Al museo egizio di
Torino, la rassegna «Il Nilo a Pompei» racconta l'importanza del
culto di Iside nel Mediterraneo a partire dai due grandi santuari
italiani l’Iseo di Benevento e il Tempio di Iside a Pompei.
Valentina Porcheddu
Iside, la dea
cosmopolita
Nell’alveo del Nilo è
impressa l’origine di un popolo splendente, che sulle acque del
grande fiume cullava vita e morte. «L’Egitto fu il dono del Nilo»,
scrisse Erodoto nel V secolo a.C. e non stupisce che gli antichi
egizi posero il fiume sotto la protezione di Api, dio dalla pelle
azzurra e fiori di loto svettanti sul capo. Degli influssi che la
terra d’Egitto ebbe nel pensiero e nell’arte del mondo
greco-romano, ci parla Il Nilo a Pompei. Visioni d’Egitto nel
mondo romano, rassegna promossa dalla Fondazione museo delle
antichità egizie di Torino con la soprintendenza Pompei e il Museo
archeologico nazionale di Napoli, prima tappa del progetto
Egitto-Pompei che proseguirà tra la primavera e l’autunno nelle
sedi campane. Visitabile fino al 4 settembre nel nuovo spazio
espositivo di seicento metri quadri al terzo piano del rinnovato
museo egizio, la mostra – a cura di Alessia Fassone, Christian
Greco e Federico Poole – illustra la diffusione della cultura
egizia nell’area del Mediterraneo, tema che potrebbe sembrare
nient’affatto originale ma che acquista valore per l’approccio
contrastivo adottato dai curatori, egittologi e non specialisti di
archeologia classica.
Un potere globale
Nel quadro di un museo dedicato alla civiltà dei faraoni, la prospettiva viene dunque rovesciata e sono le antichità romane di soggetto egizio a diventare esotiche. L’allestimento, ideato dall’architetto Lorenzo Greppi, non è particolarmente suggestivo ma ha il pregio di disporre le opere in un percorso senza fronzoli, che esalta l’estetica dei trecento oggetti – provenienti da venti musei italiani e stranieri – nella loro semplice e pregnante bellezza. È il Nilo ad accogliere da subito il pubblico, che si ritrova a navigarci sopra calpestando un pavimento «cartografato». Anche la parete sinistra del corridoio d’ingresso alle sale si trasforma, grazie a una video proiezione, in riva accarezzata dal vento. Sulla stessa «sponda» si distingue una targa in memoria di Khaled Al-Asaad, storico direttore del sito archeologico di Palmira e d’ora in poi custode delle esposizioni temporanee che si avvicenderanno al museo egizio, per ricordare che alla barbarie dell’Isis si risponde coltivando il sapere e l’incanto.
Dalla greca Alessandria a
Pozzuoli passando per l’isola di Delo, le Visioni d’Egitto si
articolano in nove sezioni, sullo sfondo di un mar Mediterraneo già
globalizzato in cui transitavano uomini, merci e dèi. Il
cammino di Osiride collega inoltre le collezioni permanenti alla
mostra, incentrata sul culto di Iside. Secondo la narrazione del mito
nei Moraliadi Plutarco, fu lei a ricomporre le membra del
consorte Osiride, fatto a pezzi e gettato nel Nilo dal fratello Seth
per la contesa del trono. Emblema della trasmissione del potere
regale durante la monarchia dei faraoni e detentrice di prerogative
salvifiche, al tempo dei sovrani Tolomei Iside divenne una dea
cosmopolita, il cui potere magico finì per prevalere sul resto.
Ricostruzioni immersive
Venerata in tutto il Mediterraneo orientale, entrò nel pantheon di Roma in epoca repubblicana, attraendo adepti di tutti gli strati sociali e assumendo quella connotazione misterica che Apuleio eternerà nell’Asino d’oro con l’iniziazione di Lucio. Numerose statuette esposte a Torino, alle quali si accompagnano le rappresentazioni di Horus, Api, Arpocrate, Bes e Serapide, riflettono questa doppia natura, egizia e greco-romana. Ma a immergere il visitatore nel fascinoso mondo dei culti orientali è soprattutto la ricostruzione delle ambientazioni di due importanti santuari, l’Iseo di Benevento e il Tempio di Iside a Pompei. Del primo – conosciuto solo attraverso fonti epigrafiche – viene presentato l’arredo scultoreo in stile faraonico, nel quale spicca una statua in diorite dell’imperatore Domiziano che indossa il nemes (copricapo del faraone) con il serpente ureo sulla fronte e il gonnellino schendyt. Più ricco il contesto pompeiano, di cui viene proposta una serie di splendidi affreschi con scene di culto che hanno per protagonisti – assieme a sacerdoti officianti – Arpocrate e Anubi, l’unico degli dèi a testa animale dell’antica religione faraonica a esser recepito fuori dall’Egitto.
