Pauli e Jung si scrivono
Non è
inconsueto che uno scienziato coltivi e approfondisca interessi culturali al di
fuori della sua disciplina, ma è singolare che un genio della fisica incontri
un capostipite della psicanalisi e per anni e anni si dedichi a ricercare un
terreno comune fra due discipline apparentemente agli antipodi. Questo è il
caso che si verificò con Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung.
Le lettere
che i due studiosi si scambiarono per quasi venticinque anni sono oggi
disponibili in volume: “Jung e Pauli – Il carteggio originale: l’incontro tra
Psiche e Materia”, edito da Moretti & Vitali. L’epistolario è stato curato
da Antonio Sparzani con Anna Panepucci, analista junghiana, docente e autrice
di pubblicazioni specialistiche.
Sparzani, a
lungo docente di fisica all’Università di Milano, cultore di letteratura e da
sempre fautore di un sapere integrato, al di là delle distinzioni fra
discipline umanistiche e scientifiche, è autore, tra l’altro, di “Relatività,
quante storie” (Bollati Boringhieri, 2003 e 2010), un’opera che mette in luce
le molteplici interconnessioni fra scienza e letteratura in materia di relatività.
Lo storico
distacco fra Jung e Freud precedette di poco lo scoppio della prima guerra
mondiale. Nei vent’anni che seguirono, la pratica terapeutica e
l’interpretazione dei sogni (suoi e dei suoi pazienti) portò Jung a formulare
la teoria degli archetipi e dell’inconscio collettivo, e ad approfondire lo
studio della simbologia, dei miti e dell’alchimia.
Nel 1932
Jung fu consultato da Pauli, che doveva risolvere certi problemi
comportamentali. Pauli, allora trentaduenne, era un brillante fisico teorico
che aveva teorizzato lo spin delle particelle subatomiche e intuito
l’esistenza dei neutrini. All’epoca, insegnava in un istituto universitario a
Zurigo. Tredici anni più tardi avrebbe ottenuto il premio Nobel per la fisica.
Jung dirottò
Pauli presso una terapeuta sua allieva (che fu di valido aiuto). Ma il paziente
aveva una statura intellettuale che non poteva accontentarsi della terapia.
Pauli volle impadronirsi della teoria psicanalitica, prese ad analizzare da sé
i suoi sogni e giunse a ravvisare nell’analisi junghiana un terreno comune tra
la psicologia e la fisica teorica.
Nel corso di
incontri che avvenivano quasi ogni lunedì, fra Pauli e Jung prese avvio uno
scambio di idee del quale rimane traccia nella corrispondenza, che continuò dal
1932 al 1957, con l’interruzione fra il 1940 e il 1946 dovuta alla seconda
guerra mondiale. Le lettere documentano le incertezze, ma anche la sorprendente
mescolanza di metodo e disinvoltura intellettuale con cui Jung e Pauli conducevano
le loro ricerche.
Il saggio
“Sincronicità come principio di nessi acausali” fu pubblicato da Jung nel 1952
(insieme a un saggio di Pauli su Keplero e l’archetipo), ma l’idea del “nesso
acausale” era nata molti anni prima e dal carteggio risulta evidente che la
genesi del concetto è connessa con il principio di indeterminazione. Nella
formulazione di Heisenberg il principio per cui “l’osservazione interferisce
con il fenomeno” si riferiva a ciò che avviene a livello subatomico, ma Jung
ritenne legittimo trasporlo anche a livello psichico e (ciò che è davvero
notevole) Pauli accolse il suo punto di vista.
Si dà il
caso che in materia di coincidenze Pauli avesse una storia personale piuttosto
curiosa. A quanto pare, la sua presenza faceva fallire gli esperimenti, tanto
che ci fu un collega che gli proibì l’ingresso nel suo laboratorio. Questa sua
particolarità era così spiccata da diventare nota come effetto Pauli.
Nelle ricche
e importanti Appendici di questo libro è riportato en passant un caso
davvero macroscopico di “sincronicità”: Pauli sedeva da solo alla finestra di
un caffè rimuginando su un tema che simbolicamente associava al colore rosso.
Davanti a lui, nella strada, era parcheggiata un’automobile dalla quale non
riusciva a distogliere lo sguardo. Improvvisamente l’auto prese fuoco e fu
distrutta dalle fiamme.
La
sincronicità, ovvero il concorrere di fenomeni privi di rapporto causale eppure
chiaramente connessi, porta a supporre, analogamente al principio di
indeterminazione, che l’osservazione finisca – in qualche modo – per provocare
fenomeni che altrimenti potrebbero anche non verificarsi. Quando capita di
pensare a qualcuno, e sentiamo suonare il telefono, e scopriamo che a chiamarci
è proprio la persona alla quale stavamo pensando, si tratta di una pura
coincidenza? Sono pure coincidenze i presentimenti, le vincite al gioco, le
profezie?
