29 marzo 2017

SCOPERTO L'IGNOTO MARINAIO DI ANTONELLO


Intorno 1476 Antonello da Messina dipinse uno straordinario ritratto di uomo, da allora definito “l'ignoto marinaio”. Oggi una nuova ricerca storica chiarisce il mistero: si tratterebbe di un vescovo vicino agli aragonesi.

Tano Gullo

Ecco chi è l’Ignoto marinaio di Antonello

Il secondo sorriso più famoso al mondo, dopo quello della Gioconda, non è di un marinaio di Lipari, come si pensava. Ora ci sono le prove che confermano i dubbi che storici dell’arte come Roberto Longhi avevano insinuato nel secolo scorso.

Un sigillo sul retro della preziosa tavola di noce intrisa di smalto, pigmento e olio di lino, conservata al museo Mandralisca di Cefalù, svela il mistero e apre una pista che porta dritta all’identità dell’ignoto protagonista del capolavoro di Antonello da Messina.

Altro che navigante, l’enigmatica espressione appartiene a un potente vescovo-ambasciatore, precettore di Ferdinando II d’Aragona, re di Spagna e di Sicilia, quello che con la moglie Isabella di Castiglia finanziò l’impresa di Colombo.

Il suo nome è Francesco Vitale, di origini pugliesi, che resse la diocesi di Cefalù dal 1484 fino alla sua morte avvenuta nel 1492. La clamorosa scoperta è dovuta a tre studiosi: Sandro Varzi, conservatore del museo Mandralisca, il figlio Salvatore, esperto di araldica, e Alessandro Dell’Aira, scrittore. Il percorso per svelare l’identità del personaggio sarà raccontato in un libro, Sfidando l’Ignoto, pubblicato nelle edizioni Torri del Vento.

Tutto ha inizio quando Sandro Varzi, nel fotografare e ripulire l’opera, in partenza per l’Expo di Milano, nota un sigillo a cui nessuno fino ad allora aveva fatto caso. «Il sigillo che mostrava gli emblemi vescovili – dice Varzi – ci ha indotto a cercare nell’albero genealogico della famiglia Pirajno, che possedeva l’opera, dove però non c’era nessun presule. Ma cerca che cerca ci siamo imbattuti in Giuseppe Pirajno, che era stato vicario di ben tre vescovi di Cefalù e che, in assenza dei titolari, a metà Settecento, aveva esercitato per parecchi anni un grande potere nella curia, tanto da ottenere la potestà di utilizzare lo stemma episcopale.

Il sigillo sul quadro è riferibile all’incirca al 1738. Un analogo sigillo chiude il testamento del vicario stesso. Quindi c’è la prova che l’opera era stata acquisita nel patrimonio dei Mandralisca ben prima che il barone Pirajno (1809-1864), quello raccontato da Consolo, facesse la spola con Lipari, l’isola natia della moglie, dove avrebbe trovato l’opera». Tutto questo accadeva almeno un secolo e mezzo prima che a qualcuno venisse in mente di attribuire il sorriso a un marinaio.

Ma perché il rivoluzionario barone Mandralisca, esaltato poi da Vincenzo Consolo nel suo capolavoro Il sorriso dell’ignoto marinaio come eroe risorgimentale, non ha mai smentito la favola della figlia dello speziale eoliano che in un impeto di rabbia aveva sfregiato il quadro dell’uomo che la rifiutava?

Un altro enigma nel misterioso contesto. Con la documentazione della vera identità chiudiamo il capitolo sul marinaio e apriamo quello relativo a Francesco Vitale. La sua vita è stata una grande avventura culturale, politica ed ecclesiastica. Laureato alla Sorbona di Parigi, trascorse anni alla corte aragonese dove educò alle lettere il piccolo Ferdinando. Poi, da ambasciatore compì delicate missioni per conto del monarca e infine fu vescovo di Siracusa e Cefalù, dove morì nel 1492.

Probabilmente Vitale conobbe Antonello a Venezia, dove il pittore era all’opera intorno al 1476. Ovviamente il vescovo portò con sé il ritratto. Bisogna considerare che solo personaggi facoltosi potevano permettersi un quadro del messinese. Altro che marinaio. Individuato il protagonista, i tre autori dell’indagine si mettono al lavoro per trovare altri elementi per convalidare la loro ipotesi. Scoprono delle tracce utili in sette medaglie rinascimentali dedicati al Vitale, in disegni d’epoca in cui ritrovano le fogge del vestito dell’ignoto, e in un incunabolo in cui c’è la prova che Vitale morì a Cefalù.

«Quest’ultimo dettaglio è importante perché prova che i suoi beni restarono nell’archivio storico della diocesi siciliana – dice Varzi – Tra tutti gli indizi che abbiamo trovato, c’è un quadro che raffigura Ferdinando addobbato come il protagonista del ritratto. E Vitale era certo autorizzato ad abbigliarsi con i preziosi vestiti in uso dal re. Consideriamo questa una delle prove più evidenti che ci ha aiutato a svelare l’enigma».

Che il quadro fosse di Antonello non ci sono mai stati dubbi, almeno da quando nel 1860 Giovan Battista Cavalvaselle fece una perizia sulla tavola. In quella circostanza fece dei disegni di suo pugno. «Utili – dice Salvatore Varzi – per ricostruire i restauri e gli interventi fatti sul quadro. Questi preziosi bozzetti oggi sono conservati alla Biblioteca Marciana di Venezia. Nella sua relazione e nello scambio epistolare col barone nessun accenno alla provenienza e all’identità del ritratto.

Come abbia preso il volo la storia del marinaio resta inspiegabile». «E dire – conclude Dell’Aira – che già negli anni Trenta, Giovanni Cavallaro, giornalista de L’Ora, aveva scritto che, per l’abbigliamento, doveva per forza trattarsi di un uomo di alto rango. Ma gli storici guardavano in modo miope alla favola preconfezionata chissà da chi». Potenza della suggestione.

la Repubblica - 27 marzo 2017

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