Avevo già deciso di partecipare al
referendum del prossimo 17 aprile per le ragioni esposte chiaramente
nell’articolo seguente. A queste ragioni se ne è aggiunta un’altra, nelle
ultime ore: il PD, il principale partito di governo del nostro Paese, che ha
già autorizzato le trivellazioni, invece di esporre le proprie ragioni confrontandole
civilmente con le altre, invita i suoi aderenti a disertare l’iniziativa
referendaria per impedire il raggiungimento
del quorum, sabotando così uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che ci
sono rimasti.
La democrazia oggi è seriamente
minacciata in Italia. Una volta erano le forze di minoranza ad esercitare il
diritto alla “disobbedienza civile” . Oggi sono le forze che hanno la
maggioranza parlamentare a sabotare un istituto democratico.
Svegliamoci, prima che sia troppo
tardi!
fv
TUTTI I MOTIVI PER NON
TRIVELLARE
di Maria Rita D’Orsegna*
In questi giorni un sacco di gente scrive cose a casaccio sul referendum. Il Sole 24Ore, Jacopo Gilberti,
Alberto Clò, Pierluigi Vecchia, e altre persone mai sentite prima. Sono in
questa petrol-trincea da quasi dieci anni. Non ci guadagno niente (a differenza
dei petrolieri) a fare questa sorta di crociata, non ho “preconcetti
ideologici”. Un sacco di gente viene qui o ad attaccare o a ricopiare. Hanno
pure cercato di far chiudere il mio blog. Ma non fa niente, continuo, anche se stanca. Voglio
solo che l’Italia non diventi un enorme campo di petrolio, ma sia più bella e
più sana. Tutto qui. Potrei andarmene al mare a Santa Monica, e invece sono qui
perché è importante. E spero che tutti possano fare del proprio meglio per
incoraggiare il Sì il giorno 17 aprile 2016. I “professori” ci dicono che
trivellare l’Italia serve per soddisfare il nostro fabbisogno nazionale, per lo
sviluppo economico, per l’occupazione, e che tutto sarà fatto in modo
“sostenibile”. Questo è quello che dicono loro. Invece, io l’ho girata tutta
l’Italia petrolizzanda e petrolizzata ed è lampante, ai miei occhi almeno, che
l’idea di “aggiustare” il paese facendo buchi a destra e a manca non è la
soluzione. Ecco perche’:
1. Paesaggio e turismo
L’Italia è un paese densamente abitato, con un paesaggio invidiabile, variegato, fatto di colline, di
mare, di boschi, di posti unici. Dove le mettiamo queste trivelle? Ovunque ti
giri c’è comunità, c’è vita, c’è potenziale di bellezza, non deserto. Come si può pensare di trivellare a pochi chilometri da
Venezia o da Pantelleria? Petrolizzare
un territorio significa imbruttirlo, avvelenarlo, annientando quasi
tutto quello che già sul territorio esiste o potrebbe esistere. E significa
farlo sul lungo termine. Chi comprerà una casa con vista pozzo? Quale turista
vorrà venire in Italia a vedere il mare o le colline bucherellate dalle
trivelle o a respirare aria di raffineria? Fra l’altro la tutela del paesaggio
è uno dei punti fondamentali della nostra Costituzione.
2. Petrolio scadente
Il petrolio presente in Italia – in generale – è scadente, in qualità e in
quantità, ed è difficile da estrarre perché posto in profondità. È saturo di impurità sulfuree che
vanno eliminate il più vicino possibile ai punti estrattivi. Non abbiamo nel
sottosuolo il petrolio dei film texani, quanto invece una sorta di melma,
maleodorante, densa e corrosiva che necessita di vari trattamenti prima di
arrivare ad un prodotto finale.
3. Infrastrutture invasive e rifiuti
Questo fa sì che ci sia bisogno di infrastrutture ad hoc: pozzi, centrali
di desolforazione, oleodotti, strade, porti petroliferi, industrializzazione di
aree che sono al momento quasi tutte agricole, boschive, turistiche. Non dimentichiamo gli abbondanti
materiali di scarto prodotti dalle trivellazioni – tossici, difficili e costosi
da smaltire – con tutti i business più o meno legali che ci girano attorno. E
non dimentichiamo il mare, dove la ricerca di petrolio può causare
spiaggiamenti di cetacei, e dove è prassi ordinaria in tutto il mondo lo
scarico in acqua di rifiuti petroliferi secondo il principio “occhio non vede,
cuore non duole”.
