25 ottobre 2016

GABRIEL GARCIA MARQUEZ A PANTELLERIA




Garcia Marquez
l'estate a Pantelleria che ispirò lo scrittore

di Mario Di Caro



Fu un´estate di sole tenace «che s´infilava a coltellate», di «mare liscio e diafano», di rocce vulcaniche e «arbusti di capperi». Fu "L´estate felice" di García Márquez a Pantelleria: era il luglio del 1969, due anni dopo l´uscita di "Cent´anni di solitudine", quando lo scrittore colombiano venne in vacanza in Sicilia, ospite del suo traduttore Enrico Cicogna. L´isola nera, con la sua «pianura solare di rocce», col suo «sole fermo nel cielo» e col suo «mare eterno» dovette colpire parecchio l´immaginario di Márquez, dato che qualche anno dopo, nel 1976, Pantelleria e le persone conosciute durante quella vacanza divennero rispettivamente sfondo e protagonisti de "L´estate felice della signora Forbes", uno dei "Dodici racconti raminghi", pubblicato nel ´92.

E così i suoi Caraibi, la sua magica Macondo, si trasfigurarono nel paesaggio lunare di questo estremo lembo d´Europa, dal quale il futuro premio Nobel scorgeva «le croci luminose dei fari d´Africa», mentre l´immaginario delle sue matriarche centenarie e delle sue Remedios diede corpo a una cuoca affabulatrice e a un coro di prefiche da funerale. Furono giorni di grandi nuotate e abbuffate di pesce, di bevute di passito e di pesca subacquea, come testimonia Paolo Ponzo, l´ex dipendente Telecom e pescatore per passione rintracciato da Angelo Valenza per "Pantelleria Internet". Ponzo, che in quell´estate del ´69 aveva vent´anni, era un ragazzo che «passava più tempo nei fondali marini che sulla terra ferma» e che, molti anni dopo, all´apparire dei "Dodici racconti" si ritrovò raffigurato nel personaggio di Oreste.

Svelto di coltello e agile sott´acqua, Oreste è l´indigeno che cattura la splendida murena di sette chili appesa sulla porta della casa dei due ragazzi protagonisti e che dà l´avvio al racconto.

Sono passati quarant´anni e il signor Ponzo ha ricordi sfumati di quel luglio torrido, ma è in grado di ricollegare tutti i passaggi del racconto a episodi realmente accaduti durante quel mese vissuto con «lo scrittore». Ne viene fuori un inedito ritratto siciliano di García Márquez, il cui nome si aggiunge di diritto alla lista di personalità celebri che ogni estate affollano «l´isola dei famosi».

«So di essere stato fortunato a fare quest´incontro ma mi rimane il rammarico di non conservare neanche una foto con Márquez - attacca Ponzo, raggiunto telefonicamente a Pantelleria - Io ero amico di Cicogna, che da sette-otto anni veniva d´estate a Pantelleria con altri ospiti e durante quel periodo si andava a mare assieme con una barchetta a motore. Quell´anno il suo ospite era García Márquez con la sua famiglia. Solo quando vinse il premio Nobel mi resi conto con chi ebbi a che fare».

La figura di Ponzo, descritto come una sorta di semidio marino, non sarà passata indifferente agli occhi di Márquez. «Di certo il personaggio di Fulvia Flaminea, la cuoca che insegna venti e dialetto ai due ragazzi, è ispirato a mia madre - racconta Paolo - e la murena descritta nel racconto l´ho pescata io e per fare uno scherzo l´appesi sulla porta di casa: i due figli di Márquez rimasero sorpresi e lui poi sviluppò il racconto dall´ottica dei due ragazzi, partendo proprio da quel dettaglio».

García Márquez immagazzinò atmosfere e suggestioni di quello scorcio di Sicilia, con la capacità mnemonica tipica dello scrittore. "Gabo" stava a Punta Tre Pietre, un posto dal quale, come conferma Ponzo, la sera, in condizioni climatiche particolarmente favorevoli, si possono effettivamente scorgere le luci dell´Africa. Fu lì, sempre secondo la testimonianza di Ponzo, che Márquez assistette, da spettatore televisivo, allo sbarco sulla luna di Neil Armstrong e compagni. E ancora: la «gora fumante» nella quale i protagonisti fanno il bagno, «le cui acque erano così dense che vi si poteva quasi camminare sopra» è la grotta di Sateria, specchio di acque termali che ne fanno una tappa obbligata di Pantelleria e dove Ponzo condusse la comitiva italo-sudamericana.
Racconto e ricordi combaciano in altri riferimenti panteschi, come le anfore greche restituite dal mare, gravide di un vino velenoso che nella trama si rivelerà risolutivo, e i residui bellici sui fondali. «Il racconto parla di siluri gialli - dice Ponzo - Magari erano proiettili di mitragliatrice o di cannone e lui avrà romanzato, ma lì, a Punta Tre Pietre, c´è una zona militare e comunque i residui bellici dell´ultima guerra a Pantelleria ci sono sempre stati. E poi gli avevamo raccontato che nella secca di Nikà stazionava un siluro»
Le giornate siciliane di García Márquez trascorrevano tra gite in barca, bagni e pesca subacquea (lo scrittore preferiva nuotare e tutt´al più si limitava all´apnea anziché usare le bombole), robuste cene a base di pesce e un bicchiere dell´immancabile passito di Pantelleria. Tutto il resto lo facevano il mare, il sole e i compagni di quella vacanza. «Per un anno intero avevamo atteso con ansia quell´estate libera sull´isola di Pantelleria - si legge nel racconto - Ricordo ancora come un sogno la pianura solare di rocce vulcaniche, il mare eterno, la casa dipinta di calce viva fino ai gradini di ingresso».

