15 giugno 2013

RENATO GUTTUSO E PABLO NERUDA






Salvatore Settis  - GUTTUSO E NERUDA

La morte di Pablo Neruda a Santiago del Cile il 23 settembre 1973 innescò una controversia che dura ancora oggi. Pochi giorni prima, l'11 settembre, il golpe di Augusto Pinochet e la morte violenta del legittimo presidente Salvador Allende avevano sconvolto la scena politica cilena instaurando una spietata dittatura di stampo fascista. Pablo Neruda morì di cancro alla prostata, nella clinica di Santa Maria? O si lasciò morire affranto dal dolore dopo la fine del suo amico Allende e la devastazione della sua patria? Oppure fu ucciso?
Voci e congetture si incrociarono allora in tutto il mondo, ma negli ultimi anni il «caso Neruda» ha trovato nuovo vigore. Secondo il tardivo racconto del suo autista e assistente Manuel Araya Osorio, il poeta si trasferì nella clinica il 19 settembre, con la moglie Matilde Urrutia, come prima mossa per la fuga in Messico, prevista il 24 settembre con un salvacondotto procurato dal governo messicano. Mentre Matilde e Manuel stanno per andare nella casa di Isla Negra a prendere libri e altri oggetti personali del poeta, Neruda li chiama al telefono: gli hanno appena fatto un'iniezione all'addome, provocandogli atroci dolori. Manuel viene arrestato, Neruda muore quella notte. Questa versione, pubblicata su un giornale locale nel 2004 e poi nella rivista messicana «Proceso», raggiunge molto più tardi le aule dei tribunali: in seguito alla denuncia del Partito Comunista Cileno alla corte d'appello di Santiago (novembre 2011), il giudice Mario Carroza riapre le indagini. Francisco Marín e Mario Casasús raccolgono il racconto di Manuel Araya e altri indizi in un libro, El doble asesinato de Neruda (Santiago 2012), Luís Sepúlveda rilancia la notizia in articoli e interviste che fanno il giro del mondo. Infine, il 5 marzo 2013, il giudice Carroza dispone l'esumazione dei resti per verificare la presenza di tracce di veleno.
Molto prima che il «caso Neruda» riprendesse la via della cronaca e delle aule di giustizia, Renato Guttuso aveva emesso la propria denuncia e promulgato il proprio verdetto. Un disegno a matita su cartoncino - poi tradotto in incisione di cui esiste almeno una prova d'artista, donata da Fabio Carapezza Guttuso all'ambasciatore del Cile in Italia José Goñi – rappresenta sinteticamente Pablo Neruda sul letto di morte con la testa poggiata sul cuscino. Il braccio destro pende nel subito abbandono del trapasso, ma ancora stringe fra le dita la penna, ultima arma del poeta ucciso. Il braccio sinistro è disteso lungo il corpo, ma non è del tutto inerte: nervosamente la mano stringe ancora, anzi esibisce al nostro sguardo, un foglio di carta su cui si leggono tre nomi: «Nixon Frei Pinochet». I nomi degli assassini. In basso la dedica: «a Pablo, Renato».
Questa composizione semplice e potente è fra le opere meno note di Guttuso: la prova d'artista fu esposta, credo, una sola volta, alla mostra Pablo Neruda. Passi in Italia ed è ora nella collezione di José Goñi a Santiago del Cile, dove ho potuto vederla grazie alla cortesia di Luisa Laureati e del proprietario; il disegno relativo (ora agli Archivi Guttuso a Roma) non è stato mai esposto; né il disegno né l'incisione sono inclusi nel Catalogo ragionato generale dei dipinti di Renato Guttuso curato da Enrico Crispolti. Fra il disegno e l'incisione vi sono poche differenze: l'incisione non è in controparte rispetto al disegno, eppure i nomi sulla «lettera non spedita» che Neruda stringe nella sinistra vi sono scritti a rovescio e distribuiti su due righe, sotto le quali vi è traccia di altre quattro righe illeggibili; in luogo della dedica c'è la firma «Guttuso»; infine, la penna d'oca, solo accennata nel disegno, è disegnata al completo. Non so se, oltre a una (o più?) prove d'artista, l'incisione abbia poi avuto una qualche tiratura significativa: è possibile che la sua scarsa diffusione e fama, nonostante la grande popolarità di Guttuso e di Neruda, sia dovuta almeno in parte al durissimo atto di accusa che essa comporta: non solo Pinochet, ma anche l'ex presidente cileno Frei nonché il presidente Nixon avrebbero potuto denunciare Guttuso per averli accusati senza prove. Sarà per attenuare l'impatto di questa accusa che, nell'incisione, i nomi sono scritti a rovescio in modo da renderne ardua la lettura?
