"Non smettere mai di lottare" . E' il messaggio di Suffragette, un
film attualissimo se un secolo dopo, come ci ricorda la regista
nell'intervista che riprendiamo, “i due terzi degli
analfabeti mondiali sono donne, una ragazza su tre solo in
Inghilterra ha subito violenze e sono tantissime le donne che ancora
non vedono rispettati i propri diritti fondamentali”.
Cristina Piccino
La passione delle
donne
Bisogna essere ricchi per
fare la rivoluzione? Non è una regola ma forse aiuta. Come avere
alle spalle un marito influente e comprensivo se si è una donna che
lotta per i propri diritti nella Gran Bretagna dei primi del
Novecento. Nel movimento delle suffragette però c’erano borghesi e
operaie, povere e senza mariti pazienti come Maud Watts,figlia di
operaia, cresciuta nella lavanderia dove lavorava la madre, rimasta
orfana a quattro anni e a sette già a inamidare camicie sotto
l’occhio (e la mano) di un padrone fin troppo «affettuoso».
«Azioni non parole» è
la lezione di Emmeline Pankhurs, fondatrice carismatica (e
ricercatissima dalla polizia) del Women’s Social and Political
Union (Meryl Streep) che scuote Maud dalla sua esistenza piegata
sotto ai soprusi dei maschi. Le parole per lei sono vuote, nel voto
per cui le donne si batto spera poco ma vuole credere alla
possibilità di una vita diversa.
E queste donne fanno sul
serio: infrangono le leggi, spaccano le vetrine, mettono bombe non
per uccidere ma per ottenere l’attenzione dei media e dal popolo.
La polizia le carica e le picchia brutalmente, i giornali le
insultano, le definiscono delle pazze isteriche che infangano
l’ideale femminile di madre e di brava sposa perché chiedono di
votare come gli uomini (e il diritto di voto era alienato ai malati
di mente ai detenuti e ai poveri) ma anche di essere pagate come gli
uomini.
Nella lavanderia dove
Maud lavora si massacrano le dita, i polmoni, la pelle con ustioni a
rischio mortale per un salario da miseria. E vogliono anche avere il
diritto di decidere per i loro figli che ora sono «proprietà»
esclusiva del marito, e per questo pagano tanto, tantissimo: i mariti
le cacciano, gli tolgono i figli, perdono il lavoro e anche la vita
come Emily Davison che si butta sotto al cavallo di re Giorgio V
facendo così conoscere la lotta delle donne inglesi in tutto il
mondo – le immagini di archivio del suo funerale chiudono il film.
«Mai arrendersi, mai
smettere di lottare» ripete Pankhurst perché se vuoi una cosa te la
devi prendere, nessuno te la regalerà. Sarah Gavron per fare questo
film ci ha messo diversi anni, insieme alla sceneggiatrice, Abi
Morgan, ha lavorato sugli archivi, le lettere, i diari intimi e mai
pubblicati di numerose donne come la protagonista con l’obiettivo
di raccontare la vera storia delle suffragette distorta allora e di
cui ancora oggi non si parla nelle scuole.
Il movimento inizia la
sua battaglia per il suffragio – da qui il nome usato con disprezzo
ma di cui loro si appropriano – ai primi del secolo scorso. La
repressione è violenta, la polizia le picchia, la gente le insulta,
le sbattono in carcere le donne rispondono con lo sciopero della fame
– «Non potete rinchiuderci tutte siamo più della metà del Paese»
replica Maud al poliziotto. Nel 1903 la campagna «Voto per le donne»
viene rilanciata con la creazione della WSPU, la Women’s Social and
Political Union (Unione sociale e politica delle donne), fondata a
Manchester da Emmeline Pankhurst e dalle sue figlie, che nel 1906 si
trasferisce a Londra.
Quando scoppia la prima
guerra mondiale le suffragette sospendono le loro azioni, e dopo la
guerra verrà concesso il voto alle donne (che hanno compiuto
trent’anni, in Italia accadrà solo dopo la seconda guerra
mondiale).
Nella tradizione del
cinema inglese «impegnato» popolare, senza gli elementi disturbanti
di un Ken Loach, Suffragette si basa più sulla scrittura (e molto
sul cast a cominciare da Carey Mulligan che dà vita con molta
irruenza e sensibilità al personaggio di Maud Watts) che su la
messinscena con la bella intuizione però di mettere al centro non
una figura storica, la leader Pankhurs, ma una donna «comune», e la
sua conquista di una nuova sicurezza, che ne racconta molte altre.
