da Rizzoli). Shafak, i cui libri sono tra i più letti in Turchia, vive tra Londra e Istanbul. Riproduciamo alcuni passi dell’articolo nella traduzione italiana proposta dal sito  http://www.democraziakmzero.org/ 

ELIF SHAFAK – PANORAMA DA PIAZZA TAKSIM

“Caro Primo Ministro, io prima ero apolitico; allora, perché sono sceso in strada a protestare? Non per un paio di alberi (è stato il primo ministro turco, Erdogan, a dire che ci si ribellava “per un paio di alberi”, ndt). Mi sono ribellato vedendo come lei aveva attaccato, all’alba, i giovani che restavano raggruppati in silenzio nelle loro tende. Sono sceso in strada perché non voglio che il mio bambino debba soffrire le stesse cose e perché mi piacerebbe che viva in un paese democratico”.
La commovente lettera, indirizzata a Recep Tayyip Erdogan e scritta da uno dei manifestanti nella storica piazza Taksim di Istanbul, ha avuto una enorme diffusione nelle reti sociali in Turchia. L’autore di queste parole, Cem Batu, è direttore creativo di un’agenzia di pubblicità, e sia lui che la sua équipe di giovani istanbuliti, moderni e ben formati, hanno subito il gas lacrimogeno e sono rimasti feriti durante le proteste, due fatti che la dicono lunga sui terribili avvenimenti di questi giorni.
Tutto è iniziato come un sit pacifico per salvare uno degli ultimi parchi pubblici rimasti in una città di quasi 14 milioni di abitanti. Il governo è determinato a distruggere il parco di ricostruire una vecchia caserma ottomana che stava lì in altri tempi e trasformarla in un museo o in un centro commerciale. E’ stata una decisione presa in fretta, senza un appropriato dibattito con la partecipazioen dell’opinione pubblica e dei media. Molti cittadini, che preferivano i giardini pubblici invece che un centro commerciale, hanno pensato che i politici non facevano caso a loro. Alcuni hanno deciso di occupare il parco Gezi. Allo stesso tempo, ha creato la sigla #occupygezi di raccogliere sostegno e solidarietà. Come ha scritto Koray Chaliskan, politologo presso l’Università del Bosforo, sul giornale Radikal, quei primi manifestanti avevano ideologie diverse, e tra loro c’erano persino elettori del partito di governo, Giustizia e Sviluppo (Akp).
La durezza della polizia con gli occupanti del parco Gezi ha completamente cambiato la situazione. Agenti hanno raso al suolo e bruciato le tende dei manifestanti. Uno studente universitario ha dovuto subire un intervento chirurgico dopo essere stato colpito ai genitali. Sirri Süreyya Önder, un parlamentare della partito kurdo Pace e Democrazia (Bdp), ha dovuto essere ricoverato in ospedale dopo che, ad ogni apparenza, era stato colpito da un lacrimogeno, e molti altri hanno subito lesioni alla testa e al corpo. Le immagini di poliziotti armati che adoperavano acqua pressurizzata, spray al pepe e gas lacrimogeni contro giovani inermi hanno scatenato una reazione generalizzata e senza precedenti contro il governo, e hanno resuscitato vecchi rancori. Le proteste sono scoppiate in 60 città, compresa la capitale, Ankara. Le manifestazioni di Taksim sono diventate rapidamente un fenomeno che supera i confini di Istanbul e che va molto al di là della protezione di un parco.
Tre problemi strutturali hanno contribuito all’aumento della tensione. In primo luogo, la Turchia non dispone di un partito di opposizione solido e sviluppato. Questo rimane un problema fondamentale, perché le persone non hanno alternative politiche per incanalare le loro opinioni e frustrazioni. Un sentimento che non può essere espresso si accumula e bolle all’interno ed esplode quando ne ha occasione.
In secondo luogo, a misura che il principale partito di opposizione, il Partito Repubblicano del Popolo (Chp), si va disfacendo, il governo acuista troppo potere e troppa autorità. La mancanza di meritocrazia e trasparenza rende le persone sempre meno fiduciose nel regime. Politiche più recenti, come ad esempio la restrizione delle vendite di alcol e l’annuncio nel metrò di Ankara che avverte i passeggeri a non baciarsi in pubblico, hanno svegliato la paura che il governo si stia ingerendo nel modo di vita del cittadini e che cerchi di trasformare la società dall’alto.
In terzo luogo, anche se il governo Erdogan è riuscito a limitare il ruolo dell’esercito alle questioni puramente militari e, in questo senso, ha contribuito al progresso della democrazia, non ha sufficientemente protetto la libertà di parola e di stampa. Ancora vengon o processati scrittori e artisti per i loro commenti e ancora li si accusa di insultare la nazione o i valori religiosi. I media hanno perso pluralità, molte voci critiche sono state messe a i margini, e non è infrequente l’autocensura
