A quattrocento anni
dalla morte Cervantes si rivela uno dei padri del romanzo europeo. Il
suo Don Chisciotte, sospeso fra ricordo di un mondo ormai finito e
presente di un mondo di cui non comprende il senso, risulta una
figura modernissima per noi che viviamo la fine di un mondo e
l'inizio di un qualcosa che non sappiamo ancora definire.
Fernando Savater
“Leggete Don Quixote. È il primo romanzo europeo”
Intervista di Mario Baudino
Don Chisciotte gioca con noi, mentre tutti i personaggi del gran libro, almeno in apparenza, si prendono gioco di lui. Nel capolavoro di Cervantes, il primo romanzo moderno, ci sono le tracce della nostra modernità ancora a venire, della tradizione che ci portiamo sulle spalle.
Tra l’arida Mancia, Toledo, Barcellona e poco altro, in una manciata di chilometri l’hidalgo spalanca un mondo fantastico e incommensurabile che sprofonda in caverne e si inerpica in castelli, vola sui cavalli alati e s’infogna tra i malandrini, corre le selve e incontra frotte di pazzi, di savi, di cinici e soprattutto di giovani che muoiono d’amore. Don Chisciotte non è solo il cavaliere dalla Triste Figura, lo sventato dei mulini a vento: sa benissimo di essere un personaggio romanzesco. Anzi, sa di vivere in un mondo dove tutto è assolutamente falso e assolutamente vero.
Fernando Savater, il filosofo spagnolo dell’Etica per un figlio, ha scritto vent’anni fa un saggio dal titolo provocatorio e forse paradossale: Istruzioni per dimenticare Don Chisciotte, dove sosteneva come in fondo il personaggio letterario, «ultimo eroe e primo antieroe», ha qualcosa a che vedere col mondo religioso. C’è nella sua natura la richiesta di essere trasceso, diventare altro.
In che senso, professor Savater?
«Nel senso che è
scappato dal romanzo, molto più complesso rispetto alla nostra idea
del suo protagonista. E credo anche non molto letto, almeno oggi,
mentre tutti hanno un’immagine di Don Chisciotte e ritengono quindi
di conoscerlo. In quel saggio mi premeva sottolineare anche altro.
Per esempio, un’ambiguità possibile, generata proprio dal mito».
Un effetto storico?
«Sì. Riflettevo
sull’interpretazione che ne dette Thomas Mann, quando vedeva
nell’idea donchisciottesca della perenne buona fede imposta però,
almeno soggettivamente, con la forza delle armi, una prefigurazione
di quanto era accaduto in Germania».
Insomma, del totalitarismo?
«Per questo il mio
titolo era comunque paradossale. Potremmo definire Don Chisciotte un
“pazzo dell’ideale”, che però viene sistematicamente sconfitto
dal mondo. Per molti aspetti è un reazionario, ma non conosce il
principio di necessità, si oppone istintivamente al mondo com’è».
Tutti nel romanzo lo ritengono pazzo, anzi, mezzo savio e mezzo pazzo. E proprio in questo diventa immensamente popolare.
«Perché la sua è una
rivendicazione di libertà, che sembra folle ma forse non lo è.
Libertà è non accettare l’inaccettabile ma anche quel che è
ritenuto necessario, l’evidenza, tutto ciò cui nella nostra vita
ci sottomettiamo con una sorta di rassegnazione. Lui rifiuta il
principio di realtà».
Consapevolmente?
«Se ne può discutere. In Cervantes sembra che Don Chisciotte non si renda conto della realtà se non alla vigilia della morte. Però a leggere con attenzione si può ricavare invece che questa consapevolezza emerge abbastanza spesso, durante le sue avventure. Personalmente non prenderei posizione».
Perché leggere Don Chisciotte, oggi?
«Perché è un grande
romanzo europeo. Non dimentichiamo che ci narra di un ideale in grado
di andare oltre gli interessi personali. Potremo dire un ideale
d’Europa».
Che non sembra quello delle burocrazie di Bruxelles.
«Non credo proprio che
approverebbe i meccanismi di ripartizione dei migranti, le barriere,
i muri. Lui è aperto a tutti, libera persino i carcerati... anche se
finisce col prendersi una gragnola di botte proprio dai suoi
(supposti) beneficiati».
Quanto a questo ha atteggiamenti di grande comprensione con un conoscente ebreo, vittima della cacciata dalla Spagna.
«Cervantes non era certo
per la purezza del sangue. Aveva vissuto intensamente, aveva
combattuto a Lepanto, era stato prigioniero in Oriente. Aveva una
visione della società molto più complessa di quella dominante nella
Spagna di Filippo II».
Grazie alla quale ha creato il romanzo moderno. Però non ha fondato una tradizione, non in Spagna. Il romanzo moderno si è sviluppato ed è cresciuto in Inghilterra.
«Diciamo che in Spagna
questo romanzo non c’è. Non sono uno storico, ma direi che il
problema è il ritardo nella formazione di una classe media nel
nostro Paese, quella cui parla appunto il romanzo moderno, coi suoi
amori, matrimoni, adulteri. Don Chisciotte è un romanzo d’avventura,
satirico, umoristico, forse non va in quella direzione. È tutto
epica. Forse per questo è così vivo».
La Stampa – 15 marzo
2016
Riprovo a scrivere un commento (a rischio censura, dove fare altrimenti commenti...) su questo nostro immortale ideale. Fra le altre cose è quasi l'unico che ci parla di un mastro Pedro "puparo" itirenante e poi, ormai è chiaramente dimostrato, che le anomalie del nostro eroe derivassero proprio dall' "abuso" di testi epici fra cui spiccava il nostro Maria Matteo Boiardo con il suo Innamorato. Quindi legame indissolubile con chi spesso ci rassomiglia veramente...
RispondiEliminaMa non vorrei dimenticare un altro legame soporatutto con il suo autore, compagno d'arme di un nostro compaesano quel Beccadelli che era nella stessa nave e quindi nella stessa battaglia con il Cervantes che tra l'altro perse un braccio. Queste due presenze (documentate dagli storici) oggi si avvalorano di un altra ricerca-supposizione da me condotta. Quando constatai che a Marineo abbiamo dei "Lepanto" ieri fabbri l'altro ieri "armieri" forse al seguito di questo Beccadelli presente appunto a Lepanto, da cui verosimilmente presero il cognome essenso stati appunto a ...Lepanto ed esercitrando quindi tale mestiere. Su Don Chisciotte sembra si sia detto tutto ma resta determinante da qualsiasi lato lo si analizzi. Non lo abbiamo mai analizzato ma sempre amato !