La
democrazia moderna affonda le sue radici nell'illuminismo radicale
che innova il pensiero europeo fra la fine del Seicento
e la metà del Settecento. E' nei salotti filosofici, nei caffè ,
nelle riviste letterarie e nelle accademie scientifiche che nasce e
si afferma un nuovo modo di pensare la società e i rapporti fra gli
uomini che superi i guasti delle guerre di religione che per due secoli
avevano insanguinato l'Europa. Un percorso affascinante che parte da
lontano.
Mario Mancini
Da Spinoza a Diderot, il lungo
processo dei Lumi
«Illuminismo radicale»
è tra le categorie più potenti e fortunate che si sono imposte per
la narrazione della storia del pensiero moderno, e questo grazie alle
opere di Margaret Candee Jacob, The Radical Enlightenment (1981,
trad. it. L’illuminismo radicale, il Mulino, 1983) e di
Jonathan I. Israel, Radical Enlightenment. Philosophy and the
Making of Modernity 1650-1750 (2001), seguito da A
Revolution of the Mind. Radical Enlightenment and the Intellectual
Origins of Modern Democracy (2009, trad. it. Una
rivoluzione della mente, Einaudi, 2011). Con le sue ambizioni e le
sue narrazioni questo disegno interpretativo, relegando ormai al
passato l’idea della presunta «astrattezza» dell’Illuminismo e
della sua povertà filosofica, ha riscoperto le tendenze più
inquiete e «radicali», le correnti scettiche, libertine,
materialistiche.
In questo vivacissimo
quadro delle interpretazioni dell’Illuminismo ci introduce,
mettendo opportunamente al centro il dibattito storiografico, il
corposo e ben argomentato volume di Carlo Borghero Interpretazioni,
categorie, finzioni Narrare la storia della filosofia (Le
Lettere, pp. 534, € 38,00). Il suo discorso diviene discussione
puntuale di tante cruciali categorie, ora utili come strumenti
classificatori, ora elevate a miti: età classica, razionalismo
cartesiano, crisi della coscienza europea – che è il titolo di un
importante e influente libro di Paul Hazard, 1935 – libertinismo,
spinozismo e, appunto, «illuminismo radicale». Queste immagini che
sono emerse nel corso della tradizione per descrivere e interpretare
la filosofia del Sei-Settecento, così diverse e anche conflittuali,
non sono errori di lettura o forzature ermeneutiche, ma devono essere
indagate come oggetto primario della storia della filosofia.
Il volume si configura, nelle sue linee di fondo, come una verifica delle interpretazioni di Jacob e di Israel, che vengono ricostruite in tutta la loro complessità, senza nascondere, all’occasione, perplessità e riserve. Jacob, in Radical Enlightenment, riscopre un mondo variegato di scrittori, giornalisti, editori e librai accomunati da idee politiche repubblicane, convinzioni panteistiche e deistiche e, in molti casi, dall’appartenenza alla massoneria.
Questo movimento trova la
sua maggiore espressione prima in Inghilterra e dopo il 1720 in
Olanda e si caratterizza come un vasto movimento di idee,
condividendo ideali di tolleranza religiosa, di critica della
metafisica e di democrazia politica. Locke, Newton e Spinoza sono gli
autori di riferimento di questi intellettuali, la cui figura più
rappresentativa è quella di John Toland, interprete eterodosso
dell’ideologia newtoniana.
Il lavoro della Jacob
riporta in luce testi di grande interssse, recuperando dottrine
seicentesche eterodosse, e ricostruisce sapientemente la complessa
trama della rete clandestina massonica. Mette anche in discussione il
ruolo progressivo dell’Illuminismo «ufficiale», identificato con
l’anima filosoficamente e politicamente moderata, opposta a quella
panteistica, repubblicana, «radicale».
Il rilievo dato ai
movimenti massonici e clandestini comporta però un rischio, che
Borghero non nasconde: «In questo modo si attenuava però, fino a
quasi perdere importanza, il valore dell’uso pubblico della
ragione, che da Voltaire a Kant era stato affermato e praticato come
caratteristica essenziale dei Lumi, ed era stato visto come il tratto
distintivo degli illuministi rispetto al nicodemismo e alla doppiezza
dei libertini».
Israel, in Radical Enlightenment, ricostruisce le vicende della formazione intellettuale della modernità dalla prima e contrastata diffusione della filosofia cartesiana — così dirompente nel suo meccanicismo — nei Paesi Bassi, fino alla circolazione dei manoscritti clandestini in Francia e alla formazione di un materialismo francese con La Mettrie e Diderot. Egli anticipa al trentennio 1650-1680 la crisi della coscienza europea, cioè la fase di transizione che precede l’attacco sferrato dall’Illuminismo, e colloca nel periodo 1680-1750 il drammatico ripensamento che rivoluziona l’intero ordine intellettuale occidentale e lo obbliga a indirizzarsi lungo linee razionalistiche e secolarizzate.
Israel attribuisce
un’importanza fondamentale a Spinoza e allo spinozismo,
un’importanza forse eccessiva, per Borghero, che richiama il ruolo
di autori come Hobbes, Newton e Toland, per poi però ammettere che
il Tractatus theologicus-politicus di Spinoza segna un
eccezionale punto di svolta, e che senza Spinoza non si comprende
Diderot.
Sia Jacob che Israel mettono al centro del loro discorso la circolazione dei manoscritti clandestini, il ruolo dei free thinkers e dei libertini. Borghero riprende e approfondisce il tema delle correnti eterodosse prima del Settecento, dialogando fittamente con le ricerche di Eugenio Garin e di Tullio Gregory — che tanto hanno insistito sulla continuità tra Rinascimento e Illuminismo — e proponendoci un panorama di grande fascino. Entrano in campo autori come Epicuro, Lucrezio e Sesto Empirico, Montaigne e Charron, Pomponazzi e Machiavelli, Rabelais e Luciano. È un viaggio avventuroso e sorprendente: l’Illuminismo radicale deve la sua radicalità non solo al meccanicismo cartesiano, ai principi di Locke e di Newton, ma anche a forme di ragione e di critica che vengono dal mondo del Cinquecento e del Seicento.
Il Manifesto/Alias – 22
luglio 2018
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