Un altro aspetto controverso è il nome di un nuovo ponte che si vuole costruire a Istanbul. Il governo ha deciso di dare al terzo ponte sul Bosforo il nome di Yavuz Sultan Selim, il sultano ottomano Selim soprannnominato il Severo, famoso per i massacri commessi contro la minoranza alauita (gruppo religioso islamico vicino agli sciiti, ndt) nella sua guerra contro gli sciiti in Iran nei primi anni del XVI secolo. La scelta del nome ha aggravato l’insoddisfazione degli alauiti, che già sospettano di soffrire una discriminazione sistematica. La scelta ha anche causato la delusione dei democratici e progressisti, che preferirebbero per il ponte una doniminazione neutrale. Mario Levi, lo scrittore ebreo-turco, ha chiesto sul suo account di Twitter: “Perché non il ponte Rumi o il ponte Yunus Emre?”. Yunus Emre e Rumi sono figure storiche molto rispettati, mistici famosi per il loro atteggiamento pacifico e umanitario. Altri hanno fatto diverse proposte. Ma il nome del ponte è stato deciso, come molte altre cose, quasi senza discussione, e questo ha ampliato il fossato tra governanti e governati.
Erdogan è un politico di successo, ma negoziare accordi non è il suo punto di forza. L’Akp si è guadagnato l’affetto dei turchi meglio di qualsiasi altro partito nella storia politica del paese. Tuttavia, il discorso ufficiale del partito ha preso una piega che ha portato molti intellettuali progressisti che avevano approvato le prime misure adottate dal governo a sentirsi oradelusi e abbandonati. Dopo le elezioni generali del giugno 2011, Erdogan tenne un bel discorso in cui disse che sarebbe stato il primo ministro di coloro che avevano votato per lui e di quelli che avevano votato contro. Queste parole sono incise nella memoria collettiva come “il discorso del balcone”. Oggi i cittadini, dai loro balconi, battono pentole e padelle per protestare contro il governo. Tra loro ci sono persone che hanno applaudito quel discorso perché era includente e costruttivo.
L’opinione generale tra gli scontenti della Turchia è che a Erdogan interessano soprattutto, o esclusivamente, solo i suoi elettori. Gli altri membri della società, il 50% della popolazione, si sentono arrabbiati, emarginati e talvolta disprezzati. La politica turca è una politica polarizzata, belligerante e tuttora dominata dagli uomini. Il fatto triste che le donne siano così scarsamente rappresentate nelle istituzioni locali e nazionali non facilita le cose. Inoltre, anche se nessuno ne parla, i turchi sono emotivi. Politica dipende troppo spesso da emozioni e reazioni piuttosto che da decisioni razionali.
Tranne alcuni giornali, i grandi media si sono dimostrati incredibilmente riluttanti a riferire in merito alle proteste. Ntv, una delle emittenti televisive più rispettate, ha ricevuto disapprovazioni per non aver narrato gli eventi. E, curiosamente, ha mandato in onda in diretta le proteste contro la sua stessa catena di emittenti locali.
Data la mancanza di una copertura completa e imparziale, i social network sono esplosi. Uno studio della New York University rivela che in sole otto ore sono stati inviati due milioni di tweets su Gezi Park. In Turchia, il numero di utenti di Internet supera i 35 milioni, e Facebook e Twitter sono estremamente popolari. Tuttavia, i social network sono vulnerabili alle cattive informazioni, alle voci infondate, ad espressioni di odio e a teorie della cospirazione. In una società in cui pochi hanno fiducia nei politici e nei media, questo può essere pericoloso. Ma Twitter è senza dubbio la principale piattaforma per la condivisione di idee, immagini e informazioni senza censure. “Grazie ad Allah per Twitter”, diceva uno dei messaggi che ho letto. In un’intervista televisiva in diretta, domenica, Erdogan definisce Twitter una “minaccia”.
Un mese fa, il clima nel paese era molto diverso. Nel pieno del processo di pace tra turchi e curdi, l’ottimismo regnava ovunque. Erdogan sembrava un leader deciso che aveva ottenuto definitivamente la fine di un conflitto che ha ucciso più di 40.000 persone nel corso degli ultimi 30 anni. Siparlava molto del fatto che la Turchia, con una popolazione a maggioranza musulmana e una democrazia laica, era un modello per il resto del mondo islamico. Questo stato d’animo ottimista si è deteriorato a tutta velocità. Tuttavia, è possibile rianimarlo se il governo imparerà dai suoi errori.
Dire che i recenti avvenimenti sono una primavera turca o un’estate turca, come alcuni commentatori si sono precipitati a fare, non è un approccio corretto. E’ certo che la Turchia ha molte cose in comune con numerosi paesi del Medio Oriente, ma allo stesso tempo è molto diversa. Con la sua lunga tradizione del modernità, pluralismo, laicità e democrazia – per quanto difettosa e immatura sia – la Turchia ha meccanismi interni per compensare i suoi propri eccessi di potere. E ora, se questo non avviene, esiste la preoccupazione che alcuni gruppi estremisti si impossessino delle dimostrazioni e le spingano verso la violenza. Il presidente del paese, Abdullah Gül, ha manifestato questa stessa preoccupazione e ha fatto una dichiarazione in tono costruttivo, in cui ha detto che la gente aveva inviato un messaggio chiaro ai politici e politici dovrebbero prenderne nota.
Oggi, dopo giorni di rivolte, piove delicatamente sopra i pneumatici che bruciano e le scritte sui muri, e la voce del giovane padre che ha scritto la lettera aperta al primo ministro rappresenta i sentimenti di molte persone, sia nella strada che nelle loro case: “Ci ha chiamati ‘illegali’, primo ministro. Se ci conoscesse, vedrebbe che siamo qualunque cosa tranne che questo”.



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