06 marzo 2016

SUFFRAGETTE, un film da vedere




"Non smettere mai di lottare" . E' il messaggio di Suffragette, un film attualissimo se un secolo dopo, come ci ricorda la regista nell'intervista che riprendiamo, “i due terzi degli analfabeti mondiali sono donne, una ragazza su tre solo in Inghilterra ha subito violenze e sono tantissime le donne che ancora non vedono rispettati i propri diritti fondamentali”.

Cristina Piccino

La passione delle donne

Bisogna essere ricchi per fare la rivoluzione? Non è una regola ma forse aiuta. Come avere alle spalle un marito influente e comprensivo se si è una donna che lotta per i propri diritti nella Gran Bretagna dei primi del Novecento. Nel movimento delle suffragette però c’erano borghesi e operaie, povere e senza mariti pazienti come Maud Watts,figlia di operaia, cresciuta nella lavanderia dove lavorava la madre, rimasta orfana a quattro anni e a sette già a inamidare camicie sotto l’occhio (e la mano) di un padrone fin troppo «affettuoso».

«Azioni non parole» è la lezione di Emmeline Pankhurs, fondatrice carismatica (e ricercatissima dalla polizia) del Women’s Social and Political Union (Meryl Streep) che scuote Maud dalla sua esistenza piegata sotto ai soprusi dei maschi. Le parole per lei sono vuote, nel voto per cui le donne si batto spera poco ma vuole credere alla possibilità di una vita diversa.

E queste donne fanno sul serio: infrangono le leggi, spaccano le vetrine, mettono bombe non per uccidere ma per ottenere l’attenzione dei media e dal popolo. La polizia le carica e le picchia brutalmente, i giornali le insultano, le definiscono delle pazze isteriche che infangano l’ideale femminile di madre e di brava sposa perché chiedono di votare come gli uomini (e il diritto di voto era alienato ai malati di mente ai detenuti e ai poveri) ma anche di essere pagate come gli uomini.

Nella lavanderia dove Maud lavora si massacrano le dita, i polmoni, la pelle con ustioni a rischio mortale per un salario da miseria. E vogliono anche avere il diritto di decidere per i loro figli che ora sono «proprietà» esclusiva del marito, e per questo pagano tanto, tantissimo: i mariti le cacciano, gli tolgono i figli, perdono il lavoro e anche la vita come Emily Davison che si butta sotto al cavallo di re Giorgio V facendo così conoscere la lotta delle donne inglesi in tutto il mondo – le immagini di archivio del suo funerale chiudono il film.

«Mai arrendersi, mai smettere di lottare» ripete Pankhurst perché se vuoi una cosa te la devi prendere, nessuno te la regalerà. Sarah Gavron per fare questo film ci ha messo diversi anni, insieme alla sceneggiatrice, Abi Morgan, ha lavorato sugli archivi, le lettere, i diari intimi e mai pubblicati di numerose donne come la protagonista con l’obiettivo di raccontare la vera storia delle suffragette distorta allora e di cui ancora oggi non si parla nelle scuole.

Il movimento inizia la sua battaglia per il suffragio – da qui il nome usato con disprezzo ma di cui loro si appropriano – ai primi del secolo scorso. La repressione è violenta, la polizia le picchia, la gente le insulta, le sbattono in carcere le donne rispondono con lo sciopero della fame – «Non potete rinchiuderci tutte siamo più della metà del Paese» replica Maud al poliziotto. Nel 1903 la campagna «Voto per le donne» viene rilanciata con la creazione della WSPU, la Women’s Social and Political Union (Unione sociale e politica delle donne), fondata a Manchester da Emmeline Pankhurst e dalle sue figlie, che nel 1906 si trasferisce a Londra.

Quando scoppia la prima guerra mondiale le suffragette sospendono le loro azioni, e dopo la guerra verrà concesso il voto alle donne (che hanno compiuto trent’anni, in Italia accadrà solo dopo la seconda guerra mondiale).

