15 novembre 2017

FUTURISMO E MODA


Un gilet disegnato da Depero nel 1924


Panciotti festosi, donne tendaggio e qualche follia 

Giovanni Nuvoletti

 
Futurismo, miccia di tutte le avanguardie: come tale va considerato a posteriori. L’estensione oggi raggiunta dal contenuto di «cultura», fino a comprendervi anche il volatile termine di «moda» ci impegna a considerare le proposte sul «vestito futurista» nella giusta prospettiva delle date. La «provocazione», inseparabile dall’avanguardia, perderà molto della sua arbitrarietà ricordando la rigidità, i rigori, il paludato degli imponimenti, imbottimenti, rigonfi inseparabili dall’orpello conformista del funeralizio vestimento corrente nel primo decennio del secolo ancora segnato dai ceti che, esaurito il loro ciclo storico, tuttavia ne dominavano il costume.
Basterebbe ricordare il sulfureo barricadiero Mussolini in ghette bianche su scarpe di vernice, pantaloni a righe sotto il giacchettone nero, il collo duro sotto la bombetta. Quello stesso chapeau melon oggetto tanti anni dopo di frizzi e cachinni di noi studenti catoncelli stercorari, impegnati a ribaltarlo dalle teste fierissime di Marinetti e compagni.
A modo loro, e piuttosto ingenuamente, sotto intenti artistici e culturali, i futuristi contribuirono a svecchiare, come in tanti e più cospicui settori, anche un vestimento ormai irrigidito e del tutto superato dallo spirito e dalle esigenze del tempo in arrivo.
Sul piano pratico ed estetico quest’indispensabile liberazione dell’abito (maschile) veniva attuata dall’intuizione dei geniali sarti italiani, il grandissimo Domenico Caraceni in testa.
La moda futurista è un’avanguardia ovviamente anticipatrice che forse non intende proprio trasferirsi tal quale nel vissuto quanto piuttosto provocare un costume «inamidato» davvero inadeguato al clima dinamico se non addirittura violento ormai aleggiante. Nell’aria sono vivi gli annunci di un tempo meccanico, velocistico, febbrile. Ed ecco nel fatale 1914 il Manifesto sul vestito antineutrale, corredato da figurini e modelli di Giacomo Balla. Taglio asimmetrico e colori violenti, possibilità di sùbite varianti secondo situazioni e umori, con «modificanti guerreschi o festosi» applicabili con «bottoni pneumatici» (sic), cravatte dalle «compenetrazioni iridescenti» animate da lampadine elettriche.
«Al di là della strumentalizzazione marinettiana in senso nazionalista e bellicistico, gli interventi balliani nel settore abbigliamento si confermano non semplici intenzioni di rinnovamento di un artista bizzarro, ma logici tasselli dell'opera totalizzante di modifica e ridefinizione del panorama sociale e urbano cui Balla con Depero sono attentissimi dando voce a una motivazione principale del Futurismo». Cosi si legge nel catalogo esemplare della Mostra di Pistoia su questi temi, dal quale abbiamo attinto. Dall’incontro dei due «grandi» Balla e Depero, sempre sotto l’egida marinettiana, intorno al 1914 uscirà il Manifesto della Ricostruzione futurista dell’Universo in cui si teorizza la ricreazione della realtà in maniera totale e autonoma; e dunque anche un’umanità rivestita futuristicamente.
Nell’esaltazione feticistica del macchinismo si invade enfaticamente il campo teatrale e con «vestiti ad apparizione» quasi clowneschi che automatizzano l’attore, balenano addirittura anticipazioni della Metropolis di Fritz Lang (1927). Nel 1933 Guglielmo Jannelli potrà rivendicare alle anticipazioni di Balla misconosciute o derise vent’anni prima «il fantastico intrecciarsi di sagome e colori ancor oggi il non plus ultra della novità e dell’eleganza».
Già nel 1913 il maestro avevi compiuto studi di stoffe con motivi di «linee forza e di compenetrazioni dinamiche» così come studi di giacche asimmetriche cappelli, scarpe e soprattuttc panciotti «festosi e aggressivi»... e forse anche scomodissimi.
Così nel campo femminile una sarta geniale, Rosa Genoni, compie nobili tentativi di «moda nostra» in quel turbinio di penne, aigrettes, veli e velluti e seterie della donna tendaggio, e non sarà estranea alla comparsa (1910) della jupe entrove e della jupe culotte seguite dai tailleurs redingote e a giacca. Poirot, Chanel, Vionnet seguiranno!
Con la nascita a Torino (1919) dell’Ars Lenci, follia di una generazione, si potrà concludere una fusione della tradizione col Futurismo. Infine andrà ricordato che per Balla il vestito doveva essere «semplice e comodo, facile da mettere e togliere, che si presti a puntare il fucile, guadare i fiumi e lanciarsi a nuoto»: e almeno sul facile e comodo siamo d’accordo...
Tanta anche geniale seppur ingenua e provocativa esplosione di vitalità e di talento futuristi, che nel campo del vestimento si applica furiosamente con genialità premonitrice anche alla tuta, sotto l’empito anticipatore, sempre onesto e generoso, di un nuovo tempo e di una nuova umanità, doveva poi andare a spegnersi nella sempre più grigia burocratizzazione di quella che sarebbe dovuta essere con innegabile spinta innovativa la rivoluzione fascista ormai isterilita nel regime ducesco.
Marinetti, fedele a sé stesso per dovere di coerenza e totalmente disilluso, pagava in divisa militare con due altre guerre e la fine penosa l’orgoglio del suo «panache».

Da Futurismo a Venezia, Numero speciale di “Tuttolibri La Stampa”, 8 maggio 1986

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