Capolavoro pittorico
capace di rapire lo sguardo per la raffinatezza dei tratti è un
affresco che adornava il cosiddetto ekklesiasterion, l’ampia
sala dell’Iseo pompeiano destinata a banchetti e riunioni. Il
dipinto mostra l’arrivo di Io – la fanciulla mutata in giovenca
da Era per aver avuto una relazione amorosa con Zeus – portata in
spalla dalla personificazione del Nilo (o, secondo una recente
interpretazione, del Mediterraneo) a Canopo, nel delta nilotico,
accolta dalla Iside locale. In secondo piano, due sacerdoti agitano
sistri, strumenti musicali sacri alla dea.
Il tempio di Iside fu uno
dei primi monumenti di Pompei – era il 1764 – a essere scoperto.
Lo spoglio della decorazione parietale suscitò l’immediata
disapprovazione di William Hamilton, ambasciatore inglese presso la
corte napoletana. A provocare sconcerto presso i contemporanei fu
anche il rinvenimento, fuori dal tempio, dei resti di sacerdoti
fuggiaschi che, abbandonando il santuario, diedero prova della
decadenza in cui gettava la pratica dei culti orientali. Malgrado
ciò, nel XIX secolo il tempio di Iside continuò a sedurre artisti e
scrittori, e trovò posto nel celebre romanzo di Bulwer-Lytton The
Last Days of Pompeii (1834).
Arpocrate, il dio del segreto iniziatico
Lusso orientale
È ancora il principale sito campano sepolto dall’eruzione del 79 d.C., a svelare a Torino le storie emerse dai lapilli. Nella seconda parte dell’esposizione, dal titolo Il Nilo in Giardino, vengono offerti sia i favolosi affreschi della Casa del Bracciale d’oro, il cui orizzonte blu-egizio libera uccellini, maschere teatrali e faraoni mignons, sia una serie di aegyptiaca e statuette di marmo dalla casa di Octavius Quartio. A quest’ultimo gruppo appartiene una piccola sfinge maschile, la quale – sulla base di altri elementi d’ispirazione egizia rinvenuti nella domus – ha fatto credere ad alcuni studiosi che il proprietario fosse devoto a Iside o affetto da egittomania. In realtà, come scrive Eva Mol nel bel catalogo edito da Franco Cosimo Panini, «quello che colpisce soprattutto della cultura materiale di tipo egiziano presente nella decorazione dei giardini è (…) l’importanza del suo ruolo all’interno delle complesse dinamiche dell’ostentazione del lusso e dell’esibizione dello status sociale all’interno della casa romana».
Sempre nel catalogo, un
interessante saggio di Valentino Gasparini sul culto di Iside nelle
dimore di Pompei e Ercolano, dà luce alle raffigurazioni di Iside
kourotrophos o lactans, associate in una curiosa vetrina a
una Madonna allattante il bambino del XV secolo. La rassegna – che
si avvale anche della collaborazione dell’Istituto Ibam di Catania
per le animazioni in 3d – si chiude con un focus sul sito
piemontese di Industria, importante snodo commerciale dell’Italia
del Nord noto per le officine di lavorazione del bronzo. Qui sono
stati rinvenuti alcuni bronzetti che rappresentano dèi del pantheon
egizio. Magnifica, di questo corredo, l’applique con testa di
sacerdote cinta da turbante. Il Nilo fa dunque un lungo periplo,
nello spazio e nel tempo, e si direbbe che non smetta di alimentare
quell’immaginario che fu dei poeti e dei filosofi greci così come
dei cittadini del multietnico impero romano. Potesse nuovamente unire
le due sponde mediterranee un fiume benevolo, assieme a divinità
scevre di guerre.
Il manifesto – 11 marzo
2016
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