Nella tradizione del cinema inglese «impegnato» popolare, senza gli elementi disturbanti di un Ken Loach, Suffragette si basa più sulla scrittura (e molto sul cast a cominciare da Carey Mulligan che dà vita con molta irruenza e sensibilità al personaggio di Maud Watts) che su la messinscena con la bella intuizione però di mettere al centro non una figura storica, la leader Pankhurs, ma una donna «comune», e la sua conquista di una nuova sicurezza, che ne racconta molte altre. «Ordinarie» come lei ma che hanno incarnato questa battaglia attraverso passaggi sottili, emozioni instabili, paure e angosce. Quelle di Maud Watts e quelle delle sue compagne, operaie come il personaggio di Anne-Marie Duff , piena di figli, la faccia spaccata dal marito che deve fare i conti con le contraddizioni della povertà – solo la figlia porta i soldi a casa nuova preda del padrone. O la farmacista di Helena Bonham Carter, determinata con coraggiosa ostinazione, che voleva essere medico e non ha potuto studiare perché il padre lo ha vietato.

La loro lotta è tutta esterna, di sé queste donne parlano poco ma il film ci dice che la battaglia continua e non solo perché in Arabia saudita il diritto di voto le donne lo hanno ottenuto nel 2015.

il Manifesto – 3 marzo 2016



Giovanna Branca

«C’è ancora tanto da fare per i diritti delle donne»

Intervista con Sarah Gavron, regista di «Suffragette»

Ancora oggi le suffragette inglesi che si sono battute per il voto alle donne «vengono dipinte come donne della buona società, spesso un po’ frivole», osserva la produttrice di Suffragette Faye Ward. In uscita oggi nelle sale italiane, il film di Sarah Gavron sfata in primo luogo proprio questo pregiudizio, raccontando la storia di una donna della working class londinese interpretata da Carey Mulligan, la sua presa di coscienza e adesione al movimento pagata a caro prezzo.

Nella lunga fase di preparazione e documentazione per la scrittura del film, la regista racconta infatti di come lei, Ward e la sceneggiatrice Abi Morgan si siano imbattute in «moltissime lettere e diari di suffragette proletarie che dimostrano come fossero proprio loro a battersi più duramente di tutte, visto che erano quelle che avevano più da perdere».
    La morte di Emily Davidson

Altro elemento fondamentale per la ricerca alla base del film, racconta la produttrice, è stata l’apertura degli archivi della polizia inglese nel 2005, che ha consentito di consultare e studiare «la struttura di sorveglianza imbastita per controllare e punire queste donne».

Molti dei personaggi sono ispirati a persone realmente esistite, a cominciare proprio dal commissario di polizia interpretato da Brendan Gleeson, che «fa rispettare la legge ma allo stesso tempo comincia, dentro di sé, a metterla in discussione», dice Gavron.

Anche la relazione di una delle leader del movimento nella East London, interpretata da Elena Bonham Carter, con il marito che supporta la sua lotta affonda le radici nella realtà: «ci siamo ispirate a tre coppie dell’epoca con caratteristiche simili». Il marito della protagonista, invece, esprime a detta della regista «la condizione maschile intrappolata nei pregiudizi sociali, per cui avere una moglie che viene mandata in prigione per motivi politici significa venire emarginato dalla propria comunità».

Ma Suffragette, ci tiene a puntualizzare Sarah Gavron, non è un film in costume: è nato con l’intenzione di affrontare temi ancora molto urgenti nel ventunesimo secolo, «in cui i due terzi degli analfabeti mondiali sono donne, una ragazza su tre solo in Inghilterra ha subito violenze e sono tantissime le donne che ancora non vedono rispettati i propri diritti fondamentali».
    I funerali di Emily Davidson

L’intento è ovviamente anche quello di tenere viva la memoria per le nuove generazioni dato che, come ricorda ancora la regista, solo di recente quelle battaglie sono entrate nei testi scolastici inglesi. «Molti giovani, e soprattutto giovani donne – continua Gavron – non vanno a votare in Inghilterra, e per questo i loro diritti sono meno tutelati, come nel caso dell’innalzamento del costo degli studi». È dunque bene ricordare che l’introduzione del suffragio universale ha rapidamente portato, tra le altre cose, a legiferare «sui diritti delle madri nei confronti dei figli, su quelli delle donne a gestire i loro soldi e così via».

Alla realizzazione del film ha preso parte anche Helen Pankhurst, bisnipote della leader del movimento delle femministe inglesi Emmeline, mentre Helena Bonham Carter «ha anche lei una relazione genetica con quelle battaglie»: il bisnonno è infatti l’ex primo ministro Herbert Henry Asquith, «arcinemico» delle suffragette. «Quando abbiamo girato le manifestazioni fuori dal parlamento – ricorda Gavron – entrambe quelle famiglie, un tempo avversarie, si sono ritrovate e riunite».


Il Manifesto – 3 marzo 2016

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