24 marzo 2017

GOFFREDO FOFI STRANIERO IN ITALIA



Goffredo Fofi è nato a Gubbio nel 1937. Il 15 aprile compirà 80 anni. Fra le testate che ha creato e diretto: i «Quaderni Piacentini», «Ombre rosse», «Linea d’ombra» e «Lo Straniero»



Goffredo Fofi: “Non rinuncio ad essere uno Straniero in Italia”

Una vita di letture, scoperte e riviste militanti tra la “regina” Morante, i bambini di Dolci, Bilenchi

Intervista a cura di mirella serri

«José Saramago, che gran signore! Elegantissimo, raffinato e molto di sinistra. E lo dichiarava senza mezzi termini: quando il premio Nobel portoghese intervenne a una pubblica manifestazione a Roma volle che ci fossi io a dialogare con lui, desiderava un interlocutore politicamente affine. Elsa Morante è stata un grande amore, il nostro è stato un rapporto caratterizzato da un intenso coinvolgimento non solo emotivo e culturale ma pure molto fisico ed erotico»: fluiscono come un fiume i ricordi di Goffredo Fofi, critico teatrale, cinematografico e letterario nonché maître à penser del nostro tempo (ma guai a definirlo così! non ama nemmeno essere chiamato intellettuale).  

Al centro della memoria del saggista vi sono i suoi privilegiati e intensi rapporti con i grandi della letteratura, da Yehoshua a Salman Rushdie, da Kurt Vonnegut a Derek Walcott per arrivare a Roberto Saviano, Antonio Scurati, Nicola Lagioia e Elena Ferrante. Queste e tante altre celebrità hanno dato il loro contributo alle numerose e storiche testate create e dirette da Fofi come i Quaderni Piacentini, Ombre rosse, Linea d’ombra e Lo Straniero. Adesso quest’ultima pubblicazione chiude i battenti e la sua avventura politica e artistica la possiamo ripercorrere nella mostra «Resistere all’aria del tempo.Venti anni de Lo Straniero» (testi letterari e 200 splendide copertine sono esposti nella rassegna realizzata presso la Biblioteca Centrale nazionale di Roma a cura di Alessandra Mauro e Alessandro Leogrande con Contrasto). 

Fofi, gli autori che hanno scritto per i suoi periodici sono stati dunque anche le presenze più assidue della sua vita?  

«In alcuni casi certamente: per tornare alla Morante è stata per me un punto di riferimento, la chiamavo la Regina: era sicura di sé e consapevole delle sue capacità. Non si tirava mai indietro quando c’erano discussioni e polemiche. Anna Maria Ortese, al contrario, era spaventata e sempre sulla difensiva. Aveva alcune debolezze molto commoventi e molto femminili: “Goffredo tu non mi vuoi bene”, mi disse una volta. “Di Elsa hai scritto che era una bella donna e di me non lo hai mai detto”».  

Lei è stato anche maestro, assistente sociale e ha spesso scelto come suoi interlocutori i movimenti giovanili. Ne ha ricavato molte soddisfazioni?  

«Grazie ai ventenni a volte il discorso culturale è diventato vivo e incisivo. Ai giovani va il merito in alcuni casi di saper coniugare pensiero e azione. Tra le doti che mi riconosco c’è una grande curiosità e il desiderio di partecipare. Ero ancora un ragazzo quando sono salito su un treno per andare in Sicilia e dare il mio contributo alla comunità di Danilo Dolci insegnando ai bambini. Poi mi sono trasferito a Torino dove una delle esperienze più travolgenti è stata la collaborazione con Ada Gobetti al Centro dedicato alla memoria di Piero. Mi sentivo a mio agio in quel contesto segnato da un’impronta etica e morale molto forte». 

Centrale è sempre stato per lei il rapporto tra espressione artistica e realtà. A quali romanzieri e poeti vanno le sue preferenze?  

«A Svetlana Alexievich che sembra quasi un personaggio di un romanzo di Tolstoj, molto semplice, animata da un fuoco interno e da un interesse fortissimo per chi soffre. Carmelo Bene quando lo conobbi mi conquistò come una persona veramente speciale: in privato era dolcissimo e per nulla intollerante e aggressivo come appariva in pubblico. Celava però un’ombra di diffidenza. Ti accettava solo quando aveva capito che di te si poteva fidare. Pier Paolo Pasolini era affabile, cortese (a volte persino troppo) e generoso. Quando seppe che Linea d’ombra era in difficoltà mi offrì un contributo che rifiutai per non trovarmi in un conflitto d’interessi: lui era un regista e io un critico cinematografico. Nonostante la grande disponibilità, Pasolini manteneva una specie di distanza tra sé e gli altri, che superava solo con il suo ristretto gruppo di intimi, di cui facevano parte, oltre la nipote Graziella Chiarcossi, Alberto Moravia ed Enzo e Flaminia Siciliano».  

A lungo è stato detto che fosse lei l’autore dei romanzi firmati con lo pseudonimo Elena Ferrante. Lusingato?  

«Lo hanno detto anche di altri. Io ho fatto da mediatore tra la casa editrice e/o che pubblica la Ferrante e Mario Martone quando voleva trarre un film da L’amore molesto. Ma ho sempre sospettato che dietro il nome de plume si nascondesse Anita Raja e che i suoi romanzi fossero anche il frutto di una collaborazione con suo marito, Domenico Starnone. Ne riconosco lo stile. La Ferrante però ha una sua profonda autonomia e scrive spinta da un’esigenza affettiva caratterizzata da un notevole super io». 

I libri della sua formazione? 

«Mio padre era un operaio emigrato, leggeva l’Avanti! e la Gazzetta dello Sport. Fin da piccolo sono stato avido di giornali e fumetti e poi sono arrivati i Fratelli Karamazov di Dostoevskij che mette in scena mirabilmente la complessità dell’animo umano e le opere di Carlo Levi che mi hanno fatto capire la vita dei contadini del sud. Ma le mie letture spaziavano in tanti settori, da Schopenhauer a Roberto Longhi ai narratori italiani come Romano Bilenchi, Italo Calvino e Paola Masino».  

«Lo Straniero» lascia un vuoto nella nostra cultura e anche nella sua esistenza? Cosa farà?  

«Mi dedicherò al mensile Gli asini. In queste pagine redatte da scrittori dai 25 ai 35 anni si parla di grandi banche ma anche dei nuovi movimenti studenteschi attivati dalla presidenza di Trump. Ci siamo anche assunti l’incarico di indicare quel poco di buono e di accettabile che c’è nella nostra folle editoria che sforna ben 18 mila romanzi ogni anno. La cultura deve assumersi le sue responsabilità ed essere non solo qualcosa di digestivo e di consolatorio».  

L’epigrafe che accompagna la mostra dedicata a «Lo Straniero» è tratta dal Congedo del viaggiatore cerimonioso di Giorgio Caproni: «Ma, cos’importa. Sia/ come sia, torno/ a dirvi, di cuore, grazie/ per l’ottima compagnia». Ma Fofi, gran viaggiatore con bastone, eskimo e barba bianca, non rinuncia alle sue esplorazioni: il sottotitolo di questa sua ultima rivista è «Dentro un mondo nuovo».  

Da LA STAMPA  24/03/2017

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