12 novembre 2017

I. DEUTSCHER, un altro eretico marxista.



  Isaac Deutscher (1907 - 1967), l’occhio lucido di un eretico del marxismo 

Luciano Canfora

Nato in Galizia sotto gli Asburgo,
lo storico ebreo polacco,
biografo di Trotsky e di Stalin,
espulso dal Partito comunista polacco nel 1932,
moriva a Roma mezzo secolo fa.

Cinquant’anni fa, il 19 agosto 1967, moriva a Roma Isaac Deutscher (1907-1967). Egli ci appare sempre più, col passare degli anni, il più acuto studioso del comunismo novecentesco: a conferma che l’occhio dell’eretico (Deutscher era stato espulso dal Pc polacco nel 1932) è lucido, mentre quello del propagandista o dell’antagonista è opaco.
Il suo ultimo libro, L’ebreo non ebreo (Oxford 1968, in Italia Mondadori) apparve postumo a cura della moglie Tamara. Affrontava, all’indomani della guerra dei Sei giorni (giugno 1967), la questione palestinese. Egli spiegava, ad un uditorio israeliano, il suo punto di vista su quel tuttora implacato conflitto, con un apologo poi divenuto celebre. Paragonava gli ebrei costretti all’esodo dalle persecuzioni subite in Occidente (naziste e non) ad un uomo costretto a lanciarsi dalla propria casa in fiamme per salvarsi la vita e che, precipitando, fa molto male ad un passante (gli arabi palestinesi cacciati nel 1947-48). Tra i due scoppia una ostilità crescente mentre i colpevoli dei dolori di entrambi sono altri. E concludeva: «Un rapporto razionale tra israeliani e arabi sarebbe stato possibile se l’uomo lanciatosi dall’edificio in fiamme avesse tentato di stringere amicizia con l’innocente vittima del suo balzo». Il richiamo alla ragione dell’ebreo e internazionalista Deutscher non andrebbe dimenticato.
Il suo contributo alla conoscenza storica è soprattutto la trilogia biografica su Trotsky (1954), preceduta nel 1949 dalla polemica ma oggi quanto mai illuminante biografia di Stalin, edite da Longanesi. Longanesi pubblicò anche La rivoluzione incompiuta con prefazione di Vittorio Strada (1967). Mondadori aveva pubblicato nel 1954 La Russia dopo Stalin. E ancora Longanesi la splendida raccolta Ironie della storia (1972), mentre l’anno prima Laterza aveva pubblicato il frammento di biografia di Lenin. Intanto Einaudi diffondeva gli scritti di Deutscher sul conflitto russo-cinese.
Eretico è il termine più esatto per definire quest’uomo che nel 1963 avrebbe ottenuto l’insegnamento di Soviet Studies nella Università del Sussex, se non ci fosse stata la brutale opposizione di Isaiah Berlin, il quale definì Deutscher «L’uomo la cui presenza nella mia comunità universitaria troverei moralmente intollerabile» (episodio rievocato nella «New York Review of Books» del 19 dicembre 2013).
Deutscher, precoce poeta sedicenne su stampa yiddish polacca, militante nel Pc polacco dal 1927 al 1931, a lungo in Urss e lì criticato perché «allarmava i compagni» insistendo sul pericolo nazista, espulso nel 1932, imparò perfettamente l’inglese (emigrato a Londra dal 1939) fino a diventare uno dei più brillanti sovietologi inglesi. I suoi pezzi venivano spesso ripresi in Italia su «L’Espresso», con grande irritazione del Pci. Oggi sono tra i migliori scritti marxisti sull’Urss in un mondo di «mai stati comunisti». Proprio per la sua esperienza, Deutscher ebbe la reazione più critica quando apparve il celebrato Dio che ha fallito di Koestler, Gide, ecc. La sua recensione, accolta dal periodico newyorkese «The Reporter» nell’aprile del 1950 e tradotta in Italia da Armando Saitta col titolo Profilo dell’ex-comunista, è il testo che i molti transumanti da un dogmatismo ad un altro, se pur di segno opposto, potrebbero tuttora utilmente meditare.

Corriere della sera, 20 agosto 2017

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