31 marzo 2016

L' INTERVISTA INEDITA DI PRIMO LEVI


Diventa libro una lunga intervista a Primo Levi registrata poche settimane prima del suicidio e finora inedita.


Maurizio Crosetti

Quei nastri registrati nascosti per trent’anni


Arriva tra noi all’improvviso un libro molto importante e necessario. Una voce, quella inconfondibile di Primo Levi, così mite e tormentata, gentile e dolente, ritorna dopo quasi trent’anni come se fosse ieri in questo Io che vi parlo (Einaudi).

Una voce che Giovanni Tesio, tra i nostri maggiori italianisti e biografo ufficiale di Levi, nonché suo amico e lettore privilegiato, aveva registrato su cassetta poche settimane prima del suicidio dello scrittore, in vista di una biografia autorizzata. Tre incontri discreti e profondi, per un futuro che non ci sarebbe stato. Trent’anni è lo spazio enorme di un rispetto e di un’attesa: rispetto verso la famiglia di Levi, che dopo la sua morte avrebbe potuto essere ferita da queste confidenze, e attesa che il tempo fosse pronto ad accoglierne di nuovo la voce.

Ed eccola, dunque, inconfondibile, potentissima come il tuono e leggera come un soffio. Se ne sente la grana e la cadenza, in certi momenti è come sporgersi sull’abisso: quando Primo Levi racconta, per la prima volta, le ferite della giovinezza, la timidezza quasi patologica verso le donne, i segni di diversità avvertiti sulla propria pelle di ebreo ben prima e forse addirittura ben oltre Auschwitz, l’innamoramento (platonico) per la compagna partigiana poi andata in gas. E, ancora e sopra ogni cosa, quel senso di colpa profondissimo, ineliminabile: la colpa di essere vivo, l’identico tormento che innerva il testo forse più importante di Levi, I sommersi e i salvati.

Qui, parlando con Tesio, il grande scrittore si ferma prima della Shoah. Narra gli anni di lui bambino, quella bizzarra famiglia da Sistema periodico, e poi la scuola, i giochi, le infinite avventure in montagna per “assaggiare la carne dell’orso”. Si potrebbe dire, un Levi prima di Levi che però lo contiene già tutto e ne illumina ogni spiegazione.

Fa tenerezza la fragilità di Levi quando chiede all’amico di non andare oltre, o di spegnere il magnetofono per una confidenza più profonda. Oppure, quando si ferma sul confine delle cose di cui è bene non dare conto, perché un autore è fatto anche di silenzio. Infine, è commovente sapere che queste parole sono state le ultime pronunciate da Levi prima del buio. E bisogna ringraziare Giovanni Tesio per come ha custodito negli anni questo dono e per come ce lo porge, adesso che il tempo è compiuto.


La Repubblica – 30 marzo 2016

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