Osservando il disegno, vorrei attirare l'attenzione su un dettaglio: il braccio destro di Neruda, atteggiato nel classico gesto di abbandono che nell'arte antica ambiguamente designa tanto la morte (per esempio di Patroclo) quanto il sonno (per esempio di Endimione). È il «braccio della morte», frequentissimo nell'arte antica e poi nella tradizione europea. Un gesto che dall'arte classica giunge al presente passando per tappe eclatanti come la Pala Baglioni di Raffaello (1507), la Deposizione di Caravaggio (1602-1604) sino alla celebratissima Morte di Marat di David (1793), il quadro «cruel comme la nature, a tout le parfum de l'idéal» (Baudelaire) che fu commissionato il giorno dopo l'assassinio di Marat (13 luglio 1793) e consegnato dal pittore tre mesi dopo.
Renato Guttuso ebbe per questo quadro una straordinaria ammirazione. Nel giugno 1971 Anna Zanoli lo intervistò per la sua bella serie televisiva Io e…, in cui ognuno degli intervistati sceglieva un'opera d'arte da commentare. Guttuso scelse proprio il Marat di David, e l'intervista andò poi in onda su Raidue il 15 marzo 1972. Guttuso vi elogia la «severità e solennità» del dipinto, «senza un filo di retorica». Esso «unisce due virtù fondamentali, la serenità e la sicurezza di una visione classica con un sentimento del presente, un sentimento della realtà, una palpitazione di realtà; due qualità separate se non contraddittorie che qui si fondono». «Si sente che David era amico di Marat; il loro rapporto si sente nel quadro, come si sente il rapporto fra Marat e la rivoluzione».
Sono parole del 1971, due anni prima della morte di Neruda. Cinque rivisitazioni del Marat di David, divise in due fasi (1962 e 1983), prima e dopo La morte di Neruda, circoscrivono ancor meglio i pensieri di Guttuso su un quadro tanto amato. Al 1962 risalgono un disegno e due tele. In questa fase, Guttuso si concentra sulla figura di Marat, riprendendone con poche modifiche i tratti essenziali. Nel grande disegno la sinistra che stringe convulsamente il foglio ha uno straordinario risalto, mentre il braccio destro pendulo si confonde con le linee del lenzuolo e la penna non è visibile; in basso ricorre (in minuscola) la scritta «à Marat, David», seguita dalla dedica «a Mario il suo Renato» ("Mario" è Mario Alicata). Grandi pennellate nere coprono il fondo, trasformando la parete della camera di Marat in una sorta di nuvola minacciosa, da incubo.
Nelle due tele dello stesso anno, questo sfondo cupo e angoscioso si fa più fitto, elevando al superlativo, con minimi tocchi di luce, la parete quasi uniforme che David aveva dipinto. L'una e l'altra dipingono non solo il livido cadavere di Marat, ma anche la serie di "attributi" che la tela di David aveva promosso a reliquie: nella prima il panneggio del lenzuolo prende uno spicco singolare, e quasi ingoia il braccio pendente, con in pugno una penna ingigantita. La seconda tela ripropone l'identica composizione, in più serrato close up ma con modi energicamente compendiari che sembrano scavare nel corpo di Marat quasi estraendone lo scheletro; anche qui percorriamo con lo sguardo il consueto inventario di reliquie (leggio, calamaio, penna, fogli), ma la sinistra prende una volumetria quasi cubista per meglio afferrare il foglio, dove s'intravvede una scrittura febbrile ma illeggibile. Vent'anni dopo, nel 1983, egli compose sulla morte di Marat un olio su tela e un disegno acquarellato. Nella tela Il lenzuolo di Marat il quadro di David vi è fedelmente trascritto (salvo la penna e la dedica sul leggio) per dare spunto a una più complessa composizione, dove Charlotte Corday, senza volto ma con in mano il pugnale insanguinato, posa compostamente in disparte, mentre la figura di Liberté, distogliendo lo sguardo, afferra con la sinistra un lembo del lenzuolo.
