Nello scorso giugno nel
corso della Milanesiana Claudio Magris lesse una lectio
magistralis al Piccolo Teatro Grassi. Il “Corriere” ne
pubblicò in anteprima la parte iniziale, che qui riprendo. Mi piace
rilevare nell'itinerario di Magris l'assenza di una tappa che io
considero importante, Dante, che soprattutto nel Paradiso, più di
una volta discorre (e fa discorrere Beatrice) del rapporto tra dubbio
e verità. Niente di male: nel lavoro intellettuale è del tutto
lecito scegliere di volta in volta maestri e interlocutori. Ma su
Dante, un tempo tanto citato, oggi ingiustamente sottovalutato o
almeno poco ricordato anche nelle scuole, prima o poi vorrei che si
tornasse a riflettere. (S.L.L.)
"Se si comincia a dubitare della propria moglie..."
Claudio Magris
Se si comincia a
dubitare della propria moglie, si dice in un racconto di Singer —
Isaac Bashevis Singer — si finisce per dubitare delle Sacre
Scritture. Non è solo una battuta. L’opera del grande narratore
yiddish, che ho conosciuto bene — uno dei grandi incontri della mia
vita — è una ricerca di verità permeata dal senso profondo della
sua forse inattingibile conoscenza, ma anche della sua misteriosa
realtà. Molti dei personaggi di Singer sono ricercatori della verità
— spesso falliti ma, nel momento estremo di tale fallimento, sono,
forse senza saperlo, dinanzi ad essa.
Quest'ironica esortazione
a non dubitare, smentita da tanti protagonisti dei suoi racconti e
romanzi, va presa sul serio. Anzitutto c’è dubbio e dubbio.
Ovviamente Singer non ha nulla a che vedere con la presuntuosa
pretesa di conoscere e possedere la verità, pretesa madre di tanti
dogmatismi e anche di intolleranze e di persecuzioni nei riguardi di
chi non la condivide o ne dubita. Ma Singer non ha nulla da spartire
con la retorica del dubbio, ora più che mai imperante nelle forme
più banali, retoriche e stereotipe. Il dubbio creativo non è ottusa
e arrogante indifferenza alla verità, indifferenza che ora sembra
obbligatoria per essere considerati evoluti, al passo con i tempi e
di mente criticamente aperta. C’è una banale celebrazione del
dubbio come del relativismo, inteso non già quale necessario
ingrediente nella ricerca della verità e quale correttivo della
presunzione di averla raggiunta e di possederla, bensì quale
indifferenza. Atteggiamento analizzato da Tito Perlini in uno
splendido saggio. Io sono antisemita, tu no, ognuno di noi due ha la
propria opinione, parimenti da rispettare. Orrenda e stupida
falsificazione della tolleranza. Nella parabola dei tre anelli
ripresa da Lessing nel suo dramma Nathan il saggio —
capolavoro dell’Illuminismo, della libertà di coscienza e
dell’autentica tolleranza — si parla di tre anelli, che
simboleggiano le tre grandi religioni monoteiste, ebraismo,
cristianesimo e islamismo. Uno degli anelli è quello autentico,
originale; gli altri due sono imitazioni perfette — dice la
parabola — indistinguibili da quello vero. Non è dunque possibile
sapere quale sia la verità, che si può intravvedere soltanto di
riflesso, nell’umanità di chi lo porta al dito; chi si dimostra
più umano, più capace di amore e comprensione verso gli altri, più
aperto è — dei tre — colui che verosimilmente ha al dito
l’anello vero. Ma l’impossibilità di conoscere la verità non ne
nega 1’esistenza. Essa, dice Lessing, appartiene solo a Dio, mentre
il compito dell’uomo è quello di ricercarla, di avvicinarsi il più
possibile a essa. La verità non si può guardare direttamente,
perché è insostenibile, accecante, come nell’episodio evangelico
della Trasfigurazione. Kafka, ossessionato dall’idea della verità
e della sua inafferrabilità, diceva che solo la smorfia sul viso
abbagliato che si ritrae dalla sua vista è vera. Soltanto nel suo
multicolore riflesso, si dice nel Faust di Goethe, possediamo
la vita.