Chissà quanto saranno sembrati familiari i colori siciliani a uno scrittore dalle tinte forti che ha reso magiche la case di argilla e i patriarchi decrepiti. Sembra di vederli quegli occhi avidi che catturano il nero delle rocce, il biancore della luce, il blu intenso del mare. L´idea della Sicilia che viene fuori è quella di un luogo remoto sospeso nel mito, nel quale, per fortuna dei due ragazzi e dei loro progetti vendicativi, non esiste la ghigliottina. Un luogo abitato da una donna che ha il fascino della sapienza popolare, la signora Fulvia, una che cucina con gioia e che è capace di fare ascoltare il respiro lamentoso dei venti che soffiavano da Tunisi.

E la murena che insaporisce di Sicilia il racconto sin dalle prime righe? «Era una domenica e sulle prime la famiglia Márquez non volle mangiarla perché, dissero, per loro i serpenti sono animali sacri - ricorda Paolo Ponzo - La gustarono il giorno dopo, però». Le memoria di Ponzo si sforza di riportare alla luce altri dettagli, confusi tra i Bruno Lauzi e le Annie Girardot che si incrociarono a Pantelleria in quello stesso periodo, così come oggi succede con Armani, Zingaretti, Capello e tanti altri: riemerge così la mezza disavventura del giovane colombiano che faceva da baby sitter ai due figli di Márquez, e che si lasciò trascinare in un bagno pur non sapendo nuotare rischiando così di annegare. «L´unica cosa che si sente è il mare», scrive il Nobel sulle ali di quella suggestione colorata d´azzurro che dovette restargli dentro a lungo.

«Non mi potevo certo aspettare di diventare protagonista di un racconto - conclude Ponzo - Quando uscì il libro un amico mi disse: "Oreste sei tu". Rimasi molto sorpreso. Avrei voluto scrivere a Márquez ma non l´ho mai fatto». Anche la descrizione finale del racconto, quando viene scoperto il cadavere della signora Forbes, odora di Sicilia in modo profondo: «Nel salotto le donne del vicinato pregavano in dialetto sedute sulle seggiole che erano state disposte contro la parete».

Ce ne sarebbe abbastanza per una cittadinanza onoraria di García Márquez che metterebbe in ombra la folla estiva di stilisti, attori e allenatori che in qualche modo ha legato il proprio nome a Pantelleria.

Ma spulciando i "Dodici racconti" c´è un´altra traccia siciliana che porta dritto a Palermo, alle catacombe dei Cappuccini. Lì, l´allora allievo del Centro sperimentale di cinematografia di Roma (siamo negli anni Cinquanta e il successo è ancora lontano) si reca assieme a un gruppo di amici per vedere da vicino le celebri mummie. È il racconto de "La santa", storia surreale di un compaesano dello scrittore roso dalla furia di beatificare la figlioletta morta, il cui cadavere si mantiene miracolosamente intatto nella macabra scatola che si porta appresso. L´uomo cerca un contatto col Vaticano per il sospirato visto di santità, vuole mostrare ai prelati il piccolo miracolo di quel corpicino ancora perfetto. Ma a un certo punto, in quella piccola comunità di latinoamericani trapiantata a Roma, si diffonde la notizia che «nella città di Palermo c´era un enorme museo con i cadaveri incorrotti di uomini, donne e bambini». L´ombra misteriosa di quell´angolo di Sicilia irrompe con il peso di un possibile deus ex machina. Il gruppo di amici parte così per Palermo ma il padre della "santa" resta deluso: «Gli bastò un´occhiata veloce alle cupe gallerie per farsene un´idea e consolarsi». Le mummie dei Cappuccini, secondo il padre affranto, erano tutt´altra cosa, testimoni di morte e nulla di più.

(LA REPUBBLICA, PALERMO 31 marzo 2008)

Nessun commento:

Posta un commento