Questa composizione s'intende meglio in parallelo con la china acquarellata dello stesso anno, Liberté Marat David che rappresenta il momento anteriore: al nudo cadavere di Marat (senza leggio e senza calamaio si aggiunge Charlotte Corday che ha appena vibrato il colpo mortale con il pugnale grondante di sangue. Accanto a lei, l'altra figura (che agita la bandiera rossa e porta la mano sulla spalla di Marat) è quella della Liberté prelevata tal quale, con voluto anacronismo, dal quadro di Delacroix (1830). Questo disegno dominato da cupi toni di rosso sembra recuperare e riconoscere le ragioni, esse pure rivoluzionarie e libertarie, dell'assassina, di cui Liberté si fa sorella non solo per sesso, ma per l'ostentazione del seno nudo. Anche nelle due opere del 1983, dove pure la composizione è radicalmente reimpaginata rispetto al modello di David, ricorre il gesto decisivo del «braccio della morte», e se manca la penna c'è invece il foglio di carta (lasciato in bianco) nella sinistra dell'ucciso.
La morte di Neruda presuppone non solo gli studi di Guttuso sulla Morte di Marat, ma soprattutto la sua profonda assimilazione della lezione di David, all'insegna di due ragioni di fondo, strettamente intrecciate fra loro: la piena efficacia dello schema rappresentativo adottato (e in particolare del gesto classico del braccio in abbandono) e la militanza politica che accomuna la vittima-protagonista dell'immagine e il pittore che ne consacra il martirio.
Come il Marat di David, il Neruda morente di Guttuso è un'immagine-manifesto, concepita con forte valore espressivo e comunicativo che attinge allo statuto iconico del proprio modello gran parte del proprio vigore, rinnovandolo e rilanciandolo nell'onda dell'emozione vissuta alla morte di un grande poeta, nella notte della democrazia piombata sul suo paese lontano. La linea sottile da cui emerge il corpo di Neruda resta come sospesa a mezz'aria, perché deve rappresentare un letto d'ospedale ma insieme alludere alla vasca di Marat; il cuscino su cui riposa la testa del poeta ci appare bianco, perché richiama il lenzuolo del quadro di David; identico è il gesto delle mani, la sinistra a impugnare un foglio di carta, la destra a stringere la penna in un estremo fremito di vita. La nudità del torso, che nella vasca di Marat aveva senso realistico e narrativo, sul letto di Neruda denuncia il modello, diventa metaforica e simbolica "nudità eroica" all'antica, mette allo scoperto la frontiera fra "naturale" e "ideale". Infine, le parole: la scritta «a Pablo, Renato» puntualmente ripete «À Marat, David», rinunciando al supporto ligneo e alla maiuscola epigrafica, e passando dai cognomi ai nomi, come fra "compagni". Sul foglio di carta nella sinistra, David aveva rappresentato la lettera di Charlotte Corday a Marat che le aveva dato accesso alla sua stanza consentendole il delitto. Nel disegno di Guttuso, è lo stesso Neruda che ha scritto sul foglio, prima di morire, i nomi dei responsabili della sua morte. La lettera (dell'assassina) nel quadro di David è testimonio del tradimento; la lettera (della vittima) nel disegno di Guttuso è denuncia non degli esecutori materiali del crimine, ma dei suoi mandanti. Dei traditori non di Neruda, ma del Cile e della democrazia.

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L'articolo qui sopra pubblicato, ripreso dal Sole 24 Ore,  è una riduzione del saggio di Salvatore Settis dal titolo «Arte e delitto. Guttuso sulla morte di Neruda» pubblicato nel volume «Arte e politica. Studi per Antonio Pinelli» edito da Mandragora di Firenze. 



2 commenti:

  1. Leggere le proposte di Settis è sempre molto stimolante. Andrò a cercare questa prova d'artista dedicata a Neruda, spero di trovare qualcosa. Grazie a Franco per la bella segnalazione.

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  2. Cara Grazia, ti sarei molto grato se mi inviassi, in copia, tutto quello che trovi. Io non sono riuscito a trovare nel web neppure i disegni pubblicati dal 24 Ore

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