02 agosto 2018

L' ILLUMINISMO CHE ABBIAMO AMATO

        
     La democrazia moderna affonda le sue radici nell'illuminismo radicale che innova il pensiero europeo fra la fine del Seicento e la metà del Settecento. E' nei salotti filosofici, nei caffè , nelle riviste letterarie e nelle accademie scientifiche che nasce e si afferma un nuovo modo di pensare la società e i rapporti fra gli uomini che superi i guasti delle guerre di religione che per due secoli avevano insanguinato l'Europa. Un percorso affascinante che parte da lontano.
Mario Mancini
Da Spinoza a Diderot, il lungo processo dei Lumi
«Illuminismo radicale» è tra le categorie più potenti e fortunate che si sono imposte per la narrazione della storia del pensiero moderno, e questo grazie alle opere di Margaret Candee Jacob, The Radical Enlightenment (1981, trad. it. L’illuminismo radicale, il Mulino, 1983) e di Jonathan I. Israel, Radical Enlightenment. Philosophy and the Making of Modernity 1650-1750 (2001), seguito da A Revolution of the Mind. Radical Enlightenment and the Intellectual Origins of Modern Democracy (2009, trad. it. Una rivoluzione della mente, Einaudi, 2011). Con le sue ambizioni e le sue narrazioni questo disegno interpretativo, relegando ormai al passato l’idea della presunta «astrattezza» dell’Illuminismo e della sua povertà filosofica, ha riscoperto le tendenze più inquiete e «radicali», le correnti scettiche, libertine, materialistiche.
In questo vivacissimo quadro delle interpretazioni dell’Illuminismo ci introduce, mettendo opportunamente al centro il dibattito storiografico, il corposo e ben argomentato volume di Carlo Borghero Interpretazioni, categorie, finzioni Narrare la storia della filosofia (Le Lettere, pp. 534, € 38,00). Il suo discorso diviene discussione puntuale di tante cruciali categorie, ora utili come strumenti classificatori, ora elevate a miti: età classica, razionalismo cartesiano, crisi della coscienza europea – che è il titolo di un importante e influente libro di Paul Hazard, 1935 – libertinismo, spinozismo e, appunto, «illuminismo radicale». Queste immagini che sono emerse nel corso della tradizione per descrivere e interpretare la filosofia del Sei-Settecento, così diverse e anche conflittuali, non sono errori di lettura o forzature ermeneutiche, ma devono essere indagate come oggetto primario della storia della filosofia.

Il volume si configura, nelle sue linee di fondo, come una verifica delle interpretazioni di Jacob e di Israel, che vengono ricostruite in tutta la loro complessità, senza nascondere, all’occasione, perplessità e riserve. Jacob, in Radical Enlightenment, riscopre un mondo variegato di scrittori, giornalisti, editori e librai accomunati da idee politiche repubblicane, convinzioni panteistiche e deistiche e, in molti casi, dall’appartenenza alla massoneria.
Questo movimento trova la sua maggiore espressione prima in Inghilterra e dopo il 1720 in Olanda e si caratterizza come un vasto movimento di idee, condividendo ideali di tolleranza religiosa, di critica della metafisica e di democrazia politica. Locke, Newton e Spinoza sono gli autori di riferimento di questi intellettuali, la cui figura più rappresentativa è quella di John Toland, interprete eterodosso dell’ideologia newtoniana.
Il lavoro della Jacob riporta in luce testi di grande interssse, recuperando dottrine seicentesche eterodosse, e ricostruisce sapientemente la complessa trama della rete clandestina massonica. Mette anche in discussione il ruolo progressivo dell’Illuminismo «ufficiale», identificato con l’anima filosoficamente e politicamente moderata, opposta a quella panteistica, repubblicana, «radicale».
Il rilievo dato ai movimenti massonici e clandestini comporta però un rischio, che Borghero non nasconde: «In questo modo si attenuava però, fino a quasi perdere importanza, il valore dell’uso pubblico della ragione, che da Voltaire a Kant era stato affermato e praticato come caratteristica essenziale dei Lumi, ed era stato visto come il tratto distintivo degli illuministi rispetto al nicodemismo e alla doppiezza dei libertini».

Israel, in Radical Enlightenment, ricostruisce le vicende della formazione intellettuale della modernità dalla prima e contrastata diffusione della filosofia cartesiana — così dirompente nel suo meccanicismo — nei Paesi Bassi, fino alla circolazione dei manoscritti clandestini in Francia e alla formazione di un materialismo francese con La Mettrie e Diderot. Egli anticipa al trentennio 1650-1680 la crisi della coscienza europea, cioè la fase di transizione che precede l’attacco sferrato dall’Illuminismo, e colloca nel periodo 1680-1750 il drammatico ripensamento che rivoluziona l’intero ordine intellettuale occidentale e lo obbliga a indirizzarsi lungo linee razionalistiche e secolarizzate.
Israel attribuisce un’importanza fondamentale a Spinoza e allo spinozismo, un’importanza forse eccessiva, per Borghero, che richiama il ruolo di autori come Hobbes, Newton e Toland, per poi però ammettere che il Tractatus theologicus-politicus di Spinoza segna un eccezionale punto di svolta, e che senza Spinoza non si comprende Diderot.

Sia Jacob che Israel mettono al centro del loro discorso la circolazione dei manoscritti clandestini, il ruolo dei free thinkers e dei libertini. Borghero riprende e approfondisce il tema delle correnti eterodosse prima del Settecento, dialogando fittamente con le ricerche di Eugenio Garin e di Tullio Gregory — che tanto hanno insistito sulla continuità tra Rinascimento e Illuminismo — e proponendoci un panorama di grande fascino. Entrano in campo autori come Epicuro, Lucrezio e Sesto Empirico, Montaigne e Charron, Pomponazzi e Machiavelli, Rabelais e Luciano. È un viaggio avventuroso e sorprendente: l’Illuminismo radicale deve la sua radicalità non solo al meccanicismo cartesiano, ai principi di Locke e di Newton, ma anche a forme di ragione e di critica che vengono dal mondo del Cinquecento e del Seicento.
Il Manifesto/Alias – 22 luglio 2018

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