1964. Quando Sartre rifiutò il Nobel (Grazia Cherchi)
L'articolo
che segue è tratto dalla sezione Segnalazioni dalle
Riviste dei “Quaderni
piacentini”. n.19-20 di ottobre – dicembre 1964, al tempo diretto
e curato da piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi. Vi si ragionava
del Nobel che Jean Paul Sartre aveva rifiutato, a partire dagli
articoli che in due riviste letterarie commentavano il suo gesto:
Sartre, Nobel suo malgrado,
(«Nouvelles litteraires », 29 ottobre '64 ); Jean Paul Sartre
premio Nobel («Tempo presente», n. 11, novembre '64). Il testo
può essere attribuito senza grandi dubbi a Grazia Cherchi, che
curava la rubrica, anche se non si può escludere che anche
Bellocchio vi abbia con qualche sua idea o giunta contribuito.
(S.L.L.)
Jean Paul Sartre con il suo gatto |
Il rifiuto del Nobel è
costato a Sartre, oltre le 250.000 corone, la livida maldicenza dei
colleglli. Un buon campionario di idiozie è offerto dal settimanale
“Nouvelles litteraires” che dedica all’avvenimento vari
articoli (G. Marcel, H. Juin, M. Tournier e Q. Ritzen, il quale
ultimo analizza il «no» di Sartre dal punto di vista psicologico
per ribadire quel che aveva asserito in un precedente articolo,
trattarsi cioè, per quel che risulta dalla sua opera, dai suoi
atteggiamenti e dalle sue dichiarazioni, di un «délinquant»).
Nella sua "Prise de position" l’ottuagenario Gabriel Marcel
taccia Sartre di «denigratore inveterato, blasfemo sistematico,
diffusore degli insegnamenti più pericolosi e dei consigli più
velenosi che mai siano stati largiti alla gioventù da un corruttore
patentato», si rammarica che il rifiuto del Nobel aumenti la sua
popolarità ma si consola osservando che «la sua clientela la
recluta soprattutto tra gli intellettuali in via di sviluppo, di
Caracas o di Rio, a Konakry, a Casa e in quell’Algeria di Ben Bella
che esaudisce, suppongo, uno dei suoi più fervidi voti».
Soprattutto in Francia è
stato insinuato che s’è trattato di un atto d’orgoglio, di
dispetto per avergli la giuria di Stoccolma preferito anni fa Camus.
Gli intellettuali italiani, incapaci perfino di concepire un caso
d’orgoglio pagato un prezzo tanto alto, hanno invece insistito sul
fatto che il rifiuto è stata un’abilissima mossa pubblicitaria che
finirà col fruttare a Sartre molto bene: un ottimo affare, insomma.
Per cui non resta che attendere il prossimo Nobel italiano: che però,
ne siamo certi, molto più disinteressato di Sartre, rifiuterà il
basso calcolo e accetterà francescanamente il premio.
Nicola Chiaromonte
invece, su “Tempo presente”, affronta di petto la questione. Si
mette in cattedra e sottopone a severissima analisi il gesto di
Sartre e le sue dichiarazioni ai vari giornalisti; come se si
trattasse di esaminare il compito di una scolaretto scadente o di
smascherare gli alibi di un malfattore, ne dimostra gli errori
logici, ne mette in luce le contraddizioni. Nel corso della
inquisizione, Chiaromonte arriva ad affermazioni come: «È
semplicemente non vero che il titolo ’’Premio Nobel” eserciti
una pressione indebita sui lettori». Oppure: «Cosa significa
l’altra affermazione di Sartre: “Lo scrittore deve rifiutare di
lasciarsi trasformare in istituzione”? Non significa nulla. Nessuno
può trasformare uno scrittore in un’istituzione, cioè in una
mummia pomposa, tranne lo scrittore medesimo. Nessun premio Nobel ha
mai trasformato il suo titolare in un’istituzione... ». Eccetera,
eccetera.
Infine, conclude
Chiaromente, se fosse vero che a Sartre stanno tanto a cuore gli
affamati, perché non ha accettato le 250.000 corone? Poteva pagarci
tanti pranzi per i suoi prediletti. Che non l’abbia fatto, dimostra
che «È dunque per mantenersi l’anima bella e le mani pulite che
Sartre ha rifiutato il premio Nobel... Del che, naturalmente, gli
potranno tener rigore i suoi amici e i suoi princìpi, ma non certo
chi dia alla libertà dell’individuo e dello scrittore un senso
pieno e incondizionato », cioè Chiaromonte e i suoi amici.
La sentenza, se questa è
la requisitoria, per noi è di assoluzione, nonostante la cattiva
difesa dell’imputato che non sa di essere innocente o non vuol
esserlo.
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