“Ci vuole orecchio”. Il "fascista" Salvini e la nuova Resistenza.
Una lettera al “Fatto” di Tomaso Montanari.
Caro direttore,
Roberto Saviano ha
invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica
sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini. Ho dedicato un piccolo
libro (Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza
verità, Edizioni del Gruppo Abele) al dovere di – sono parole
di Bobbio – non lasciare il monopolio della verità a chi ha già
il monopolio della forza: e lì ho indicato proprio in Saviano uno
dei non molti intellettuali liberi, e disposti a schierarsi. Su
Salvini, poi, ho preso la parola in ogni sede: scrivendo, tra
l’altro, la prefazione al libro che Antonello Caporale e Paper
First hanno dedicato al “ministro della paura”.
Ma rompere il silenzio
non basta. Racconta Emilio Lussu di un comizio in cui, quando un
ascoltatore reclamò: “voce!”, si sentì rispondere: “orecchio!”.
Per battere questa destra orrenda serve più orecchio che voce. Ci
vuole ascolto, per capire perché (oltre al tessuto ricco, e talvolta
razzista, del Nord che da anni si riconosce nel potere della Lega)
anche i poveri, gli ultimi, gli “scartati ” (come li chiama papa
Francesco) hanno votato in massa per le forze che si sono saldate in
questo governo. E perché, nonostante tutto, continuano a sostenerle.
Se non lo capiamo,
rischiamo di maledire un sintomo (Salvini) senza curare la malattia.
È un problema di credibilità, certo: nessuna voce contro Salvini è
sincera se non ha detto, o non dice, che Marco Minniti ha fatto di
peggio, anche se lontano dalle telecamere. O se non dice che il Dario
Nardella che si fa riprendere mentre spiana con le ruspe un campo rom
a Firenze è un sintomo della stessa malattia. E così via.
Ma c’è qualcosa di
terribilmente più profondo. Come si fa a chiedere agli italiani
sommersi e sfruttati di stringersi intorno ai valori della
Costituzione proprio mentre Sergio Mattarella, massimo garante della
Carta e del suo primo articolo, si genuflette di fronte a un Sergio
Marchionne? Questi è stato un formidabile campione della
anti-costituzione materiale per cui lavoro e diritti non sono
compatibili: se vuoi il primo, devi rinunciare ai secondi. Come si fa
a non vedere che tra la canonizzazione di Marchionne e il consenso a
Salvini c’è un nesso strettissimo?
Come possiamo pensare che
gli italiani in difficoltà ascoltino i nostri appelli antifascisti
se essi sono sostenuti dallo stesso establishment che esalta
Marchionne, il quale non ha voluto restituire all’Italia, e a ciò
che resta del suo stato sociale, nemmeno i soldi delle tasse sul
proprio gigantesco patrimonio? Come sperare che vengano ascoltati
giornali e partiti nei quali Marchionne è esaltato come un
super-uomo, in vita e in morte lontano anni luce dai sotto-uomini che
muoiono sul lavoro, il corpo oscenamente sfranto in pubblico, o
affogano aggrappati al relitto di una barca, sotto l’occhio delle
telecamere?
Tutto l’establishment
che chiama al conflitto contro Salvini è quello che diceva e dice
che non è possibile alcun conflitto sociale: che è invece lo
strumento per creare giustizia sociale, ed è stato disinnescato
proprio dal Partito Democratico e dai suoi sostenitori. Quando
Salvini dice “prima gli italiani”, nessuna risposta è credibile
se non afferma la necessità di un conflitto invece “tra gli
italiani”: tra i poveri e i ricchi, che “non vogliono le stesse
cose” (Tony Judt). Alla sinistra dei politici, professori,
giornalisti paghi di appartenere alla ristretta cerchia dei salvati,
disinteressati a cambiare il mondo e capaci solo di parlare di
“austerità” e “responsabilità”, è subentrata una destra
con una visione terribile e propagandistica, sanguinosa e fasulla.
Salvini sa benissimo che non potrà cambiare in meglio la vita degli
italiani: ed è per questo che accende la miccia della caccia al
nero.
Ma nessuna risposta
capace di erodere questo disperato consenso può fermarsi alla
proclamazione delle ragioni dell’umanità. Carlo Smuraglia ha di
recente ricordato che “ben pochi giovani sarebbero stati disposti a
prendere le armi e a cacciare i fascisti solo per tornare allo
Statuto albertino: quello in cui il sovrano concedeva, di sua
iniziativa, i diritti al popolo”.
Ebbene, davvero pensiamo
di convincere gli italiani a una nuova (e ovviamente diversa)
resistenza, solo per tornare all’Italia del Pd (e che sia il Pd di
Renzi o Zingaretti davvero poco cambia), dell’inutile e distruttivo
Tav, del Jobs Act, e di tutto il resto?
Bisogna saper vedere, e
saper dire, che Salvini è il sintomo terribile, e finale, della
malattia che ha devastato questo Paese anche “grazie” a ciò che
chiamavamo “sinistra”. Bisogna saper indicare un’altra strada
per costruire giustizia, eguaglianza, inclusione.
Rompiamo il silenzio con
tutta la forza che abbiamo, d’accordo: ma, per capire cosa davvero
dobbiamo dire, bisogna prima saper ascoltare il Paese. Mai come oggi
“ci vuole orecchio”.
“Il Fatto quotidiano”,
30 luglio 2018
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