Le ragazze al crepuscolo scendono in
acqua,
quando il mare svanisce, disteso. Nel bosco
quando il mare svanisce, disteso. Nel bosco
ogni foglia trasale, mentre emergono
caute
sulla sabbia e si siedono a riva. La
schiuma
fa i suoi giochi inquieti, lungo
l'acqua remota.
Le ragazze han paura delle alghe
sepolte
sotto le onde, che afferrano le gambe e
le spalle:
quant'è nudo, del corpo. Rimontano
rapide a riva
e si chiamano a nome, guardandosi
intorno.
Anche le ombre sul fondo del mare, nel
buio,
sono enormi e si vedono muovere
incerte,
come attratte dai corpi che passano. Il
bosco
è un rifugio tranquillo, nel sole
calante,
più che i greto, ma piace alle scure
ragazze
star sedute all'aperto, nel lenzuolo
raccolto.
Stanno tutte accosciate, serrando il
lenzuolo
alle gambe, e contemplano il mare
disteso
come un prato al crepuscolo. Oserebbe
qualcuna
ora stendersi nuda in un prato? Dal
mare
balzerebbero le alghe, che sfiorano i
piedi,
a ghermire e ravvolgere il corpo
tremante.
Ci son occhi nel mare, che traspaiono a
volte.
Quell'ignota straniera, che nuotava di
notte
sola e nuda, nel buio quando muta la
luna,
è scomparsa una notte e non torna mai
più.
Era grande e doveva esser bianca
abbagliante
perché gli occhi, dal fondo del mare,
giungessero a lei.
CESARE PAVESE, Lavorare stanca, 1936
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