Diventa libro una
lunga intervista a Primo Levi registrata poche settimane prima del
suicidio e finora inedita.
Maurizio Crosetti
Quei nastri registrati
nascosti per trent’anni
Arriva tra noi all’improvviso un libro molto importante e necessario. Una voce, quella inconfondibile di Primo Levi, così mite e tormentata, gentile e dolente, ritorna dopo quasi trent’anni come se fosse ieri in questo Io che vi parlo (Einaudi).
Una voce che Giovanni
Tesio, tra i nostri maggiori italianisti e biografo ufficiale di
Levi, nonché suo amico e lettore privilegiato, aveva registrato su
cassetta poche settimane prima del suicidio dello scrittore, in vista
di una biografia autorizzata. Tre incontri discreti e profondi, per
un futuro che non ci sarebbe stato. Trent’anni è lo spazio enorme
di un rispetto e di un’attesa: rispetto verso la famiglia di Levi,
che dopo la sua morte avrebbe potuto essere ferita da queste
confidenze, e attesa che il tempo fosse pronto ad accoglierne di
nuovo la voce.
Ed eccola, dunque,
inconfondibile, potentissima come il tuono e leggera come un soffio.
Se ne sente la grana e la cadenza, in certi momenti è come sporgersi
sull’abisso: quando Primo Levi racconta, per la prima volta, le
ferite della giovinezza, la timidezza quasi patologica verso le
donne, i segni di diversità avvertiti sulla propria pelle di ebreo
ben prima e forse addirittura ben oltre Auschwitz, l’innamoramento
(platonico) per la compagna partigiana poi andata in gas. E, ancora e
sopra ogni cosa, quel senso di colpa profondissimo, ineliminabile: la
colpa di essere vivo, l’identico tormento che innerva il testo
forse più importante di Levi, I sommersi e i salvati.
Qui, parlando con Tesio, il grande scrittore si ferma prima della Shoah. Narra gli anni di lui bambino, quella bizzarra famiglia da Sistema periodico, e poi la scuola, i giochi, le infinite avventure in montagna per “assaggiare la carne dell’orso”. Si potrebbe dire, un Levi prima di Levi che però lo contiene già tutto e ne illumina ogni spiegazione.
Fa tenerezza la fragilità
di Levi quando chiede all’amico di non andare oltre, o di spegnere
il magnetofono per una confidenza più profonda. Oppure, quando si
ferma sul confine delle cose di cui è bene non dare conto, perché
un autore è fatto anche di silenzio. Infine, è commovente sapere
che queste parole sono state le ultime pronunciate da Levi prima del
buio. E bisogna ringraziare Giovanni Tesio per come ha custodito
negli anni questo dono e per come ce lo porge, adesso che il tempo è
compiuto.
La Repubblica – 30
marzo 2016
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