In questo cammino della
mente e del cuore il dubbio ha un ruolo essenziale, necessario. Non
il dubbio sterilmente e arrogantemente autocompiaciuto o quello
smarrito in un’incertezza psicologica bensì il dubbio quale
consapevolezza autocritica dei propri limiti e delle proprie
insicurezze. In questo senso il dubbio è il sale, l’essenza, il
motore di ogni ricerca del pensiero; è anzi lo stesso pensiero. Se
dubito, afferma Cartesio, penso, e se penso sono. Attraverso l’uso
sistematico del dubbio si raggiunge un’evidenza certa e
indubitabile; dubbio quale via alla verità. Il dubbio metodico —
secondo Cartesio, ma già secondo Sant’Agostino — è una bussola
della ragione nel suo viaggio verso la verità; è dunque il
contrario del dubbio assoluto, dello scetticismo a oltranza
professato da antichi e moderni, sin da Pirrone, contemporaneo di
Alessandro Magno, e dai suoi discepoli, per i quali le cose sono
senza misura e indiscernibili e non sopportano alcuna affermazione
nei loro confronti bensì solo l’afasia, il silenzio, e inducono,
quale atteggiamento, alla sospensione di ogni giudizio e
all’atarassia, l’imperturbabile indifferenza che è l’unica
felicità. Essere «senza opinioni», senza inclinazioni, senza
turbamenti.
Il dubbio assoluto degli
scettici a oltranza, il pirronismo e altre scuole analoghe, è stato
respinto proprio dal filosofi che hanno affermato e seguito il
«dubbio metodico», considerandolo necessario alla ricerca della
verità, a sua volta tappa di ulteriore ricerca di una verità più
completa. Il pensiero, per Cartesio, possiede una certezza originaria
di fronte a se stesso. La grande letteratura barocca ha fatto capire
per sempre che la vida es sueño, la vita è sogno, e che di tutto si
deve dubitare, ma l’io che dubita, che sogna, che pensa, sa in tal
modo di esistere.
Conoscenza
La grande letteratura
barocca ha fatto capire per sempre che la vita è sogno, ma l'io che
sogna sa, in tal modo, di esistere.
La ricerca della verità
richiede pure l’abbandono di ogni certezza spontanea e di ogni
sapere ricevuto, in particolare di ogni pregiudizio, ma alla fine del
rigoroso processo conoscitivo la verità si impone all'intelletto
dell’uomo. La scoperta che l’uomo fa della propria esistenza, di
se stesso come essere dubitante e pensante, perviene — secondo
Cartesio — all’idea di Dio e alla dimostrazione della sua
esistenza. A ciò sono collegate le dimostrazioni delle verità
intrinseche delle conoscenze matematiche. Come sappiamo, il dualismo
assoluto di Cartesio fra res cogitans e res extensa e le sue
conseguenti teorie sull’anima e la corporeità, la biologia e la
fisica, la materia e il pensiero sono state criticate, ad esempio da
Newton e da Leibniz. Ma Cartesio ribadisce con forza che nessuna
nozione umana può sottrarsi al dubbio, punto di partenza per
giungere ad ogni verità ulteriore.
Secoli più tardi,
Husserl ribadisce la necessità di sospendere la validità di ogni
teoria e di ogni giudizio e preconcetto. Husserl afferma l’epoché,
la sospensione di ogni convenzione sino all’evidenza sensibile, che
può essere colta e affermata solo con la pura descrizione
fenomenologica. Così, si può aggiungere, i fiori dei campi che Gesù
invita a guardare nella loro semplicità più gloriosa del fasto di
Salomone, non ammettono dubbi. Semplicemente sono. La scienza
moderna, secondo Husserl, ha soffocato questa evidenza sensibile
delle cose e della vita, già tanto cara a Goethe; la psicologia
positivista ha ridotto, ha reciso o fatto appassire quei fiori,
tendendo a ridurre pure l’individuo a mera cosa.
"Corriere della sera", 24 giugno 2018
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