Non è sempre
chiaro se Jung consideri “sincronico” (e cioè legato da un nesso diverso da
quello di causa-effetto) ogni genere di coincidenza. Per prendere posizione in
merito sarebbe stato utile disporre di pezze d’appoggio sperimentali. Ecco
perché Jung pensò di raccogliere statistiche sulle previsioni astrologiche e
sulle tecniche di previsione del futuro in genere.
Da parte
sua, Pauli era più che disponibile a collaborare alla definizione del concetto
di sincronicità: oltre all’interesse scientifico, dare una spiegazione all’effetto
Pauli gli avrebbe risolto un problema. Ma per l’astrologia Pauli aveva una
particolare avversione e si impegnò a dimostrare che le statistiche raccolte
non potevano servire di base per una teoria sensata. Ciò non convinse Jung a
espellere l’astrologia dall’ambito della sincronicità, ma lo indusse a pensare
che il “nesso acausale” avesse una natura qualitativa e, pertanto, avesse poco
senso cercare conferme o smentite nelle statistiche, che sono necessariamente
quantitative.
In
conclusione, Jung arrivò a considerare la sincronicità sotto un duplice
aspetto: da un lato l’osservazione focalizza la volontà dell’osservatore, cosa
che già di per sé tende a favorire la realizzazione del fenomeno; dall’altro,
siccome l’osservazione è condizionata dagli archetipi dell’inconscio
collettivo, se il fenomeno è inserito in un ordine cosmico, in un sentiero
preordinato (o, come oggi direbbero certuni, in un “disegno intelligente”), è
probabile che si realizzi.
Ma la
lettura del carteggio riserva anche sorprese di altro genere. Per esempio, può
stupire che due persone di così vasta cultura non osservino mai, neppure di
sfuggita, come la struttura dell’inconscio collettivo e degli archetipi
ricalchi lo schema platonico del mondo delle idee.
Nelle
lettere scambiate prima del 1940 gli accenni a Platone sono quasi inesistenti.
Jung non lo nomina mai. Pauli preferisce far riferimento ai neoplatonici
Plotino e Proclo. Solo a partire dalla lettera n°58 (siamo ormai nel 1952)
Pauli tenta di abbordare temi propriamente filosofici e propone di introdurre
nella sincronicità la distinzione aristotelica di essere “in potenza” o “in
atto”. Ma Jung lo blocca subito: va escluso dalla psicanalisi qualunque
concetto che sappia di metafisico. In una lettera successiva Pauli prova a
tornare sull’argomento, ma Jung non gli dà corda.
Sembra
legittimo sospettare, a questo punto, che anche gli spiriti magni abbiano le
loro meschinità: Jung non intende condividere con nessuno la paternità della
sua teoria (neppure con Platone!). Tantomeno permette a un paziente, per quanto
celebre, colto e intelligente, di discutere con lui su un piano di parità.
Pauli prospetta, propone, domanda; Jung dà responsi, approva o rettifica. Jung
è il guru e Pauli è il discepolo.
Soltanto
dopo il 1945 (c’è voluta una guerra mondiale e un premio Nobel!) il rapporto
fra i due comincia a prendere quasi l’aspetto di una collaborazione, ma sempre
a condizione di non uscire dall’ambito della psicanalisi, il campo in cui Jung
si riserva l’ultima parola.
Tutto ciò e
molto altro è contenuto in questo straordinario carteggio che, pur datando da
sessanta e più anni fa, è modernissimo.
Ancora oggi
è sconcertante osservare l’apertura mentale di due scienziati che non hanno
scrupoli né incertezze nel cercare dovunque (negli I Ching, in un
alchimista come Robert Fludd o in un cultore di magia come Proclo) materiale
utile a indagare sia l’interpretazione dei sogni che la struttura dell’atomo.
In
particolare, la spregiudicatezza di Pauli suona come un monito agli scienziati
del ventunesimo secolo: per studiare le nuove frontiere della fisica (materia
oscura, onde gravitazionali…) potrà essere necessario ricorrere a forme di
pensiero che a partire dal Settecento erano state ritenute superstizioni e
fantasie, tanto da escluderle dalla scienza ufficiale. Forse è giunto il
momento di rivalutarle.
La dittatura
illuministica della ragione (che, come mise in chiaro il circolo di Vienna, non
sa andare oltre la tautologia) potrebbe essere prossima al tramonto.
Articolo tratto da https://lapoesiaelospirito.wordpress.com
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