«Ordinarie» come lei ma che hanno incarnato questa battaglia
attraverso passaggi sottili, emozioni instabili, paure e angosce.
Quelle di Maud Watts e quelle delle sue compagne, operaie come il
personaggio di Anne-Marie Duff , piena di figli, la faccia spaccata
dal marito che deve fare i conti con le contraddizioni della povertà
– solo la figlia porta i soldi a casa nuova preda del padrone. O la
farmacista di Helena Bonham Carter, determinata con coraggiosa
ostinazione, che voleva essere medico e non ha potuto studiare perché
il padre lo ha vietato.
La loro lotta è tutta
esterna, di sé queste donne parlano poco ma il film ci dice che la
battaglia continua e non solo perché in Arabia saudita il diritto di
voto le donne lo hanno ottenuto nel 2015.
il Manifesto – 3 marzo
2016
Giovanna Branca
«C’è ancora tanto
da fare per i diritti delle donne»
Intervista con Sarah
Gavron, regista di «Suffragette»
Ancora oggi le
suffragette inglesi che si sono battute per il voto alle donne
«vengono dipinte come donne della buona società, spesso un po’
frivole», osserva la produttrice di Suffragette Faye Ward.
In uscita oggi nelle sale italiane, il film di Sarah Gavron sfata in
primo luogo proprio questo pregiudizio, raccontando la storia di una
donna della working class londinese interpretata da Carey Mulligan,
la sua presa di coscienza e adesione al movimento pagata a caro
prezzo.
Nella lunga fase di
preparazione e documentazione per la scrittura del film, la regista
racconta infatti di come lei, Ward e la sceneggiatrice Abi Morgan si
siano imbattute in «moltissime lettere e diari di suffragette
proletarie che dimostrano come fossero proprio loro a battersi più
duramente di tutte, visto che erano quelle che avevano più da
perdere».
La morte di Emily Davidson
Altro elemento
fondamentale per la ricerca alla base del film, racconta la
produttrice, è stata l’apertura degli archivi della polizia
inglese nel 2005, che ha consentito di consultare e studiare «la
struttura di sorveglianza imbastita per controllare e punire queste
donne».
Molti dei personaggi sono ispirati a persone realmente esistite, a cominciare proprio dal commissario di polizia interpretato da Brendan Gleeson, che «fa rispettare la legge ma allo stesso tempo comincia, dentro di sé, a metterla in discussione», dice Gavron.
Anche la relazione di una
delle leader del movimento nella East London, interpretata da Elena
Bonham Carter, con il marito che supporta la sua lotta affonda le
radici nella realtà: «ci siamo ispirate a tre coppie dell’epoca
con caratteristiche simili». Il marito della protagonista, invece,
esprime a detta della regista «la condizione maschile intrappolata
nei pregiudizi sociali, per cui avere una moglie che viene mandata in
prigione per motivi politici significa venire emarginato dalla
propria comunità».
Ma Suffragette, ci
tiene a puntualizzare Sarah Gavron, non è un film in costume: è
nato con l’intenzione di affrontare temi ancora molto urgenti nel
ventunesimo secolo, «in cui i due terzi degli analfabeti mondiali
sono donne, una ragazza su tre solo in Inghilterra ha subito violenze
e sono tantissime le donne che ancora non vedono rispettati i propri
diritti fondamentali».
I funerali di Emily Davidson
L’intento è ovviamente
anche quello di tenere viva la memoria per le nuove generazioni dato
che, come ricorda ancora la regista, solo di recente quelle battaglie
sono entrate nei testi scolastici inglesi. «Molti giovani, e
soprattutto giovani donne – continua Gavron – non vanno a votare
in Inghilterra, e per questo i loro diritti sono meno tutelati, come
nel caso dell’innalzamento del costo degli studi». È dunque bene
ricordare che l’introduzione del suffragio universale ha
rapidamente portato, tra le altre cose, a legiferare «sui diritti
delle madri nei confronti dei figli, su quelli delle donne a gestire
i loro soldi e così via».
Alla realizzazione del
film ha preso parte anche Helen Pankhurst, bisnipote della leader del
movimento delle femministe inglesi Emmeline, mentre Helena Bonham
Carter «ha anche lei una relazione genetica con quelle battaglie»:
il bisnonno è infatti l’ex primo ministro Herbert Henry Asquith,
«arcinemico» delle suffragette. «Quando abbiamo girato le
manifestazioni fuori dal parlamento – ricorda Gavron – entrambe
quelle famiglie, un tempo avversarie, si sono ritrovate e riunite».
Il Manifesto – 3 marzo
2016
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