4. Inquinamento aria
Sia dai
pozzi che dalle centrali di desolforazione vengono emesse sostanze nocive e
dannose all’agricoltura, alle persone, agli animali. Fra questi, l’idrogeno
solforato (H2S), nitrati (NOx), i composti organici volatili (Voc), gli
idrocarburi policiclici aromatici (Pah), nanopolveri pericolose. Alcune di
queste sostanze sono provatamente cancerogene
e causano danni al Dna ed ai feti. Possono anche causare piogge acide, compromettere
la qualità del raccolto e la salute del bestiame. Chi eseguirà i monitoraggi,
chi controllerà lo stato di salute delle persone? È giusto far correre questi
rischi ai residenti, dato che gli effetti nefasti del petrolio sulla salute
umana sono noti, e da tanto tempo, nella letteratura medico-scientifica?
5. Inquinamento acqua
Nonostante
le cementificazioni dei pozzi e l’utilizzo di materiale isolante negli
oleodotti, tali strutture con il passare degli anni presentano cedimenti strutturali, anche lievi, dovuti al
logorio, alle pressioni, allo stress meccanico. L’elevata estensione degli
oleodotti, e la profondità dei pozzi, rende difficile individuare queste
fessure, che possono restare aperte a lungo, inquinando l’acqua del sottosuolo
e danneggiando gli ecosistemi con elevati costi di ripristino.
6. Idrogeologia e sismicità
L’Italia è a rischio sismico, con già tanti problemi di stabilità idrogeologica,
di subsidenza, a cui si aggiungono in molti casi l’abusivismo e la
malaedilizia. In alcuni rari casi (ma ne basta uno solo!) le ispezioni
sismiche, le trivellazioni, la re-iniezione sotterranea di materiale di scarto
ad alta pressione possono alterare gli equilibri sotterranei, checché ne dica
qualcuno dei “tuttapostisti” accademici italiani. Come non conosciamo
perfettamente la distribuzione delle falde acquifere, così non conosciamo
perfettamente neanche quella delle faglie sismiche. Stuzzicare i delicati
equilibri geologici può innescare terremoti, anche di magnitudine elevata. È già successo in Russia, in California, in Colorado.
7. Incidenti
Anche prendendo tutte le precauzioni possibili, i pozzi possono sempre
avere malfunzionamenti. In Italia abbiamo avuto già esempi di scoppi o
incidenti gravi con
emissioni incontrollate di idrocarburi per vari giorni senza che nessuno
sapesse cosa fare: nelle risaie vicino a Trecate, nei mari attorno alla
piattaforma Paguro, nei campi di Policoro. Per risanare Trecate non è bastato
un decennio. Non per niente in California c’è una fascia protettiva anti-trivelle
di 160 chilometri da riva, e non per niente è dal 1969 che non si buca più il
mare.
8. Speculatori
Molte delle
ditte che intendono trivellare l’Italia sono minori, straniere, con piccoli
capitali sociali. Spesso annunciano di volere fare il salto di qualità con il
petrolio d’Italia perché – e lo dicono candidamente ai loro investitori – da noi le leggi sono meno severe, è facile
avere i permessi, le spese di ingresso sul territorio sono basse. Saranno,
queste micro ditte irlandesi, australiane, statunitensi e canadesi, capaci di
gestire i controlli ambientali a regola d’arte? Ed in caso di incidenti, con i
loro esigui capitali sociali, avranno le risorse per affrontare operazioni di
pronto intervento, risanamento ambientale e risarcimento danni?
9. Minimi benefici
Il petrolio d’Italia non farà arricchire gli Italiani, non porterà lavoro,
e tanto meno risolverà i problemi del bilancio energetico nazionale. Le
royalties d’Italia sono basse, e la maggior parte di questo petrolio verrà
estratto da ditte straniere, libere di vendere il greggio su mercati
internazionali. È pura speculazione, niente più.
10. Basilicata
Ed anche se
tutto fosse fatto a opera d’arte, il vero conto va fatto su tutto quello che il
petrolio distruggerà, sui rischi che ci farà correre, a fronte dei suoi
presunti vantaggi. In Italia abbiamo già una
regione che è stata immolata al petrolio e di cui il resto d’Italia sa poco. È
la Basilicata, che fornisce a questa nazione circa il 7 per cento
del suo fabbisogno nazionale. Tutti i problemi elencati sopra sono realtà in
Basilicata: sorgenti e laghi con acqua destinate al consumo umano inquinate da
idrocarburi, declino dell’agricoltura, del turismo, petrolio finanche nel
miele, aumento di malattie, mancanza di lavoro, smaltimento illegale di
materiali tossici, anche nei campi agricoli. E cosa ha guadagnato la Basilicata
da tutto ciò? Un dato per tutti: secondo
l’Istat, la Basilicata è la regione più povera d’Italia. Era la più
povera prima che arrivassero i petrolieri con le loro vuote promesse di
ricchezza, lo è ancora oggi.
Invece che fare buchi, e voler succhiare petrolio fino allo stremo, non
sarebbe meglio coprire tutti i tetti d’Italia con un pannello fotovoltaico?
* Fisica
Articolo
ripreso da http://comune-info.net/2016/03/i-motivi-per-non-trivellare/
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